Paolo Ferrari
Aforismi in-assenza
1997-2004
1.1.
Il gesto pensante (in-Assenza)
Il gesto per il cui tramite il corpo-mente pensa si nutre unicamente
del folle scarto che è diretta, abissale apertura a sé:
su niente poggia se non su siffatto assoluto vuoto. Nella sua oscillazione
all'apparenza priva di senso - a(l) nulla vincolata - il pensiero-pensare
suggella infine l'appartenenza a sé - e unicamente a sé
- nel porsi ora e per sempre al di fuori d'un contesto conforme;
questo è modo soltanto all'apparenza solidale con lo stesso
(gesto del) pensare che, talvolta anche in una guisa così
servile, avrebbe gradito essere considerato.
2.2.
Ciò che (ora) si può dire: soltanto in quanto manca,
è assente, allora (la cosa) esiste.
Soltanto in quanto ha la facoltà di mancare, d'essere assente,
il che equivale ad (essere) altrimenti da sé - equivalente
a mancante di sé, ad altro da sé, prima-di- sé
-, esiste (per la cosa) la facoltà-probabilità d'esistenza.
La cosa esiste (unicamente) in-mancanza di sé. La cosa esiste
unicamente nell'accoppiamento con la sottrazione (assenza) di sé.
3.3. Dov'è l'impossibile A.M.
Dov'è l'impossibile - è radicale la mancanza - con
pudore e determinazione si fa avanti la salvezza.
(Cum-Hölderlin)
4.4.
Consapevolezze .
Questo canto dolcissimo degli uccelli sopra il tetto del mio studio
mi avverte che già tutto - il tutto - è finito. Ascolto,
conscio di quel cinguettio straziante e delicato: esso già
da sempre è cessato e anch'io con quello.
E' davvero un evento singolare il fatto che il mondo intero sia
così finito - e io lo sappia, essere consapevole al seguito
d'un tempo che da molto, un tempo infinito, fin dal principio -
s'è esaurito. Anch'io lo sono, o non (lo) sono ...
5.19. Circa-la-morte
Se con l'evento della morte si verificasse non solamente la cessazione
della vita concreta-biologica, ma insieme con quella anche avesse
termine la morte concreta-biologica che è stato che l'accompagna
- uno stato d'eccitazione continua per la condizione di vita che
alla mente s'oppone, costretta entro l'equilibrio consueto biologico
vita-morte - emergerebbe un altro stadio differente sia dallo stato
di vita che da quello di morte. Uno stato che equivale a un'assenza
di vita e di morte, e perciò (equivalente) a una differenza
rispetto a quegli stati consueti.
Se allo stato di vita-morte corrispondesse una realtà fatta
di cosa - e cioè una realtà che è differente
da nulla - nell'ipotesi precedente s'evidenzierebbe una realtà
non fatta-di-cosa: un nulla, privo del suo stesso essere-stare-contrarsi
in nulla. Tale stadio ammetterebbe un arretramento della barriera
degli istinti, e in particolare della tendenza alla morte, che è
tendenza alla cosità (Thanatos). Un siffatto luogo è
espressione dell'Assenza, ámbito della cessazione della cosa-vita-morte
ed espressività d'una virtualità vuota ad altissimo
livello d'informazione oltre la barriera sensoriale-percettiva.
6.20.
Circa la cessazione di morte
1. La morte - in quanto cessazione d'uno stato particolare che chiamiamo
vita e coscienza - non è (così) differente da altri
stati particolari che si verificano in vita. Il sonno, il taglio
del cordone ombelicale alla nascita, la nascita stessa, il distacco
edipico con la ferita nel narcisismo e altri stati analoghi - quali
ad esempio il sonno dell'anestesia, il coma - sono stati che hanno
punti di relazione con il cosiddetto morire. La cessazione d'un'attività
- qual è quella vitale - non significa necessariamente una
nientità (concreta e mortale).
Cessare non comporta necessariamente e unicamente quel nulla (oscuro)
da cui la mente umana è costantemente occupata.
7.3.
L'atto del cogito
L'atto del cogito - dell'io-penso - è veramente folle: immergersi
là dove niente nasce e niente muore; dove la materia ha provato
a cessare quale principale sostegno di se medesima, oscillando freneticamente
per giorni e giorni nel tentativo d'acquistare finalmente l'agognata
e temuta libertà da sé.
Tuttora
sembra non avercela fatta ...
Pensare
8. Della vita e della realtà
E' avvenuto un cataclisma: quel che era detto vivente s'è
ora fatto pensante.
La parte della materia che era unicamente vita è ora anche
pensiero-(cogito). La materia (vivente) s'è fatta pensante
proprio là dove del pensare era incapace.
9. Il pensare consapevole
Il pensare consapevole circa la cosa induce nella cosa uno stato
particolare: la cosa non è più unicamente cosa al
di fuori della consapevolezza, ma ora è cosa della consapevolezza
(entro il sistema consapevole).
Ciò dato la cosa si specchia (raddoppia se medesima) ed esiste.
10.
Dell'origine e dell'attualità in-assenza
1. La realtà che oggi osserviamo e da cui traiamo informazioni
circa il suo stato è realtà non attuale e che, pertanto,
potrebbe non avere esistenza reale.
Come l'osservazione di una stella ci offre dati che sono relativi
al momento dell'emissione dell'onda luminosa alla fonte - e che
sono pertanto quelli di un evento non attuale -, così la
traccia della realtà a noi evidente, che è manifestazione
di una realtà relativa a un mondo non simultaneo alla nostra
osservazione, è un'informazione non attuale - non in atto
- che potrebbe, in effetti, non essere (esistente), mancante della
concretezza fenomenica.
Il mondo comunemente osservato non ha effettiva esistenza.
Quel che osserviamo è la traccia residua - in eccesso concreta
e stabilizzata - di un mondo antecedente, ora in parte o del tutto
scomparso.
2. Non esiste un'unica realtà (osservabile).
3.
Esistono due piani o stati, due realtà differenti.
Esiste una realtà evidente, che è quella osservabile
(pensabile) secondo i principi del cosiddetto pensiero comune.
Chiamo questo pensiero ordinario.
Esiste una realtà non evidente.
Ha leggi sue proprie ed è pensabile da un pensiero diverso
dal cosiddetto pensiero comune.
Chiamo questo pensiero non-ordinario.
11. Circa la scienza-nuova
(Questa a-meditazione può essere al momento saltata e letta
alla fine del capitolo; nell'appendice dedicata agli scritti teoretici.
Essa è sintesi e apertura al nuovo metodo e, in quanto tale,
presenta la complessità che è di ogni premessa ed
esplicazione ad un nuovo pensare).
1
a. Diversi sono l'osservazione e il metodo che abbiamo seguito rispetto
a quelli da cui derivano le congetture attuali di scienziati teorici
e di ricercatori nel campo delle tecnologie avanzate - secondo i
quali nel futuro delle macchine e dell'intelligenza umana la scelta
sarà da farsi tra l'incremento della complessità e
quello della velocità, essendo la prima d'impedimento alla
seconda. Non è questione di microchips sempre più
piccoli e più sofisticati, né di cervelli resi più
grandi - e perciò ipoteticamente maggiormente complessi -
dalla biogenetica e sistemati in corpi dai crani più ampli,
fatti crescere al di fuori degli apparati naturali della donna,
inadatti a contenerli, a causa delle dimensioni accresciute.
Il vero progetto, che rappresenta anche la scommessa vincente per
il futuro della specie umana, è quello di far emergere le
proprietà di nuovo genere che, pur appartenendo al campo
di forze che prende forma nell'interazione tra la realtà
e le attività nervose superiori di Homo sapiens, sono per
il momento occultate - così da essere quasi completamente
escluse dalla conoscenza e dall'esperienza - a causa di rapporti
non sufficientemente congrui fra le entità che costituiscono
l'insieme sistema uomo-sistema realtà.
In quelle aree che fungono da interfaccia tra le più astratte
attività di Homo e la cosiddetta realtà fenomenica,
non si sono sviluppate vie e modalità di comunicazione adeguate
alle nuove esigenze evoluzionistiche, quelle emerse nelle strutture-funzioni
della specie quali nuove entità ad alta complessità
apportatrici di stadi relazionali differenti da quelli evoluzionistici
precedenti: esse posseggono proprietà affrancate dagli imprintings
derivanti dalla necessità della soddisfazione immediata dei
bisogni primari, pulsioni che appartengono all'universo concreto.
Un deficit di tal genere può essere pensato nei termini d'una
debolezza conduttiva dell'intero sistema: un'incompletezza ovvero
una grossolanità del livello relazionale entro la rete dei
nessi che costituiscono il luogo-funzione adibito alla raccolta
e all'elaborazione delle informazioni adatte all'evidenziazione-costruzione
della cosiddetta realtà fenomenica. Potrebbe altresì
interpretarsi tale mancata espressività come fissazione d'una
resistenza entro i nessi periferia-centro, essendo la rete dei rapporti
tra queste entità non idonea a sufficienza alla nuova situazione
che s'è instaurata con lo sviluppo ampio e rapido della neocorteccia
- e perciò di apparati vòlti allo sviluppo di attività
superiori di ordine astratto e perciò non immediatamente
finalizzate entro antichi sistemi ed equilibri di ordine naturale.
E'
significativa la mancanza d'un arretramento adeguato della barriera
degli istinti - e in generale di quelle funzioni adibite al conseguimento
di leggi naturali-fenomeniche: è assente negli strati profondi
del sistema nuovo Homo s. una determinazione a disporsi-ruotare
nella sua interezza a favore della manifestazione-emergenza di nuove
(eventuali) proprietà ormai implicite nella grande complessità
della neocorteccia e nel fittissimo intreccio che caratterizza il
sistema nervoso centrale della specie umana. Non s'è verificata
la radicalità del mutamento - che sarebbe stata necessaria
con la trasformazione evoluzionistica - interna al rapporto tra
l'attività pensante (astratta) e la cosa così come
ancora esiste: è deficitario tuttora il ritiro da parte dell'oggetto-cosa,
risultato dell'impressione immediata del mondo fenomenico da parte
dell'attività nervosa centrale e periferica di Homo, di fronte
all'affermarsi di nuovi processi e di nuovi equilibri non miranti
a finalità immediate - non diversamente tuttavia da quelle
di ordine mediato: questo è tuttora per lo più vincolato
alla fissità della cosa, sia essa oggetto esterno, sia oggetto
di rappresentazione interna. La condizione di Homo s. non s'è
affatto svincolata da quelle istanze primitive che fanno capo alla
lotta per la sopravvivenza e all'affermazione del più forte,
come certezza di vita della specie contro il timore d'una sua possibile
estinzione. Non s'è verificato pertanto quel passo all'indietro
necessario ad aprire (il sistema) alla differenza: questa appartiene
al territorio del distacco-separazione idoneo, da instaurarsi tra
l'attività pensante - vòlta all'emancipazione della
specie da antichi bisogni meccanici e sorpassati - e l'oggetto-universo-cosa:
essa è ancora in eccesso prevalente quale entità concreta,
carica del peso dell'universo sensoriale e si presenta quale entità
poco sgrossata, scarsamente aderente alle attività maggiormente
astratte e meno ingombrate-ingombranti del sistema pensante complesso,
proprio della specie umana, differente nella sua nuova capacità-qualità
da tutti gli stadi evoluzionistici che l'hanno preceduta. Il rapporto
tra pensiero e cosa, tra sistema ricevente sensoriale-percettivo
e atto-discorso pensante è troppo ingombrato di oggetto cosa
- lo stesso pensare è ingombro di sé quale cosa che
si ripete e si autocircoscrive conservandosi uguale. La circolazione
di informazioni è attualmente troppo lenta tra le parti del
sistema: la cosa (sensoriale e percettiva, ma anche quella concettuale
astratta) è priva di quelle opportune attenuazioni fenomeniche,
necessarie alla realizzazione ottimale dell'informazione ad alta
complessità e meno grossolana: ciò equivarrebbe alla
scoperta della nuova collocazione in un ambito di soglia differente.
L'attività pensante e conoscitiva è (invece) continuamente
rallentata nella sua circolazione dagli eccessi di concretezza-evidenza-soglia
alta appartenenti a questa periferia-centro inadeguati: la realtà-cosa-concreta
è povera di quell'informazione (che è) divenuta nutrimento
adeguato per un cervello-organismo che esprime una rete pensante
propensa a pensare in assenza della cosa: è rimasta la fissità
dell'oggetto - incapace di disporsi a scomparire quale entità
fenomenica troppo carica della sua concretezza di ordine materiale-sensoriale
- di fronte alla ricezione d'un sistema (trasformato in asistema)
che apprende ed elabora all'istante - ulteriormente in modo differente
dall'istante presente e concreto (nell'istante temporo-spaziale
al negativo). Esso fonda la conoscenza (di sé e dell'altro)
come felice compimento della sua attività-esistenza tramite
l'acquisizione d'informazioni di alta qualità. Queste hanno
luogo simultaneamente all'oggetto concreto reale e da questo emanano:
esso, a sua volta, nel tempo dell'interazione con quell'asistema
complesso, s'inabissa nella differenza - nello iato aperto dal cambiamento
di livello sistemico: mutua la sua scomparsa con l'insorgenza d'un
nuovo genere di attività - forma complessa- , ricca d'un
alto e compiuto senso di gradevolezza e di rivoluzione per un organismo
divenuto capace della sua interezza fuori e oltre l'ordine psicosensoriale
di antica provenienza naturale (animale e cosale).
b.
Con l'interazione propensa alla simultaneità dell'emergenza
d'uno stadio differente con la scomparsa di quello fenomenico-apparente(-immediato)
s'è manifestato (senza premere sull'evidenza) un piano-livello
più astratto della realtà, non ingombrato di cosa
concreta, non ingombrante pertanto per l'attività di ricezione
e soprattutto per le vie di conduzione e circolazione delle informazioni
ad alta qualità relazionale e semantica.
Abbiamo pertanto messo in luce uno stadio interattivo più
vuoto (di cosa, di fenomeno evidente, sensoriale-concreto): abbiamo
fatto emergere uno stadio in cui la rapidità conduttiva è
fondamentale; nessun oggetto (cosale) ha la facoltà di aggirarsi
entro la mente e il soma; soltanto in quanto spogliato delle sue
antiche e obsolete vestigia gli è aperta la porta d'ingresso:
la soglia è stata abbassata. Più entità circolano
a una velocità assai maggiore (velocità pari al suo
negativo: velocità che anticipa il moto d'inizio, in un tempo
astratto=tempo antecedente); le stesse sono mondate della loro (consueta)
espropriazione quali oggetti parziali e concreti, ingombri di materia
sensoriale e percettiva (espressioni immature d'un passo evoluzionistico
non (ancora) definito-definitivo).
c.
Date le osservazioni precedenti è possibile congetturare
che il cervello-attività pensante si nutra di mancanze, espressioni
del venir meno (in simultaneità) dell'oggetto concreto: l'universo
pensante, così come la realtà che ne deriva, è
costituito dall'impronta (stadi al negativo) di quell'oggetto (già
emerso e ancora da emergere): esso ha la possibilità di scomparire
(quale entità evidente sovraliminale) ad una velocità
maggiore di quella dell'istante simultaneo. Un infinitesimo prima
che l'oggetto concreto s'imprima nell'area disegnata dall'atto pensante
viene spogliato della sua concretezza e si trasforma in altro, mutando
del livello sistemico. Si fa più vuoto, nella direzione della
virtualità. Esso diviene parola o simbolo, espressione d'un
linguaggio capace d'astrazione, quel linguaggio che ha costruito
intorno a sé e per sé gli oggetti concreti emergenti
da uno stato di mancanza, ovvero condizione di assenza: ad ogni
oggetto - concreto o astratto - fa da antecedente il suo anti -
l'anticosa.
Le attività superiori del genere Homo - e, in particolare,
della specie sapiens - non sono mirate ad un adattamento migliore
entro un ambiente già confezionato e dagli equilibri immutabili.
L'attività profonda del cervello umano si nutre, come detto,
di mancanze, d'impronte, di calchi delle cose; attraverso queste
riconosciutosi, a sua volta le riconosce - come diverse da sé
- e si dispone così a oggettivare una realtà (al di)
fuori di sé. Questa è componente d'interazione e mezzo
di controllo retroattivo sull'attività dei processi pensanti.
Al cervello umano occorre un campo vasto e complesso così
che esso stesso possa trovare quell'equilibrio variabile che è
necessario al suo miglior funzionamento (compimento). Conseguenza
di tale enunciazione è che l'universo generale - universo
fisico e universo mentale - debba essere considerato quale entità
autoreferenziale: non esistono due mondi separati - uno interno
che osserva e uno esterno da osservare - , bensì un sistema
di complessità ampia non frammentaria che tende alla non
separazione e perciò si configura e si sostanzia quale realtà
generale.
d.
Si osserva in natura uno spostamento progressivo da una periferia
verso una centralità, quella del sistema nervoso centrale:
è modo privilegiato e prevalente avendo caratteristiche peculiari,
legate a una complessità astratta attraverso cui l'universo
nella sua interezza si dispone. Se nella fase evoluzionistica precedente
all'avvento di Homo lo stato prevalente era costituito dagli equilibri
conseguenti alla lotta per la sopravvivenza, nella fase Homo (s)
la prevalenza si sposta verso equilibri differenti secondo nuovi
modelli.
Il nodo focale diventa la complessità dell'encefalo, in cui
le linee di forza tendono a confluire: il senso degli equilibri
cessa d'essere collocato entro un ambiente naturale, dato il quale
le diverse forme di vita competono così da ottenere una condizione
di equilibrio ordinato da leggi secondo una logica di causa-effetto
con regolazioni più o meno complesse, per lo più disposte
sui margini del caos.
Con l'avvento del genere Homo il crogiuolo delle forze in gioco
diviene il suo sistema nervoso centrale, con quell'encefalo sviluppatosi
in grandissima misura (probabilmente una dismisura al di sopra d'una
soglia di equilibrio possibile dati i rapporti tra sistemi in cui
tale processo è avvenuto), ricco di pressoché infinite
modalità di relazione: la soglia di circolazione dell'informazione
s'è abbassata in modo considerevole, in modo considerevole,
così da far entrare nel campo relazionale quel sistema virtuale
precedentemente oscurato: era inesistente a causa dell'occupazione
d'un universo ambiente dominato dalla prevalenza quasi generale
dell'oggetto concreto. Ciò significava il predominio dell'oggetto
sopravvivenza, che equivale alla cosa della vita contro la (cosa
della) morte e (la cosa dell')estinzione (della specie).
e.
Non s'è verificato, nello stato attuale delle cose, quel
passo all'indietro necessario che disponga alla differenza: il distacco
compiuto tra l'attività pensante e l'oggetto-cosa; troppo
ingombrante si mostra invece l'accoppiamento in essere, altresì
deformante, svantaggioso per uno sviluppo adeguato di attività
più complesse e dalla rapidità di ricezione e cambiamento;
la cosa, così come finora è recepita dagli apparati
nervosi di Homo, si mostra essere oggetto concreto in eccesso, privo
di quelle attenuazioni fenomeniche opportune perché l'informazione
circoli più rapidamente, in misura valida per un intelletto
capace di pensare in-assenza (di permanenza). Permane invece tuttora
la fissità della realtà cosa-concreta, povera d'informazione
a-complessa, inadeguata a una circolazione diversa, svincolata dalla
variabile tempo consueta, in accordo con l'oggetto concreto che
ha assunto la facoltà dello scomparire. E nella scomparsa
istantanea idoneo a produrre quell'informazione necessaria perché
l'attività superiore di Homo si trasformi in entità
vieppiù astratta capace di non occupare né la mente
né il soma. Non s'è costituito pertanto un nuovo livello,
più rapido e vuoto, più ricco d'informazione libera
dall'oggetto concreto, istantaneamente propensa a produrre conoscenza
adatta a un cervello che si nutre di mancanze rapidissime, coerenti
con una realtà che già si dilegua nel momento in cui
si dà (liberamente e con generosità).
Se si facesse a meno dello specchio deformante - dovuto all'improprietà
dell'accoppiamento attuale - potrebbe allora emergere il sostrato
di quanto finora abbiamo avuto il sospetto o semplicemente l'idea
che esistesse aldilà o aldiquà della realtà
evidente. Non soltanto di quella lì fuori - res extensa -,
bensì anche di quella all'interno - res cogitans -, affrancate
entrambe dai legami della coazione a ripetere a sostegno d'una vita,
d'un'esistenza troppo fisse, d'una mente-corpo e d'un oggettività-realtà
mantenute in essere da stati e apparati ormai privi di fondamento
e di utilità evolutivi.
2
Fino ad ora, anche seguendo le più attuali e (all'apparenza)
trasgressive formulazioni della fisica teorica, l'universo ci appare
definito come ente sufficientemente certo: è vero che, se
da un lato è disposto ad ulteriore evoluzione, dall'altro
potrebbe involvere su se medesimo e annichilire in una sorta d'implosione
e ricominciare quindi il ciclo con una nuova espansione. Tuttavia
un tale evento è spostato in un futuro di milioni e milioni
di anni e la cosa appare assai lontana, e perciò non così
preoccupante.
Un universo, assai meno concreto e molto più complesso, è
quanto andiamo a mano a mano prospettando - e in questi ultimi vent'anni
abbiamo percorso moltissime vie della nuova ricerca, in campo scientifico,
artistico, musicale, teatrale, della cura e della conoscenza, dell'oggetto
evidente e della virtualità, della filosofia, del romanzo
e della poesia. Lungo il cammino abbiamo incontrato tantissime facce
dell'universo nuovo, del tutto diverso, posto nell'assoluta differenza:
idoneo persino a non aver necessità d'esistenza. Esso da
un momento all'altro, da un punto all'altro del suo intreccio che
tende all'infinito (di nuova specie), è propenso a scomparire.
A dileguarsi avendo assunto una struttura-materia-sostanza di nuova
specie, che abbiamo nominato Assenza o in-Assenza.
Indichiamo le proprietà fondamentali della nuova condizione
premettendo ad esse la particella a ovvero a-(come asistemica, arelazionale),
con il significato differente dal puro e semplice a (alfa) privativo:
il prefisso ora usato indica cambiamento di sistema: espressione
d'un universo in cui non valgono le regole dei sistemi vigenti.
Le regole di questi non sono più così necessarie e
hanno facoltà d'aprirsi continuamente a nuove e più
complesse leggi d'autorganizzazione specifica (in altro contesto).
L'universo che abbiamo esplorato in questi anni, e le cui realtà
e proprietà vogliamo qui rendere note - soprattutto in qualità
di asistema propenso all'accoppiamento con gli oggetti dello stato
delle cose attuale, siano essi cose-oggetti della realtà
fisica e concreta, la cosiddetta res extensa, siano essi cose-oggetto
della mente: la res cogitans -, si mostra, come abbiamo appena accennato,
in modo assai bizzarro agli occhi d'un osservatore abituato alla
banalità (complessità ordinaria e non a-complessità)
del mondo consueto, del quale una caratteristica primaria è
quella della permanenza.
L'universo allo sguardo in-Assenza - nell'attività in-Assenza
- appare ben altro che nel consueto: esso è sprofondato nella
differenza assoluta; già s'è dissolto in quel nulla
che potrebbe essere ipotizzato quale dissolvimento dell'ordine temporale
(della cose). S'è svincolato completamente da se medesimo:
universo è altro, niente risponde nel modo con cui finora
s'è pensato.
C'è dunque vuoto nel suo centro: è (divenuto) entità
cava, priva di pareti e di contorni (nell'evidenza): così
siamo soliti sintetizzare da ultimo la nuova condizione-concezione
che riguarda lo stato delle cose.
Il moto incessante che lo faceva emergere oltre la soglia di annichilimento
è venuto meno; il moto oscillatorio s'è estinto: in
sua vece è emerso un nuovo universo-nulla, una condizione
o stato peculiare, in seguito al fatto, che la cosa (universo) è
venuta meno a se medesima - rinuncia alla condizione abituale di
sterile rispecchiamento. Altra sostanza, materia d'altro genere,
altro stato. Ciò che era posto quale antecedente - entità
celata, subliminale: intreccio non consueto di particelle in-privazione,
costituito di valori al-negativo, di assenze, come ora possiamo
nominarle - è emerso, inducendo la cosità della materia
a fare a meno dell'esigenza d'una necessità incongrua ed
eccessiva d'esistenza, della concretezza (fisica) in eccesso, del
panico che è comune a tutte le cose di questo universo.
L'universo di cui parliamo - accoppiato a un'attività cerebrale,
anch'essa rispettosa delle nuove leggi -, s'attua molto più
duttile e malleabile; disposto ad essere continuamente rigenerato
secondo forme e linguaggi caratterizzati da grande libertà
ed espressività, non avendo quale fondamento la necessità
imprescindibile d'esistenza e perciò di memoria. Ciò
significa possedere l'affrancamento anche dal dover essere (Dasein),
libertà pertanto d'assumere la proprietà del poter
essere differente (in-differenza) da se medesimo e da qualsiasi
altra entità disposta entro o fuori dell'esistenza-fenomeno
nota.
Un
universo di tal foggia è caratterizzato dall'iperconduttività:
quasi privo di resistenza al suo interno l'informazione viaggia
con velocità elevatissima, con una proprietà apportatrice
di messaggi (a-comunicazioni) di grande ricchezza affettiva e intellettuale,
oltre che di ricchezza asistemica, proprio in quanto non coartato
da impedimenti di vario genere, somatico e psicologico.
Il mondo che s'aprisse allo sguardo in-Assenza ben altro sarebbe
rispetto a quello che appare a un'osservazione consueta!
Se ad un essere pensante, per un puro caso - le probabilità
attualmente sono pressoché nulle - capitasse di passare da
un rapporto normale con la cosa della vita, cui la specie umana
è abituata, ad un'esperienza in-Assenza, certamente si troverebbe
in una situazione per lui affatto anormale, probabilmente indecifrabile.
Sull'orizzonte cui è avvezzo riferirsi nulla più apparirebbe:
il mondo che si riteneva di conoscere - l'intero universo costituito
di cose, eventi, immagini, pensieri, ricordi, idee, progetti, fenomeni,
in generale, è definitivamente scomparso. Nulla gli apparirebbe
nella forma dell'esistenza così come dapprima aveva esperito
e pensato. Nessuna ipotesi d'esistenza è rimasta valida.
Nessuna cosa corrisponde ai fondamenti cui ci si è riferiti
culturalmente e storicamente e, in generale, esperienzialmente a
partire dalle attività dei sistemi (nervosi) superiori umani,
innanzitutto dalle germinazioni del linguaggio astratto e concreto.
L'universo s'è fatto inesistente, privo e vuoto dei fondamenti
ontici e dei riferimenti percettivo-sensoriali secondo i principi
d'organizzazione conosciuti. Nulla del mondo percettivo e sensoriale,
in particolare quello che si riferisce all'uomo ai primordi della
sua storia e del bambino in fase di sviluppo, s'è conservato:
nulla ha potuto resistere al cambiamento che una nuova estinzione
massiva, abbattutasi nella nicchia dell'universo che ha visto nascere
e crescere gli ominidi e le specie successive sempre più
evolute, fino all'attuale Homo sapiens s., ha ingenerato. Anziché
eliminare i trilobiti dai mari o i grandi dinosauri dalla terra,
una ventata ricca d'astrazione e di una particolare forma di mancanza
- simile a una sospensione in-assenza - non si tratta certamente
d'un sassoso meteorite! - , un potentissimo empito, al medesimo
tempo decostruttore e costruttore (in-assenza), una specie di sentimento
di vuoto - non negativo, non angoscioso, bensì aperto e libero
- , quale alleggeritore e trasformatore di oggetti ingombrati e
spigolosi - successivo a numerosissime e acute microcessazioni dal
tempo subliminale sottostanti al sistema relazionale e ad esso intrinseci,
pur nella loro non evidenza fenomenica, una specie di crisi generalizzata,
quale veicolo d'estinzione - ha prodotto l'estinzione del mondo
evidente; l'eccesso di sensorialità-concretezza, come finora
s'è mostrato all'interno di rapporti nell'universo noto -
espressione d'una resistenza malposta, negatrice della conduttività
adeguata a un livello relazionale almeno pari a quello che il linguaggio
astratto-simbolico consente nel dare nome e significato alle cose
pur nella loro non presenza e distanza - ha finito di contrastare
il flusso d'informazioni ad alto contenuto energetico (in-assenza).
Finora difatti era mancata - che sia questa stessa mancanza-assenza
uno dei veicoli possibili della nuovissima fase? - una modulazione-conduzione
dell'attività pensante, non disgiunta dal soma che la produce,
adeguata allo stato delle cose che ha avuto origine con la scoperta
dei linguaggi umani capaci dell'autonomia rispetto alla materialità
degli oggetti, cui il discorso verbale e scritto si riferisce. Un
nuovo linguaggio è pertanto nato, adeguato a parlare di quanto
è mancante: nella mancanza di sé, in assenza del proprio
essere oggetto-pensiero fatto d'un alcunché, sia esso fenomeno
concreto, ovvero stato della mente che, per mezzo delle sue trame
cognitive, s'appresta ad elaborare la medietà del mondo,
ovvero a coglierne l'espressione diretta e non mediata.
12. Introduzione al fattore K
Diciamo già da subito che il fattore K in A, che determina
il piano d'assenza, il mancare, il venir-meno e quanto è
analogo alla morte - a cui è stata sottratta la concretezza
entropica -, al distacco, all'intervallo esistente tra il pensiero
e le cose, è ciò che ha permesso l'evoluzione e che
ora appare nella veste di a-sistema - spiegheremo inoltre le ragioni
di quella a che non è privativa, né esclude alcunché.
E' in-Assenza che sono avvenuti quei passi evoluzionistici che hanno
dato luogo a quelle strane entità della mente, coscienza,
linguaggio, infine astrazione: esse rappresentano gli avamposti
della specie Homo s. nel viaggio possibile verso l'ulteriore mutazione
Homo abstractus, che è lo stadio di cui questo libro pone
le prime pietre - vuote pietre in-Assenza, naturalmente.
13.
La soglia al-negativo
Alla base dei processi pensanti, in particolare dell'esplicazione
del linguaggio, sta una condizione retta da una costante dal grado
zero fenomenico (assenza di evidenza) o sottostante a tale soglia
(al-negativo). Un simile valore corrisponde a quell'accoppiamento
tra l'attività pensante e il suo esterno, propria di Homo
(s.), che permette l'esistenza d'una realtà-universo astratta
dal suo concreto, e cioè non necessitata per esistere d'essere
un alcunché d'immediato sensibile (tangibile). La realtà,
per Homo s., rispetto a quella dell'animale, esiste nella (profonda)
distanza: essa è nominabile e descrivibile; la realtà-cosa
per l'animale è (situata) nell'immediata vicinanza; è
a distanza (prossimità) d'istinto. Per Homo la realtà
è oggetto sensibile e cognitivo con un minor grado di occupazione,
quale cosa (concreta). Essa si situa in una zona intermedia (rispetto
alla distanza profonda che apparterrebbe in realtà ad Homo
Abstractus): sta nella distanza mediata dall'attività mentale
in rapporto alla pulsione istintuale di antica origine somatica
animale. La nascita del linguaggio pone la cosa in quella distanza
dalla realtà (che la renda) pensabile: se la realtà
fosse più vicina (similmente a quella derivata dall'immediatezza
dei bisogni della condizione somatica animale e perciò nella
condizione di pura cosa concreta) essa non sarebbe pensabile (non
astraibile). A causa di ciò la realtà occuperebbe
per intero lo spazio(-tempo) di Homo e lo renderebbe incapace di
relazione (affettiva e intellettiva). Homo sarebbe totalmente occupato
da una condizione di schizofrenia (alienazione): frammentazione
cosale dell'oggetto non separato.
La nascita della coscienza è la condizione a monte in assenza
della quale non si sarebbe attuato il distacco necessario dalla
cosa, così da situarla nella distanza di possibile astrazione;
ovvero che essa si facesse passibile d'astrazione così da
porsi nella distanza idonea a non saturare, impedire a causa di
occupazione - lo spazio adibito all'attività pensante, capace
di descrizione e astrazione.
(Espressività e Aforismi della scienza-nuova 2000)
14. Come abitare la profondità del tempo di cui questa magnifica
musica - I Vespri di Charpentier - vuota risuona avendo essa rinunciato
fin dalle origini del tempo ad emanare qualsiasi pulsazione eventuale
vòlta ad occupare tempo e spazio facenti parti della dimora
del nulla - un nulla peculiare in-Assenza -, la cui veridicità
ed emergenza ogni giorno - e da sempre - da me e dagli altri vado
dichiarando nel dar vita a codesto mio gesto pensante fatto franco
da colpevoli esitazioni?
15. Al di sotto di tutto sta il gesto - il gesto in-nulla - d'un
a-pensare che m'attraversa: esso introduce nella realtà quella
mancanza, in assenza della quale ormai da più parti s'innalza
il grido che implora che le cose finalmente - a buon diritto e con
raggiunta consapevolezza - possano cessare (della loro inutile virulenza).
16. Essere tra i vivi essendo già morti: essere altri (vivi)
oltre-la-morte.
Nessuno
di coloro che pensa è vivo d'una vita che sia priva d'un
segno di mancanza. Nessuno è infatti totalmente saturo di
quella condizione naturale-materiale che di sé ha occupato
il mondo: ogni uomo già è per un piccolo o grande
tratto morto; è deficitario d'un alcunché così
da esser-meno di quel tanto o di quel poco che gli permetta di volgere
ad altro (differente dall'essere totalmente vivo). In tal guisa
e orgogliosamente dichiara l'appartenenza a quella specie che per
prima e unica fu pensante.
17. In-Assenza è vuoto di vita, e vuoto di morte. La morte
non ha differenza dalla vita. La morte astratta, sì: essa
è morte equivalente al tremendo anfratto oltre l'oscillazione
di vita e di morte; così essendo è morte salutare.
Muore la vita, muore la morte: mettendosi a pensare la vita diviene
mancante la morte. Muore la vita, è ferita mortalmente la
vita, sanguina la morte ... Vita-morte oltre la fenditura (Spaltung)
che separa dall'oggetto concreto: muore la cosa, si schiude il pensare:
vuoto pensare; vuota tragedia, estrema letizia in-assenza di vita,
caduca la morte.
18.
Intorno alla dimensione temporale E' veramente un mistero riuscire
a cogliere quella dimensione (particolare) del tempo in cui esso
non scorre, dove cessa ad ogni istante: si lascia tuttavia recepire
come entità concreta e al medesimo tempo oltre-il-reale,
differente da ogni altra cosa del mondo e allo stesso tempo ad essa
strettamente relazionato, tanto da permettere che l'atto pensante
- il cogito - si faccia traccia visibile, cui tutti gli uomini possano
accedere sia pure a grande fatica; ed esso sia ben posto, consapevole,
ricco e significativo.
19. "Perché proprio la dimensione temporale?" Perché
ad essa appartengono gli intervalli - di tempo - dei quali consiste
la cessazione della cosa: la fine di ogni cosa è lì,
ad ogni istante. La fine di me che scrivo è qui, in questo
istante. La musica che compongo termina in ciascun pacchetto di
cellule di tempo in-musica che il mio gesto propone. La proprietà
cui la dimensione temporale (intemporale) si riferisce è
la più complessa che Homo s. abbia prodotto e con la quale
si sia accoppiato dando inizio agli oggetti del mondo e alla loro
storia insieme con la propria.
20.
Dov'è l'impossibile - radicale è l'assenza - con pudore
e determinazione si fa avanti la salvezza. (Cum-Hölderlin)
c.
A mano a mano che gli strumenti della conoscenza si fanno più
sottili il mondo che conosciamo sempre più s'allontana da
quell'immagine, da quel sentire che senza sosta sperimentiamo in
modo inutilmente e in eccesso tangibile (privo d'assenza).
21. Del pensare (in-concreto) F.'89
1. Pensare (entro) niente (come) qualcosa di differente da(l) niente.
2.
Come se niente fosse alcunché - di differente da(l) niente
-, essendo (il) niente pensato.
3.
Allora niente è come una sostanza bianchiccia e solida, fatta
a forma di cupola che s'inclina su un lato; s'alza da niente, si
differenzia un poco dalla linea più bassa consistendo in
qualcosa.
22.
La vibrazione al-negativo A.S.
Una vibrazione al contrario (al-contrario), un'antivibrazione, se
così si può denominare in analogia con le cosiddette
antiparticelle - una vibrazione con il segno negativo - è
la responsabile fondamentale di tutte le forze che si mostrano nell'universo.
L'universo che vediamo e ci rappresentiamo non è altro che
l'estrinsecazione anomala, casuale di questa energia al-negativo.
Alla base dell'universo c'è un'antiforza, uno stadio di forza-energia
subliminale che ha la capacità di dare alla luce un universo
che è espressione d'un raggio di luce-materia passata attraverso
una lente deformante che lo renda visibile, palpabile ai nostri
apparati fisici - sensoriali e percettivi - tuttora grossolani:
essi non sanno recepire alcuna cosa che non sia differente da ciò
che è nominato nulla=nessuna cosa.
a. Gli apparati periferici di Homo s. - e così anche l'attività
centrale del suo sistema - non sono in grado di recepire ed elaborare
(un) nulla che porti il segno che lo distingua (rappresenti-la-differenza)
dalla semplice condizione di mancanza di cosa.
b. Il pensiero umano è in grado di cogliere la mancanza,
l'assenza unicamente in relazione ad un alcunché: la mancanza
o l'assenza che non abbiano una qualche relazione conosciuta con
l'oggetto - che viene a mancare o che si fa assente - non hanno
significato date le attività conoscitive attuali di Homo
s.
A.S.
23. In ciascun essere vivente e pensante è manifesta (a un
livello subliminale) la sua morte, la sua cessazione. Chiamiamo
ciò morte astratta. Se ciò non fosse, non potrebbe
mai essere esistito colui che diciamo essere capace (capiente) del
cogito.
A.S.
24. L'atto del pensare - dell'io penso - è conseguenza del
modo secondo il quale la morte astratta fa parte del sistema vivente-pensante.
Quanto più tale caratteristica è parte integrante
del sistema vivente-pensante, tanto più questo assume la
tendenza a recepire l'atto(-gesto) del pensiero, a trattenerlo ed
elaborarlo, e a manifestarlo con libertà e piacere.
A.S.
25. Affermiamo essere la morte astratta il veicolo principale per
mezzo del quale la corteccia cerebrale e la sua attività
superiore si sono sviluppate. La morte astratta è dematerializzazione-deconcretizzazione
della morte concreta; quest'ultima si attua con una cessazione imperfetta,
entropica, massimamente disordinata e saturante del sistema vivente.
L'insorgere nelle fasi dell'evoluzione d'una regolarità secondo
cui le cellule viventi potessero replicarsi - e perciò l'insorgenza
d'una costanza tra eventi di vita ed eventi di morte con fasi regolari
di ricambio - è ciò che ha permesso l'evolversi del
sistema vivente verso i suoi stadi superiori con lo sviluppo delle
parti complesse del cervello-mente. In esso confluisce pertanto
il sistema morte-cessazione regolare.
A.S.
26. L'autoregolazione del processo vita-morte (vedi apoptosi) ha
dato origine a quella separazione necessaria (differenza) tra sistemi
inorganici e organici: in particolare ha dato espressività
a una sorta di scissura che ha differenziato i sistemi non viventi
da quelli pensanti (e viventi) e successivamente questi da quelli
(più) astratti (viventi) nella direzione della specie nuova
Abstracta-absens.
A.S.
27. La dematerializzazione dello stato di morte è una sorta
di estinzione-cessazione-oblio nell'ambito concettuale e materiale
di ciò che è (il) finire, (il) terminare. Si può
considerare come un'assenza all'interno d'un sistema in cui già
vige una tendenza al mancare.
28.
Buddhità e Assenza A.M.
Come si trova nella dottrina buddhista la mente vuota è il
fattore unificante; tramite esso si corrisponde a un universo vuoto:
l'interazione tra i due enti (vuoti) dà origine a un nulla
che è stadio ulteriore da cui è possibile che le cose
abbiano origine dalla profondità del vuoto (in-Assenza),
nella differenza da se medesimo e da tutto il resto.
29.
La soglia di realtà A.S.
Si tratta di questioni di soglia: ammesso che la realtà si
manifesti al di sopra d'un certo livello di soglia, quanto rimane
al di sotto di essa è da ritenersi pari a nulla (un nulla
di differente specie).
Esiste un grado di soglia delle attività nervose periferiche
e centrali, al di sopra del quale la realtà è manifesta,
al di sotto del quale la realtà è nulla, pari allo
zero, ricco d'informazione di genere differente (asistemico).
Se il livello (o grado) sopraddetto fosse spostabile a un gradino
inferiore, dovrebbe ammettersi l'emergenza d'un altro stadio (o
stato) della realtà, prima occultato. Dovrebbe pertanto potersi
ammettere un ulteriore accoppiamento tra l'attività pensante
e percettiva e la realtà ad essa corrispondente, con l'evidenza
(subliminale) d'altro livello consapevole.
Ma poiché un siffatto stadio d'interazione è ritenuto
pari a zero, la realtà e l'attività ad esso corrispondente
che ne deriverebbe, sarebbero anch'esse pari a zero e perciò
mancanti d'evidenza (di quell'evidenza manifesta nel sistema consueto).
O forse, più verosimilmente, (il sistema vigente) s'aprirebbe
a una differenza - quella a-differenza non pensabile, la differenza
assoluta -, essendo il nuovo grado di realtà - accoppiato
alla nuova entità pensante - d'altra origine, d'altro costrutto,
d'altra essenza; esisterebbe (al-negativo) del grado subliminale,
un grado ritenuto pari allo zero - o all'inverso, e al di fuori
cioè della possibilità di comprensione e esistenza
verificabile dato l'accoppiamento attualmente manifesto che indica
come unico reale l'oggetto d'esistenza e d'evidenza (sopra e analogamente
alla suddetta soglia).
30.
Contra il cognitivismo A.S.
Il pensiero (in-Assenza) è atto-disposizione in piena libertà
- senza necessità di contenuto di cose, parole e mezzi di
relazione finalizzati. A ciò rinunciando il soggetto agente
s'è affrancato dall'essere il misero e triste contabile a
servizio dell'esigenza d'un oggetto signore del mondo (esso tale
era e così finora s'è confermato) pur non avendo né
meriti né qualità particolari, adeguato a siffatta
posizione di privilegio di cui fin dal principio esso s'era impossessato.
31.
(Pensare per-assenza) Numeri '92
Poco ha pensato la vita circa il suo cessare (il morire): il ritorno
al nulla - all'orrido vacuum - è infatti una vergogna a cui
occorre porre rimedio.
Soltanto se la vita sarà capace d'esser altro - diventare
perciò qualcosa di assolutamente diverso da quella condizione
entro la quale ha fatto la sua apparizione nell'universo: sarà
cioè capace di staccarsi dalle sue tendenze primordiali -
allora il morire - e il vivere - si faranno accettabili, essendo
congrui con il pensare. La morte diventerà morte biologica
naturale aperta sulla mancanza della cosa - un nulla favorevole
e chiaro.
2.
La vita, prima di venire al mondo, avrebbe dovuto pensarci almeno
due volte: una volta per esserci, una volta per non esserci - essendoci
stata -, e così cessare in pace.
3.
Il silenzio di cui si tratta è quella condizione data la
quale, mentre la vita e la morte altrove si svolgono nel luogo per
altro ad essi deputato, nel centro tutto è (già) cessato.
4.
Esiste una vita ch'è priva di morte: essa non ha né
traccia né forma visibili.
Nasce e muore (cessa) nel luogo dove tutto quello che c'è
ha imparato a non essere, a tacere una volta per tutte.
5.
Occorre che gli uomini - gli unici esseri per ora coscienti - facciano
tacere la vita e con essa la morte, perché il nuovo livello,
esente da vita e da morte esprima la proprietà d'essere (il)
vuoto, (l')altro e (il) necessario.
6.
La vista dovrebbe farsi silente: una volta dicevo che si sarebbe
dovuto diventare ciechi, così da non vedere più con
gli occhi di sempre. Il mondo sarebbe apparso ben altro, di differenti
fattezze e composizione, d'altra complessità e nella forma
compiuta del vuoto-assente.
Se gli uomini divenissero ciechi, le cose potrebbero liberarsi della
traccia loro consueta in eccesso aggressiva, estroflessa a causa
della barriera dei sensi, in particolare della vista.
7.
Paradossalmente si può vivere senza materia e senza una percezione
materiale
del mondo. Esimendosi dall'essere puri spiriti.
Lo spirito non esiste, in effetti, così come non esiste la
materia. Sono le facce della stessa medaglia. Per vivere in-assenza
non occorre nulla; basta quel nulla di cui sono fatte le cose e
il pensare con esse, essendosi il pensare affrancato dalla cosa
in cui riflettersi.
8.
Nella materia - in tutte le cose del mondo - è implicito
un errore doloroso nella loro conformazione: mancano dell'estinzione,
non hanno appreso a cessare in modo definitivo.
Non avendo nella propria struttura la condizione della cessazione
- che è simultanea alla costruzione - , la materia ha dovuto
inventarsi un surrogato di questa, ch'è la morte, la destrutturazione:
la materia, la vita muoiono, ma non cessano (immediatamente) della
loro traccia mortale e mortifera.
Della a-terapia.
9. Occorre proporre agli altri, in particolare nel corso di una
terapia, l'apprendimento dell'estinzione, equivalente alla cessazione
totale della realtà quale ente fenomenico; la condizione
per cui la traccia sparisce, è stato fondamentale alla base
della costruzione del mondo e, in particolare, è mezzo per
la guarigione del singolo e della specie.
10.
La vita e lo spirito che l'accompagna nell'attualità non
sono che nulla, un nulla vacuo e opprimente, un nulla non realizzato;
esso non s'è fatto ancora Homo cogitans, ovvero altro.
11.
La vita e la morte cui solitamente siamo vincolati esistono quali
involucri messi attorno a un'entità vuota all'infinito in
cui nulla è.
Ma quale vita, quale morte? Quale nulla?
Il nulla di cui trattiamo non è il nulla che l'uomo solitamente
prefigura: non è immagine, né rappresentazione di
alcunché, né il suo contrario: è analogo a
una nuova entità dalle proprietà peculiari del non-essere,
del partecipare dell'assenza: è estinzione nella quale e
per la quale la vita e la morte appartengono al dominio del non-essere,
del mancare, essendo cessati.
12.
L'assenza non ha ancora un luogo accogliente e congruo entro la
ragion pratica degli uomini.
13.
Ritengo che la nascita d'un diverso grado di coscienza e perciò
d'un nuovo stadio entro la materia, produca, nel volgere d'un certo
lasso di tempo - perché i vari stadi della materia siano
interessati - un rivolgimento dell'intero sistema della materia
vivente: la coscientizzazione, l'immentazione della mente daranno
origine ad altre simili conformazioni in un rapporto in-altro (sistema)
che si differenzia-per-distacco e, sotto forma di vuoto-assente,
si propaga nel vuoto e di esso compartecipa.
32.
Pensare F.'89
Come se al niente appartenesse un alcunché, simile e al tempo
stesso totalmente differente sia dalla cosa che dal niente (solitamente
pensato).
C'è niente? Diverso da niente e da qualcosa?
Là: è distacco, vuoto, mancanza, in analogia a un'assenza:
essa s'è liberata dal suo stesso essere assente, divenendo
feconda (di niente).
33.
Lemma alla legge d'inclusione A.S.
Un sistema capace di minore resistenza (di minor occupazione) avrà
(nel tempo) prevalenza in un sistema gravato da maggiore occupazione
a causa di (maggiore) resistenza, così da includerlo (vuoto).
34. Progetti conclusi
Tutta la vita egli aspirò e progettò - si potrebbe
anche dire - "acqua che fluisce e mai si fissa", anziché
rimanere nella condizione comune a tutti gli altri esseri in vita
di "acqua stagnante". Fu esaudito; d'improvviso, a un'età
in cui la morte non è ancora di casa, uscì dal flusso
apparente ed appariscente degli stati e degli eventi che la vita
mette a disposizione e mai più tornò a farne parte,
essendo stato accolto dove il nulla manca persino di se stesso e
talvolta si compiace di contemplare la sua assenza nell'instabilità
dell'acqua che scivola via ora placida ora svelta. 35. "La
spiritualità non è né bene né male".
E' un modo concreto e immediato, direi un modo infantile d'esprimere
le caratteristiche a fondamento d'un sistema che per sua natura
ha la tendenza a de-materializzarsi (de-concretizzarsi=farsi meno
concretamente presente, farsi (più) assente).
36. Esiste in natura una nuova categoria - medium - per conoscere
e vivere la cosa; per suo tramite la cosa diviene non-cosa, equivalente
a un nulla che è pari alla mancanza assoluta (assenza) della
cosa stessa - altra diviene da come finora è stata esperita
e riconosciuta.
37. La realtà, così come la si osserva e la si esperisce,
rappresenta il residuo di una attività del cervello di Homo
ancora abituato a leggere e a esperire il mondo (e se medesimo)
secondo modalità e criteri che ne fanno un oggetto in eccesso
concreto (stipato, materico): a un'attività più matura
(più attuale) la realtà apparirebbe invece quasi completamente
de-materializzata fin nella sua scaturigine, analoga per certi aspetti
alla realtà virtuale (smaterializzata), alla realtà
del sogno.
38. Chiamiamo a-sistema assenza una nuova condizione dell'oggetto
realtà: esso è espressione del mutamento che s'è
verificato in seguito alla mutata attività dell'apparato
cognitivo di Homo: quanto s'è emancipato da quella condizione
per la quale la realtà era necessitata ad essere (anziché
a mancare) a causa d'un apparato ricettivo che richiedeva a gran
voce un oggetto in cui riflettersi e nel quale ripetersi, anziché
un mezzo tramite il quale assumere quella differenza che rendesse
il sistema libero dal dover presenziare - e perciò assente
- quale oggetto fisso e concreto.
39. Se alla nascita si verificasse la recisione del cordone ombelicale
in modo radicale - anche psicologico, e perciò fosse attuata
la separazione senza ritorno del bambino dalla madre (con la morte-astratta
del sistema intrauterino) -, entro la differenza apertasi nello
spazio compreso tra i due enti potrebbe da subito essere inclusa
la morte come termine e superamento della vita anche psicologica:
il bambino (insieme con la madre) si porrebbe sulla strada dell'assunzione
(apprendimento) di nuovo tipo di un ente realtà (interna
ed esterna) per lo più espresso da una dimensione equivalente
a nulla (mancante dell'oggetto intrauterino e del suo generatore
- la madre).
a. La separazione radicale (il distacco da un sistema generatore)
è luogo (mentale) idoneo a dar origine a quella peculiare
facoltà che permette l'affrancamento dalla necessità
che il mondo e la vita(-morte) abbiano esistenza evidente.
40. Se nelle diverse fasi che si susseguono durante lo sviluppo
dell'organismo psicobiologico umano - dalla nascita in poi - fosse
accettata (e acquisita) senza compensazione la condizione di separazione
che in esse emerge, il sistema uomo assumerebbe quello stadio di
ulteriore maturazione che ha la proprietà del morire (esser-morto)
in ogni tratto della sua storia, senza accumulare lungo il percorso
di vita il peso ostinato della morte(-vita), entità concreta
che s'oppone al cessare (cedere ad-altro).
41. Il peso della morte, che deriva dall'incapacità attuale
e per ora ineludibile del sistema uomo di separarsi dall'oggetto
generatore e da quello proiettivo (madre e cosa), è ciò
che impedisce di cogliere quell'assenza da cui deriva una realtà
sgombra del proprio oggetto concreto (una realtà de-materializzata
e vuota nella sua scaturigine sensoriale e ideativa).
42. Il linguaggio umano rappresenta l'espressione per ora più
complessa esistente in natura: in esso è data la facoltà
a un oggetto d'esistere - aver segno e sostegno -, affrancato dalla
necessità della sua presenza (concreta).
Lo stato in-assenza rappresenta quello stadio in cui il linguaggio
- capace della mancanza di cosa - passa ad ulteriore stadio di mancanza
(ulteriore-cessazione). Il linguaggio diviene vuoto, non necessitato
di valore concreto e referenziale, libero dal significare (un alcunché),
eppure ricco assolutamente di senso.
43. Non c'è altro che assenza: ogni cosa, ogni idea finora
in-essere fanno parte d'un mondo che già s'è estinto
in-realtà.
44. La realtà, con la quale quotidianamente facciamo i conti,
non ha esistenza effettiva: essa è la speranza-proiezione
d'un corpo-mente-cervello che applica il suo dominio generando senza
sosta un universo di nient'altro se non di cose e di idee-cose a
compensazione del timore del vuoto (horror vacui) concretizzato.
45. E' ipotizzabile che, qualora la neo-corteccia - la più
recente acquisizione del cervello di Homo - fosse affrancata dalle
continue sollecitazioni dovute alle altre aree più antiche
evoluzionisticamente, si porrebbe fine alla produzione di quel mondo
che comunque esterniamo insieme con la vita che viviamo: in loro
vece s'attuerebbe una dimensione costituita prevalentemente d'un
nulla cosciente, mancante d'un oggetto concreto su cui si è
soliti soffermarsi, coprirsi e ricoprirsi, celare e celarsi.
46. Il pensiero umano continua da sempre a produrre i suoi segni
per confermare a sé la propria esistenza: un'enorme, quasi
infinita parete gli si erge di fronte tutta rigata dai suoi scarabocchi
(si può trattare tuttavia anche di disegni ben fatti): essa
sta lì per ricordargli che la strada è sbarrata da
quel suo stesso incessante descrivere e copiare, fare e rifare senza
sosta né fine, d'un universo che risulti quasi totalmente
occupato da questa inutile azione a causa del timore d'una morte
incombente, apportatrice fin dal primo vagito d'un'idea di vuoto
del tutto falsa e occludente.
47. Perché (il) morire? Perché, qualora la morte fosse
buona, il vivere potrebbe inabissarsi là dove finalmente
sarebbe in grado d'emergere libero; e tal luogo daccapo generarsi
oltre la linea intorno alla quale ogni uomo impavidamente e inconsapevolmente
s'è avvinghiato, attraversando solitario o in gruppo con
gli altri la vita.
Circa la morte(-vita) astratta
48. Non ha importanza l'essere in vita piuttosto che l'essere morti;
la vita e la morte si corrispondono sullo stesso piano: a chi vive
(nell'eccesso consueto del vivere) si contrappone la paura del morire.
Per chi invece ha appreso il vivere vuoto del suo eccesso, il morire
appartiene al medesimo stadio, ulteriormente de-materializzato,
privo, cioè, di attaccamento (alla vita), idoneo a sostituirsi
ad essa senza durezza, senza frammentazione (libero da schizofrenia).
49. Alla vita deve corrispondere almeno un eguale quantitativo di
morte quale mancanza, pena l'eccessiva concretizzazione: la vita
deve accogliere in sé morte-astratta, in modo tale da dare
vita all'afflato (soffio) dell'attività pensante.
50. La morte, generalmente considerata, appartiene all'area della
morte concreta: essa agisce sulla stesso livello della vita biologica
inconsapevole. E' residuo dell'evoluzione della materia e, specificatamente,
dell'arduo passaggio dall'animale ad Homo.
Lungo tale passaggio non s'è verificato la perdita completa
della traccia di morte (concreta): essa appesantisce fin dalla nascita
il tragitto di Homo.
51. Il decremento di morte concreta(=vita concreta) permette al
nuovo stadio Homo d'avere a disposizione una certa potenzialità
di pensiero (d'attività pensante). Qualora la morte concreta
(mors animalis) non decrescesse, Homo si troverebbe ad essere in
vita impossibilitato a cogliere la propria e l'altrui realtà
essendo carente dell'idoneità all'astrazione, e perciò
impossibilitato all'accesso allo stadio simbolico; a causa di questo
deficit s'ammalerebbe (e morirebbe).
52. Mors concreta è quel quantitativo di morte che tende
ad ammalarsi già all'inizio della vita: è morte priva
d'interstizi, stipata e grezza, morte patologica incapace di nutrirsi
dell'attività pensante: opponendosi ad essa stringe d'assedio
il mondo soffocandone lo spirito libero.
53. Ad ogni vita corrisponde un'equivalenza di morte: se non ci
fosse la morte non ci sarebbe vita pensante (vita astratta).
54. La vita senza morte non avrebbe mai potuto procedere nell'iter
evoluzionistico lungo il quale s'è sviluppata la neocorteccia
cerebrale, capace di linguaggio e di pensiero astratti (assenti).
Pensare (in vita) significa attraversare la morte che si fa assente
(della propria concretezza inconsapevole). Così facendo si
sottrae alla vita l'equivalente concretezza inconsapevole.
55. Morire in vita (in-vita) significa accedere all'attività
pensante (astratta).
56. L'organismo si deve fare vieppiù adatto a morire in-vita
[morire senza tralasciare la consapevolezza (del morire)].
57. Morire in-astratto - equivalente al morire (vivere) in-assenza
- è perdere l'eccesso di concretezza [eccesso di vita(-morte)],
così da disporre di sostanza da pensare di migliore qualità.
58. A mano a mano che la vita in vita muore (invecchia), se c'è
accoppiamento con il morire astratto (con la consapevolezza simultanea
del non-esserci), l'organismo apprende a pensare, fino alla sua
morte naturale, vieppiù idoneo a pensar-altro: con un ulteriore
stadio di coscienza-sottile.
59. E' stato necessario (di fondamentale importanza) che la vita
avesse appreso a morire [nel modo ordinato (apoptosi)]. Con ciò
è emerso quel processo d'accoppiamento con la morte che l'ha
condotta a costruire il nuovo stadio corticale. E' con il suo tramite
che s'è accoppiata con la morte astratta, così da
dare luogo all'Assenza che è luogo della mancanza(-astratta)
in assoluto di realtà e conclusione di quell'attività
concreta del cervello affetto dalla pulsione di morte concreta (d'origine
animale).
60. La morte (astratta) è la sostanza a fondamento della
vita cosciente: senza tal genere di astrazione la vita sarebbe totalmente
segregata entro la condizione di morte-vita concreta (schizofrenia
di vita).
Ciò solitamente dà luogo nella clinica alla patologia
schizofrenica.
61. Premessa della vita complessa è paradossalmente la morte
(ordinata e astratta): in mancanza di tale gradiente la vita non
potrebbe esprimere il suo carattere astratto e, perciò, morirebbe
(di morte concreta), non avendo appreso a cessare (in alcuno dei
suoi stadi).
62. Nella malattia schizofrenica esiste un eccesso di morte (concreta)
che s'accoppia (in eccesso) con una vita (che si fa concreta). La
conseguenza implica una frammentazione del pensiero che non riesce
a sollevarsi da un'endemica sterilità e discontinuità.
Qualora la morte in eccesso concreta si trasformasse in uno stadio
più astratto, l'insieme vita-morte potrebbe tralasciare il
vecchio sistema vita-morte umano segnato da un equilibrio che si
basa sulla paura (che la vita ha di cessare, di perdere il rispecchiamento
di sé).
63. Se si verificasse il distacco decisivo (senza ritorno) dalla
madre, il bambino sperimenterebbe la condizione di morte-in-vita:
se affettivamente accoppiato, il bambino di Homo incomincerebbe
ad apprendere l'essere-morto-in-vita (l'essere altrimenti in-vita).
64. Nel cervello umano è già matura l'idoneità
all'accoppiamento in- assenza . Ma ciò non si verifica in
modo congruo; quale ne è la ragione?
Il cervello di Homo già pensa in-assenza, ovvero tramite
lo stadio - sostrato catalizzatore - detto in-assenza. Tale livello
è già parte della sua struttura e del suo (potenziale)
linguaggio; allora perché tale stadio non emerge in modo
evidente? Perché Homo non ha la consapevolezza dell'assenza
di mondo, ovvero dell'inesistenza d'un mondo fatto di cose, di sensazioni
e di pensieri permanenti (fissati una volta per tutti) cui nella
fase attuale ancora è attaccata?
Il pensare di Homo si mostra quale sintomo della sua antica e primigenia
malattia schizofrenica; essa comporta la tendenza alla parcellizzazione
dell'oggetto, alla sua espulsione e confronto non sufficientemente
oggettivati, alla mancanza d'idoneità affettiva che lo comprenda,
alla scadente distinzione relazionale e cognitiva propria d'un mondo
fatto di cosa.
65. Il pensare è espressione pallidissima dello stadio denominato
assenza: equivale all'ombra della Caverna di Platone, rispetto alla
luce di cui è costituito lo stadio in assenza che è
lì fuori dalla prigione della coazione di vita e di morte.
66. Lo stadio in-assenza è stadio oltre-il-pensare. Ad esso
si accede a condizione che la vita e il suo pensare (stato-cosciente),
insieme con la sensibilità, siano cessati: il segno di assenza
indica che il cervello (la mente) ha cessato d'emettere i consueti
segnali del linguaggio ordinario.
67. Perché il cervello (la mente) non pensa in-assenza, non
assume il livello a sé congruo che è quello d'astenersi
dal nutrimento di forme-idee viventi (astratte e non), nonostante
il fatto che esso, in realtà funzioni entro i confini della
condizione di un nulla astratto?
Il cervello-mente non cessa della sua presunta esistenza (quale
ente concreto); non s'assume con ciò la morte-cessazione
dell'attività che gli è propria: è certamente
sollecitato da quella condizione di vita che non ha ancora appreso
a cessare. Qual è la ragione d'una simile carenza, se gli
apparati biologici già hanno accettato di morire nel loro
costante rinnovarsi?
68. E' vero che gli organismi hanno accettato di morire - il morire
ordinato -, ma solamente al fine di dare vita ad altri organismi
ulteriormente complessi (e soltanto nella nicchia nella quale si
sono sviluppati gli organismi complessi capaci di pensiero); ciò
non è avvenuto nel resto del sistema, dove la prevalenza
è quella dei sistemi semplici (batteri). La vita tende comunque
e ovunque a confermarsi. E' pertanto verosimile che nessun organismo
abbia ancora assunto la morte-cessazione nella sua interezza, il
che comporterebbe un venir meno senza alcuna compensazione accessoria.
Assenza è a-sistema; nulla ha a che fare con i sistemi precedenti,
eventualmente presenta qualche analogia con quei sistemi che hanno
percorso un iter che li ha condotti al processo del pensare.
69. Se l'attività pensante di Homo apprendesse ad astenersi
(dalla vita) s'avvicinerebbe ai bordi d'un differente livello (a-sistemico),
secondo i cui criteri non è necessario essere (esserci).
70. Il pensare di Homo s. non ha appreso a considerare se medesimo
nella condizione assente, e cioè come già estinto
—> espressione d'un nulla (rispetto alla vita evidente).
La vita di Homo s. non ha appreso a vivere la mancanza (astensione-assenza)
di vita; essa intende riconfermare se medesima pur essendo espressione
della propria mancanza-assenza, essendo divenuta vita pensante.
71. Homo s. è il pallido ricordo di se stesso: egli non esiste
più, invero non è mai esistito. Egli è soltanto
il frutto d'una mente che crede che qualcosa sia invece che nulla.
72. L'intero universo visibile (anche quello non visibile) è
espressione del sintomo d'una malattia mai guarita: il pensiero
umano s'ostina in modo coattivo a tenere in vita ciò che
già da sempre è finito.
I corpi, le sostanze, le cose, tutte le realtà sono evidenze
concrete (materializzate) d'una traccia che non s'è estinta
come avrebbe dovuto nel momento in cui s'è iniziato a pensare.
a. Pensare significa credere che niente sia, ovvero non credere
in-nulla (di esistente, nel modo dell'esistenza).
73. Non si tratta affatto di nichilismo: questo è traccia
d'un pensare che non vuole cessare insieme con la vita (e la morte).
Deriva da uno stadio evoluzionistico che la mente - che pensa ancora
nella catena di causa ed effetto - indica con il suo vano chiacchiericcio
in quanto cosa che è, anziché non-essere.
Aforismi sulla cessazione e il pensare
74. La cessazione - ogni tipo di cessazione ordinata - è
(il) motore del mondo.
75. Dalla cessazione (ordinata) della materia vivente ha origine
la materia - attività pensante.
76. Noi pensiamo tramite l'interstizio (intervallo-spazio assente)
che la cessazione (ordinata) della vita (ed altro) induce nel sistema
universo.
77. Pensare è conseguenza del cessare della vita: è
conseguenza dell'uscire da essa - dell'esser fuori tout- court -
dallo stadio temporale noto.
78. Ogni cessazione di tempo è linfa per l'attività
pensante (astratta).
79. Ad ogni istante del tempo cessa l'universo osservabile (ai sensi
relazionali noti) in modo subliminale: in modo congruo e simultaneo
corrisponde a tale cessazione un universo visibile all'organizzazione
più profonda (che trasmette l'informazione al vecchio ordine
sensoriale che recepisce così un universo estinto).
80. La vita cosciente è espressione d'un mondo reale (d'un
oggetto realtà) che è già estinto (per sottrazione
di tempo).
a. Ciò che noi viviamo è espressione d'una vita che
già non è più.
81. Vivere ora corrisponde all'essere già la vita-estinta
con la comparsa simultanea della materia del pensare (e vivere).
82. Non c'è tempo presente, in realtà. Tutto il tempo
è già estinto: ciò che resta e che noi recepiamo
è il tempo della vita che già s'è estinta:
essa insiste a produrre una traccia (di vita) al posto d'un nulla
più reale.
83. Ciò che distingue profondamente e decisamente Homo sapiens
dall'animale da cui deriva per trasformazione evoluzionistica è
il modo differente del morire (cessazione della vita) piuttosto
che il linguaggio (astratto) della sfera evidente.
Il morire di Homo deriva infatti dal cessare della vita cosciente
- capace cioè del linguaggio dei segni e dei simboli. Con
la morte d'un organismo capace di linguaggio segnico e simbolico
s'attua un piano d'espressione subliminale, capace di assenza: la
vita (pensante) è cessata; in sua vece sta la mancanza (astratta)
di linguaggio segnico e simbolico, ovvero sta un'assenza idonea
all'induzione d'un universo ulteriormente astratto, cioè
ulteriormente vuoto (di vita concreta) e complesso.
84. La vita e l'esperienza che vengono vissute solitamente sono
la parte residuale di immense estinzioni avvenute milioni d'anni
fa, tramite le quali s'è affermato il principio d'una fine
ordinata, ovvero d'uno sviluppo complesso degli organismi. Ciò
che è rintracciabile (osservabile) nell'universo evidente
è quanto emerge da un sostrato molto più ampio costituito
da una dimensione subliminale prossima a uno stadio d'assenza: questa
a sua volta deriva dalla morte per estinzione di grandi e numerose
masse viventi.
Il cervello vede, sente, organizza ancora sulla base d'una condizione
vivente passata - precedente all'estinzione - , pur avendo sviluppato
la capacità di elaborare (e cogliere) la dimensione di assenza
da cui hanno origine la vita pensante e la cultura umana.
85. Con ciò si constata che il cervello è una macchina
(già) pronta ad elaborare e a decidere sulla base dell'assenza
di vita, e cioè secondo ciò che indichiamo come nulla
(della cosa e della vita). Tuttavia è continuamente ingannato
e fuorviato dalla condizione (traccia) di vita che gli deriva dalla
antichissime origini di questa e, in particolare, dalla traccia
della coazione a non cessare di moltiplicarsi, così da risultare
non congruo con l'atto del pensare [atto che emerge in seguito all'instaurarsi
del processo ordinato della morte (apoptosi)].
86. La cultura, così come ogni forma capace di distacco,
in particolare l'affettività (matura), è dimensione
più vicina al nulla, avendo differenza dallo stato di natura
(pulsioni, drives, eccetera). La cultura è stadio capace
d'astrazione: è stadio ricco di linguaggio astratto. Per
tale ragione essa è stadio ambito per il sistema Homo s.
che ha tendenza all'organizzazione astratta e complessa.
a. Qualsiasi ambito, che abbia rapporti con quanto chiamiamo nulla
- ovvero la tendenza a differenziarsi (distaccarsi) da uno stadio
naturale privo di (altra) definizione - è ambito dal suddetto
sistema che esprime (ed è espressione di) tale tendenza.
87. La morte di Homo s. non è stadio in opposizioni alla
tendenza di tale sistema: potrebbe infatti verificarsi in tale situazione
proprio la condizione di accoppiamento congruo capace di facilitare
l'emergenza di quell'ulteriore stadio in-assenza che è nutrimento
dei sistemi pensanti.
88. Allo stadio in-assenza corrisponde l'accoppiamento che s'attua
tra la cessazione d'un sistema (vivente) e la propensione - che
ad esso è congrua - al nulla [inclinazione al nulla astratto
(sine materia) che è inclinazione alla cessazione senza legami
(distacco in-assoluto)].
89. L'atto del pensare in-assenza (il pensare-oltre-il pensare)
è espressione di nulla (relativamente al pensare e alla materia).
E' atto pensante che s'è ulteriormente de-materializzato.
Come l'attività del pensare è, rispetto ad altre attività
vitali, una condizione sine materia e, pertanto, prossima ad uno
stadio di nulla (più vicino al nulla che non le altre attività
umane più concrete ed evidente), così lo stadio in-assenza
- che è oltre-pensare - è stadio ulteriormente accoppiato
con il nulla. Tale (non) ente - che per il pensiero consueto è
luogo di nulla, d'assenza d'oggetto reale, è anche espressione
di de-materializzazione, (avvenuta) mancanza di oggetto concreto
e di fissità. Il nulla è associato nel pensiero comune
con la morte e a quanto essa allude: un mondo estinto e perciò
un mondo totalmente morto, privo di vita.
A tale considerazione consegue uno stato siffatto che sia totalmente
deficitario rispetto a quanto si produce in vita. Nello stato di
morte (cessazione di vita), non ammette alcuna espressività,
se non l'idea della presenza d'un nulla vago e indefinito, un nulla
regressivo, un oggetto che consiste di tale indefinizione poco astratta
e che occupa l'intero spazio e tempo; diciamo che è accoppiato
a tale stadio un nulla regressivo e informe, un nulla che in realtà
non è tale, essendo occupato da un siffatto oggetto irrealizzato.
Il nulla vuoto, assoluto - il nulla-oltre-i legami - , ossia la
cessazione assoluta, come differenza e limite assoluto alla cosa,
non ha possibilità di esistere nella capacità cognitiva
della mente umana.
Predisposizioni (in-assenza)
90. Sembra proprio una (pre-)disposizione quanto avviene nell'organismo
biologico con l'insorgenza e lo sviluppo della neocorteccia: essa
ha origine quale conseguenza d'una disposizione di tale organismo;
e in quanto tale allude alla possibilità che altrimenti da
quanto finora era avvenuto lungo le fasi evoluzionistiche abbia
emergenza una differenza; da tale scarto hanno origine il linguaggio,
l'attività del pensiero e della coscienza, espressioni della
nuova predisposizione (in-assenza).
91. Lo sviluppo della neocorteccia nello stadio di Homo predispone
l'intero sistema evoluzionistico a disporsi in modo differente da
come fino a quel momento era accaduto.
Il sistema che emerge in seguito a un siffatto nuovo evento si predispone
a retrocedere, a incominciare cioè a perdere (la tendenza
alla fissità e alla ripetitività dei cicli di vita
e di morte scanditi dai ritmi naturali). Il sistema è incline
a farsi più assente, con minor fissità rispetto agli
oggetti informi della realtà non-nata (irrealizzata).
92. Il sistema siffatto - il sistema Homo -, con l'emergenza e lo
sviluppo della neocorteccia e delle nuove aree specifiche, è
posto nella condizione d'un nuovo accoppiamento relazionale.
Il venir meno della fissità biologica - lo stato di concretezza
fisso - predispone l'organismo ad essere sistema relazionale complesso
pronto all'accoppiamento con funzioni adatte a tale inclinazione.
Codesta predisposizione fa sì che emerga una relazione d'accoppiamento
con una condizione che verrà indicata come attività
di pensiero, della coscienza e dell'auto-consapevolezza.
a. L'idoneità a pensare - che è emersa dal sistema
naturale - ha pertanto una duplice disposizione: da un lato si comporta
come un sistema organico che si de-materializza - perdendo fissità
e ripetizione (coazione a ripetere identici i cicli di vita e di
morte), dall'altro assume e rappresenta una coazione all'accoppiamento
con un sistema universo propenso a farsi corrispondente e idoneo
a tal genere di condizione (in-assenza).
Circa le differenze (tra vita e morte)
93. Non c'è molta differenza tra l'essere vivi o l'essere
morti; è la mente umana continuamente sollecitata dalla sua
organizzazione psicosensoriale a porre e fantasticare circa la drammatica
distinzione.
94. Pensare è atto che fa la differenza dalla morte schizofrenica.
Pensare è però atto incompiuto
che induce la morte schizofrenica.
95. Non è così differente il nascere rispetto al morire:
entrambi sono condizioni di separazione; una ha origine dall'utero
della madre, l'altra dall'utero in qualità di corpo (che
muore) del figlio.
96. La patologia schizofrenica potrebbe essere considerata quale
diretta conseguenza della mancanza di distacco del figlio dalla
madre e, in modo analogo, mancata differenza dello stato di vita
da quello di morte.
La morte è cessazione (in seguito alla vita) e, come tale,
è condizione privilegiata perché esista la probabilità
d'un accoppiamento [in-cessazione (in-assenza)] con il suo stesso
mancare.
Circa il conoscere (in-assenza)
97. L'attività del pensare, in particolare nell'Occidente,
è vincolata a un oggetto, sia esso materiale, sia immateriale;
eventualmente a un soggetto che lo pensa.
In-assenza l'oggetto (e il soggetto) è abolito; il pensare
è pensare affettivo vincolato a (un) niente, anch'esso affettivo:
il nulla-affettivo.
Pensare è vuoto; vincolato a un vuoto con cui esso stesso
s'è accoppiato sostituendosi a quella realtà concreta
materiale e immateriale che il pensiero consueto ha l'attitudine
imperfetta a produrre fin dal suo inizio come soluzione da dare
alla necessità (esistenza) proiettiva che gi è propria
e che consiste nella necessità di espellere la cosa.
98. Nello stadio d'assenza l'attività del pensare ha una
qualche analogia con quella che il Buddismo Zen esperimenta nell'evocazione
e l'emissione della sillaba OM. Anche in questo caso l'oggetto del
pensiero è assente: al suo posto sale dal profondo un'azione
pensante, ovvero una in-azione (pensante) che si sostituisce identificandosi
con la parola pronunciata.
a. Ciò per quanto concerne una possibile analogia; circa
invece la differenza si enuncia che nell'ambito che appartiene al
campo in-assenza qualsiasi modalità espressiva del pensiero
inventato da Homo s. può entrare e farne parte. Con ciò
anche il pensiero sostenuto dal linguaggio concettuale può
partecipare del nulla affettivo che ha origine dal venir meno della
necessità del soggetto e dell'oggetto che è condizione
propria dell'in-azione suddetta.
99. Nello stadio in-assenza è ammessa comunque un'attività
pensante esente da soggetto e da oggetto: chi parla e chi pensa
ha sottratto la presenza stessa di chi parla e di chi pensa insieme
con l'oggetto-cosa della realtà esterna. La presenza s'è
fatta equivalente al nulla e lo riceve: ciò permette che
l'assenza (di soggetto e oggetto) abbia luogo (in-assenza).
100. L'assenza di soggetto e di oggetto, della cosa cioè
di cui è costituita la realtà finora esperita e pensata
dal sistema sensoriale, percettivo e cognitivo di Homo, permette:
con il dissolversi graduale (nella dimensione temporale e intemporale)
dell'oggetto (e del soggetto) cosificati - una partecipazione collettiva
all'assenza di mondo: il collettivo universale dato dagli oggetti
del mondo e dai soggetti che li pensa (stadio evoluzionistico di
Homo s. s.) non è più dato dai corpi e dalle menti-cervello
degli uomini in carne ed ossa, bensì dal loro pensare (che
si sono) distaccati dalla cosa, e perciò da loro stessi in
quanto enti pensanti vincolati alla cosa.
101. La libertà - il distacco-dalla-cosa - dall'oggetto materiale
e, in generale, concreto (esperito dagli apparati sensoriali e da
quelli cognitivi d'un cervello ancora non congruo alle potenzialità
evoluzionistiche), nell'attenuare il vincolo di morte che la realtà,
così come solitamente è assunta (essendo cosificata
e cosificante), induce - realtà la cui esistenza è
indotta da quel vincolo - dà luogo a un ambito che chiamiamo
assenza o in-assenza: nella relazione con codesto stadio si verifica
la sostituzione da parte del nulla affettivo alla cosa e ai suoi
vincoli, e cioè è introdotto il pensare vuoto con
affettività (astratta).
a. Pertanto affettività (astratta), pensar-vuoto o niente
e nulla assente o affettivo sono concetti (e non-azioni) equivalenti
(in-assenza).
102. Chiamiamo morte quella materia concreta di cui sono costituite
le cose e il pensiero di Homo che le contiene e le proietta. Ogni
attività di Homo ha fino ad ora messo alla luce ha nel suo
contenuto oggetti di morte. Nessuna azione né alcun pensiero
ne sono privi: Homo s. non è stato finora in grado di produrre
oggetti senza morte, mancanti cioè da cosità appartiene
essa a un pensiero non-finito (incapace d'essere pensiero che apra
alla relazione complessa). Ciò significa: pensiero che nulla
affermando afferma nulla (non-essendo).
103. Con il nulla (in-affetto) la distanza (all'infinito): intrattiene
qualche analogia (relazione): qualora l'osservazione sia posta in
una distanza all'infinito, potrebbe accadere che la relazione con
l'oggetto osservato muti radicalmente e cioè, ruotando di
360° (fattasi una rivoluzione su se stessa e sugli oggetti adiacenti),
si disponga in una condizione in-assenza, secondo la quale al posto
di osservatore e osservato ci sia un atto in-assenza, un atto ch'è
vuoto dei suoi attori, e così fatto si dimostri in-affetto,
privo cioè della materia troppo concreta e inanimata, quella
ch'è simile in tutto alla cosa schizofrenica di cui il mondo
è solitamente costituito.
104. Il concetto di non-evidenza che s'esprime nella condizione
in-assenza non è il diretto equivalente della non-apparenza
(delle cose) che ha pervaso tutta la cultura dell'Occidente.
Il concetto esprime la probabilità d'uno stato a-fenomenico
solitamente mancante (all'organizzazione Homo s.) a causa d'una
mancanza di accoppiamento idoneo con un sistema specifico ultra-sensoriale
(diverso dall'organismo sensoriale, percettivo finora espresso dal
sistema soma-mente umano).
105. Il passaggio dall'animale all'ominide ha lasciato tracce profonde
di un alcunché di alienante-regressivo per la nuova specie
(umana): ha veicolato uno stato di morte che codesta specie si porta
impresso costituzionalmente e che ne determina le caratteristiche
di base.
La specie Homo ha costruito nel suo sviluppo un nuovo equilibrio
mediato dalle sue attività superiori opponendosi allo stato
(imprinting) di morte che nel passaggio s'è evidenziato a
causa della non congruità tra ciò che lo sviluppo
della neocorteccia e dei suoi linguaggi comporta differentemente
da una condizione precedente di vita incapace di relazioni astratte
(e affettive).
106. La non-evidenza della condizione in-assenza è oggetto
a-fenomenico; è realtà astratta, esiste dato il diverso
accoppiamento che s'attua in tale condizione tra soggetto pensante
e oggetto pensato. La sottrazione del soggetto consueto con la contemporanea
sottrazione della realtà di quanto fatto esistere induce,
con l'assenza della realtà consueta, l'esistenza d'un campo
ultrasensoriale, ultrapercettivo detto in-assenza, privo d'evidenza
concreta.
a. Oltre la sensorialità nota s'estende un campo ultrasensoriale
in-assenza che ha esistenza con il sottrarsi dell'oggetto realtà,
risultato dell'ordine sensoriale noto: il nuovo campo ha a suo fondamento
le proprietà che gli derivano dal fatto d'essere libero dagli
stati sensoriali, percettivi e intellettuali cui si è avvezzi
a causa d'un eccesso di materialità (nucleo di distruttività)
- alienazione-malattia - non estinto nel passaggio da animale a
Homo.
107. La realtà che solitamente è posta in essere dalla
mente-cervello consueta non ha esistenza effettiva: è il
risultato d'uno stato-nucleo non astrattosi (non fattosi vuoto-assente)
nel passaggio da animale a Homo.
a. In realtà l'oggetto mondo non ha esistenza concreta: esso
è proiezione d'un cervello-mente incapace di trasformarsi
interamente in un organo privo di attitudini proiettive-deformanti-cosali:
il mondo (esterno ed interno) è dunque proiezione del sentimento
d'un organo che non è stato capace d'estinguere interamente
le tracce d'una memoria filogenetica. A causa della persistenza
di quest'ultima è probabile la proiezione d'un mondo esterno
dalla realtà sollecitata da una condizione sensoriale-istintuale
d'un sistema nervoso ai suoi albori e perciò non sufficientemente
congruo.
108. E' assolutamente normale avvertire l'assenza di mondo!
a. La realtà è vuota, la vita è vuota così
come è la morte che ne consegue.
109. Il nucleo non trasformato nel cervello-mente di Homo fa parte
d'un sistema-morte: è abitudine della natura produrre equilibri
secondo l'asse vita-morte onde conseguire normali ricambi degli
individui e della specie.
Una differenza di tale equilibrio nel senso d'un decremento dell'eccesso
di bisogno di vita allontanerebbe anche l'eccesso di bisogno (naturale)
di morte, dando così via libera a condizioni psicosomatiche
e mentali differenti, meno condizionate dalla necessità del
mantenimento di tali equilibri con soglie lontane dalla maggiore
probabilità di cessazione (della vita e della morte).
a. Lo spostamento dell'equilibrio vita-morte nella direzione d'un
suo abbassamento relativo all'accoglimento della morte da parte
della vita, e cioè nella situazione-condizione in cui il
morire non è così distinto dall'essere in vita, porterebbe
all'espressione d'un'organizzazione del pensiero e del sistema Homo
ben diversa dall'attuale, dando origine a uno stato di altra libertà
di relazione, aperta in massimo grado (in-assenza di vita e di morte).
(Da: Paolo Ferrari A-meditazioni in-assenza 1997)
110.
Con la sconfitta della morte concreta (del nucleo d'ingombro percettivo-mentale)
che è situato entro le maglie della vita (e checresce con
essa) si otterrebbe un campo di vita molto più ampio ed aperto
e vuoto, libero dall'eccessiva concretezza che la morte (il nucleo
di morte suddetto) le conferisce.
a. Il tempo della vita risulterebbe essere tempo non-concreto, tempo
che non ha necessità di trascorrere.
b. La vita non avrebbe necessità di passare (stretta) da
un punto all'altro, bensì di aprirsi come una rete all'infinito
(temporalità a-rete non-finita).
111. Con la morte biologica (con il terminare della fase biologica)
si possono conseguire due scenari, da un lato la morte che aveva
trovato un giusto contraltare in vita torna a prendersi (a saturare)
l'intero campo, impedendo la necessaria cessazione-separazione tra
vita e morte, dall'altro essa stessa morte apprende a cessare insieme
con la vita - così da disporre l'(a-) sistema che ne consegue
a una condizione in-differenza. Accadrebbe in tal caso che il campo
diventi vuoto così che un a-sistema - un'organizzazione vuota
di vita e di morte - emerga (come dal nulla), concependosi in-assenza,
libera perciò dalla necessità di manifestarsi (in
vita e in morte).
112. La vera creatività - del genio in-assenza - è
quella che apporta ricchezza d'universo capace di nulla, un universo
di nulla in-assenza atto a sostituire la cosa in eccedenza dell'universo
in atto.
113. Tutti gli uomini, ad ogni longitudine e latitudine, hanno un'attività
pensante dello stesso genere. L'attività del sistema nervoso
centrale è della stessa specie: non c'è differenza
sostanziale tra un soggetto che pensa nel modo delle categorie occidentali
e che pensa secondo le modalità della cultura e della storia
orientali. Entrambi mostrano un'attività nervosa complessa
che li fa partecipi d'una realtà non sufficientemente oggettiva
e non sufficientemente capace d'assenza, ossia una realtà
che sia nella differenza dalla materialità e dalla forma
di cosa che la struttura biologica del loro sistema proietta come
luogo delle loro azioni e delle loro riflessioni. Le differenze
di cultura e di storia che s'individuano si pongono secondo uno
schema d'equilibrio sistemico dello stesso genere, dato il quale
la vita e la morte sono in equilibrio di compensazione, ossia la
vita (la moltiplicazione e conservazione della cosa —>
realtà in-evidenza) non sono tali da superare la tendenza
alla morte del sistema.
a. L'emergenza del livello pensante nella materia biologica ha indotto
un cambiamento sistemico di questa nella direzione di perdita della
sua consistenza concreta, modificando la soglia all'estinzione,
con un abbassamento della soglia di scambio: un maggior numero d'informazioni
(di qualità) sono assunte, trattenute ed eventualmente elaborate
da un sistema che s'è fatto pensante rispetto a un semplice
sistema vivente, anche complesso come può essere quello dell'animale,
in particolare quello dello scimpanzé, stadio che precede
l'ominazione.
L'attività pensante è perciò causa e origine
d'un abbassamento della soglia agli stimoli, in particolare a quelli
complessi: l'organismo animale è abituato a rispondere ad
eventi prefissati secondo cicli ripetitivi; Homo impara ad essere
interattivo - ad accoppiarsi con una realtà che esso stesso
mette in atto, con il contributo d'un livello di soglia più
basso e dato il quale la realtà si costruisce rompendo la
fissità naturale (biologica). Si forma una specie di mescolanza
tra un sistema che pensa e un sistema che si concretizza come ente
interno-esterno al pensare.
b. L'abbassamento della soglia del sistema in toto produce tuttavia
una condizione favorevole a risposte più complesse da parte
d'un organismo che fino ad allora è stato idoneo soltanto
a risposte fisse relative a condizioni per lo più ripetitive.
L'organismo si scinde allora in due, da un lato continua la tendenza
alla fissità della risposta, senza produrre nuovi accoppiamenti
- perciò senza generare una realtà adeguata al nuovo
statuto di sistema capace d'attività superiore (di pensiero
astratto e di linguaggio simbolico), dall'altra con la tendenza
a dare ugualmente espressione a una condizione che esso sente nuova
e meno vincolata alla fissità di quella precedente. Da un
lato si genera un cervello-mente capace di apprendimento e di cultura,
dall'altro il sistema vivente si organizza in modo da non dipendere
della nuova entità relazionale di cui non conosce confini
e della quale teme il decremento delle barriere erette per milioni
di anni di fronte al pericolo d'estinzione.
S'ingenera pertanto un organo per metà strutturato sulla
base delle leggi che hanno regolato schemi viventi fino all'emergenza
della neo-corteccia e delle sua attività più complesse.
Si tratta d'un organismo ancora meno duttile dei precedenti anche
a causa dei timori insorti di fronte al nuovo arrivato, e cioè
alle attività meno concrete del linguaggio e della coscienza.
Dall'altra l'organismo è pronto a far esistere una realtà
con la quale accoppiarsi in una stretta interazione: si tratta d'un
organismo assai più vuoto del precedente, pronto a coesistere
con un mondo da esso stesso generato secondo leggi di nuova specie,
non vincolate obbligatoriamente alle esigenze del tempo di vita
e di morte.
D'una siffatta scissione è costituito tutt'ora l'uomo moderno,
Homo sapiens s. Tra le sue pieghe profonde porta la traccia della
dicotomia che produce in esso una grande ambivalenza, della quale
è prigioniero senza saper essere diverso dalla tendenza alla
difesa - al sistema chiuso - dell'originario organismo: esso da
un lato s'oppone in modo coattivo all'abbassamento della soglia
prodotto dell'avvento dell'attività pensante e affettiva,
dall'altro è spinto da questa a liberarsi dai vincoli della
fissità, e cioè dal trasformare in altro - nella differenza
dall'oggetto cosa - il mondo, anch'esso risultato della dicotomia
suddetta.
Vorrei
soltanto porre quale premessa e fondamento (in-Assenza) che il fenomeno
dell'Assenza è altra esperienza, è vivere altro, è
altro conoscere, è tutt'altro: lo chiamo assenza perché
è assente (libero) rispetto al pensiero ordinario.
Il
pensiero che ora sto producendo e comunicando è altro, io
sono altro, voi siete altri: nel luogo in cui stiamo e, costruiamo
l'altro, è disposta l'assenza, perciò s'invera il
libero-gesto (pensante) in-Assenza.
Perché
l'Essere anziché il Nulla?
(Heidegger)
Nulla esiste, se non in-relazione (in-Assenza).
Il
vuoto in-assenza ha una qualche equivalenza con lo spazio (vuoto)
all'infinito, (così come Homo pensa tale categoria), dato
un tempo pronto a terminare in ogni suo principiare.
Al centro dell'universo assente sta uno spazio capace d'infinito
libero dall'oggetto(-concetto) pensato, ricco d'un siffatto conseguente
mancare.
.................................................................................................................L'altro
è altro; per fortuna è davvero altro: in tal modo
è libero (essendo altro).
Aforismi intorno alla Differance-Assenza
Assenza è azione che si fa assente. In tal contesto l'universo
nel darsi si (tra)lascia.
Assenza è dono in massimo grado: già è scomparsa
dall'essere dono e del suo-darsi (in quanto dono).
Assenza è differenza, che ora attesta continuamente il suo
essere altro: semplicemente non-è. E' morte che si fa-assente,
avendo tralasciato eccedenza e preponderanza d'un ingombro passivo.
L'alterità tralascia l'atto e si fa assente: in ciò
si converte in traccia, inscrivendosi come tale in-assenza.
La scrittura si tralascia nella-differenza e muore: sono così
accolte le tracce in-perdita ulteriore.
- Assenza mitigata dal suo venir-meno - . Quali dono e speranza
non-vana tracce vuote e partecipi dell'ulteriore travaglio - di
travaglio in-travaglio - e del senso compiuto che già si
manca senza-lamento.
E' defalcato dal fondo il lamento della scrittura - e dello scrittore:
una parola o due sono bastevoli perché l'attesa sia coronata
da un pensare sottratto al suo pensiero impacciato.
L'errore
e il vacante
Ogni gesto pensante - che sia tale e solo così - diversamente
perciò dagli stati conformi d'una coscienza - e d'una società
- che tendono a riconfermarsi in modo conforme e conveniente - la
realtà è quella e non può essere altra - è
scarto, ogni evento già pattuito è perciò persino
mancata differenza da sé. A causa di questa sua nuova proprietà
esso è errore - libero erra a fondare il suo differente pensare
ed agire - , espressione d'un nulla non vano, ma generatore di quella
condizione-dimensione (spazio temporale) oscillante in cui l'errore
s'è perfettamente inserito in modo mansueto - a sé
idoneo - già s'è dileguato. Così è composta
ogni pagina della mia musica (musica in-Assenza).
L'invisibile e il linguaggio (della Commedia Astratta)
L'intento è far emergere le tracce dell'invisibile, senza
che esista per esso la costrizione dell'essere visibile: l'invisibile
si mostri barcollando e basculando senza l'obbligo di fissarsi,
che si comporti pertanto in modo adeguato al suo rappresentare la
differenza assoluta, l'altrimenti che è libertà dalla
cognizione ordinaria e ripetitiva dei sensi e dell'intelletto umani.
Dell'invisibilità
Far emergere l'invisibile senza che ad esso siano distolte le prerogative.
Del non essere, del mancare, del cessare, del non iniziare, dell'essere
finito, del disapparire, dell'essere assente.
Raddoppi in-Assenza
Tutte le cose del mondo - gli universi più vasti e i dettagli
più minuti che a questi appartengono, le idee più
astratte e le masse più concrete - si collocano dove l'occhio
- com'è ora - non vede, l'orecchio non ode, il pensiero non
comprende.
Se
mi piace, mi piace ... Se non mi piace ...
Uomini come statue - e strane opposizioni muovono le contrade luccicanti
di pioggia e di morte che scivola via. Eccomi qui, parte d'un tutto.
Vibrazioni d'assenza, frutti d'un universo collaborante, consenziente,
unico luogo di madre ... di madre in madre come fogli di ipnos,
correzioni sibilanti di materia costruttiva, di materia in materia,
impronta non fine a se stessa.
Che l'invisibile alfine possa affiorare, senza che ad esso sia carpito
ciò che gli spetta per suo irrinunciabile diritto.
Non-esserci, mancare, venir-meno, cessare, non-iniziare, disapparire,
essere finito, essere-niente, esser-assente.
Raddoppio in-Assenza
Raddoppio in-Assenza è quell'azione (gesto-del-pensare) che
viene istruita in rapporto a un'espressione d'altra origine (poesia
o scritto proprio e d'altro autore, in campo letterario; pezzo o
frase, in campo musicale), tramite la quale altro è posto:
spazia quale fondamento astratto - distillato in-oscillazione, in
un asistema complesso -, pronto a produrre assenza (mancanza-attiva)
in chi con esso s'accoppia.
(Gennaio 2002)
Dell'oggetto
affettivo e del (suo) morire
Ogni oggetto del mondo, con la nascita d'una mente pensante, deve
cedere un pezzo di sé. Esso deve divenire meno concreto -
d'una sua concretezza (ideale) generale -, e cioè deve diventare
oggetto mancante o oggetto mancato. Oggetto che assume la proprietà
d'essere (più) assente, di cessare, di morire (entrando nel
tempo).
Qualora l'oggetto del mondo - così divenuto - perdesse questa
sua peculiarità, la mente cesserebbe d'esistere - essendosi
fatta cosa concreta e inanimata.
La patologia schizofrenica implica che l'oggetto del mondo è
privo del mancare peculiare, della sua globalità concreta;
in seguito a ciò la mente che lo pensa è priva del
suo (parziale) esser meno - essere luogo del mancare, ovvero non
essere. In questo s'irrigidisce, si ammala e muore: con esso il
soggetto pensante-affettivo cessa d'esser tale.
(Gennaio 2002)
Della mente, della morte, del pensare
La morte (assente) costruisce la mente che è capace di pensare
il mondo che è oggetto mancante o oggetto mancato: l'oggetto
siffatto informa la mente che il mondo è sul punto di cessare
- o è già del tutto cessato. La mente da ciò
trae nutrimento per confermare la proprietà - che le è
intrinseca, ma che deve essere continuamente asserita - di pensare,
e cioè d'essere corpo mancante, privo di sostanza concreta,
libero dai vincoli della materia dei corpi.
Il Pensiero d’Occidente – così come s’è
costituito, quale Pensiero greco -, non è in grado di antecedere
alcunché.
E’, perciò, del tutto insufficiente nell’occuparsi
di quello che (ad esso) antecede, o di quello che è (ad esso)
simultaneo (libero dall’idea).
Il Pensiero d’Occidente non ha, perciò, la capacità
d’estinzione. Ovvero la capacità di comprendere ciò
che è nulla o prossimo al nulla.
Perciò esso fallisce pure nel potere dire della vita che
è, invece, capace della propria morte.
Difatti, in questo caso, esso dovrebbe adoperarsi al suo scomparire
e, in questo, essere a sé presente, ovvero, antecedere a
sé, conoscendo, così, la sua sparizione.
(P. F. Dell’Assenza. Di alcuni tratti della
scienza e della realtà nuove: i foglietti della
teoria e della pratica, Vol. IV, pp. 32, 1991)
Cos'è Assenza?
"Che cos'è Assenza?"
"E' l'energia che si esprime una volta che l'universo si sia
fatto vuoto di oggetti e di pensieri".
"Di
quale vuoto si tratta?"
"D'un vuoto particolare; quel vuoto che è sotto la soglia
della minima quantità di energia possibile, stabilito dalla
fisica teorica. E' un vuoto che ammette l'inversione d'energia,
cioè il cambiamento di stato della materia".
"In quale direzione il cambiamento dello stato della materia?"
"Nella direzione d'un suo annichilimento, senza tuttavia alcuna
deflagrazione sensibile (evidente): un cambiamento nel cuore stesso
dello stato della materia, così che essa diventi d'altra
qualità o d'altro stadio, ovvero che la materia sia già
configurata in forma e contenuto astratti, ma sensibili, senza doversi
presentare nella condizione usuale di materia adatta solamente alla
ricezione dei sensi e alla successiva elaborazione in forme e contenuti".
L'inizio
dell'universo (nei teoremi della fisica in-Assenza) (2)
"Secondo i teoremi in-Assenza esiste un inizio dell'universo
(sensibile), così come l'inizio e la fine d'un tempo, oppure
l'universo è da sempre esistito e si tratta di una trasformazione
nel tempo?".
"Possiamo
ammettere, secondo i teoremi in-Assenza, che ci sia un inizio della
materia sensibile e visibile, così come d'un tempo e d'uno
spazio.
Tuttavia il tempo e lo spazio non esistono indipendentemente dalla
materia. Come invece (quasi) tutte le teorie continuano ad ammettere,
anche quella della relatività einsteiniana.
Il tempo e lo spazio non sono neppure categorie a-priori del pensiero
umano, nei termini kantiani. Essi sono invece espressioni della
materia sensibile, nella sua forma meno evidente. Si possono considerare
come emanazioni d'un particolare stato (della materia) già
al primo istante della sua esistenza fenomenica. Il tempo e lo spazio
sono gli stadi di congiunzione (relazioni) tra la materia bruta,
e perciò inesistente - che può essere identificata
con il nulla che l'umano pensiero percepisce e prende in considerazione
- e il pensiero umano, che in tal modo recepisce quella materia,
traendola dal nulla della sua condensazione massima -, in prossimità
dell'esplosione primordiale. La materia nuda - informe e vuota -,
il nulla, concreto, ma (non fenomenico), a causa della sua eccessiva
concretezza - si contrae e si condensa in un punto di massima concentrazione;
esplode liberando come suoi primi anelli di materia astratta il
tempo e lo spazio. Entro queste dimensioni - di materia concreta-astratta
- incomincia la concretizzazione con l'espansione del nostro universo.
Il nuovo paradigma (1)
Dovunque e comunque si verifichi una perdita, un venir meno (di
qualcosa), un cessare, altrove (non nel rapporto immediato e diretto)
ha origine un'attività maggiormente complessa - e feconda
di risultati - di quella fino a quel momento evidente.
Il
nuovo paradigma (2)
A ogni perdita (entro il sistema) corrisponde un incremento d'attività
(d'energia), di maggiore complessità (nel sistema in toto).
Poiché ad ogni cessazione corrisponde un incremento d'energia
di qualità - più complessa della precedente - il sistema
è disposto in modo tale da tendere a livelli più elevati
d'energia e della sua qualità.
Ad ogni curva di decremento - nel sistema evidente - corrisponde
una curva d'incremento del livello d'energia non-evidente, fonte
di ulteriore complessità (anche nel sistema evidente).
Della coscienza
1. La coscienza è anticipazione della vita e del sistema
ad essa inerente.
2. La coscienza è la funzione più prossima alla morte,
rispetto a tutte le altre funzioni del vivente.
3. La coscienza si nutre del discontinuo: con la mancanza del niente
- il non essere - la coscienza imploderebbe e l'attività
pensante si spegnerebbe insieme con il sostrato che regge la discontinua
costruttrice-decostruttrice dell'universo umano.
Il
tempo inclinato
Il tempo rettilineo - progressivo - è invenzione della stratificazione
sensoriale-percettiva della mente umana.
Su una stratificazione più profonda l'eternità non
esiste. Non esiste il tempo infinito, bensì esiste un tempo
"inclinato". Esso è il tempo che include, si dispone,
pende a favorire la scomparsa d'un'attività (mentale-sensoriale).
Della
vita e della mente
C'è una vita senza morte?
C'è una morte senza vita?
C'è un universo senza vita e senza morte?
C'è un'attività pensante senza vita e senza morte?
E'
più probabile che un pensiero - e un universo che di quel
pensare si nutre - abbiano luogo qualora sia data una morte (assenza),
piuttosto che una vita.
E' più probabile che il niente sia, piuttosto che la cosa-essere.
Se
non fosse esistito il niente, se il tempo della cosa - e perciò
la cosa stessa - non fossero già finiti, non esisterebbe
la cosa, quella che appare ai nostri sensi, che conosciamo con la
nostra mente.
Dell'Assenza
Cos'è assenza?
E' il niente, in assenza del quale nessuna cosa, compreso il nostro
esistere, il nostro pensare, potrebbe aver luogo, avere presa nei
nostri (deboli) sensi.
Circa (l')Assenza
A monte di ogni attività mentale - in particolare di quelle
attività non teleologiche, e perciò in particolare
a monte delle attività della mente non cognitiva - sta una
(pre-)condizione vuota di oggetti mentali. E' una condizione vuota
di immagine e di linguaggio. Si tratta d'un nulla (relativamente
alle entità che hanno una qualche presenza rilevabile dall'attività
generale della mente stessa). E' un vuoto non-vuoto, un nulla non-nulla:
perché esista un mondo occorre che sia premessa una condizione
di tal genere, una condizione in cui tutti i segnali sono già
cessati, ovvero non sono mai stati (sono assenti).
Occorre che la mente - l'attività mentale-cerebrale - si
permei di tale stato in-assenza. La mente deve apprendere a cessare
della sua attività ininterrotta, satura di presenze (segnali,
informazioni, attività linguistiche e prelinguistiche).
Partecipi della condizione che permetta ad essa d'esistere quale
sistema finale (interfaccia) dell'interazione con la realtà,
da cui dipende e che in continuazione genera.
La mente convenzionale (nota) - quanto dell'attività mentale
la mente conosce solitamente - costituisce l'anello esterno d'una
mente ad essa antecedente (spazio amentale). Spazio vuoto di oggetti
mentali, costituito d'un vuoto oscillante, vuoto altro, vuoto amentale,
dalla cui oscillazione dipende l'esistenza (relativa) d'una realtà
esterna. La relazione tra questo spazio amentale e la realtà
esterna (dipendente da questo spazio) disegna uno spazio generale
costituito d'un vuoto (quantico: amente). Questa relazione (amente-realtà
esterna) dà origine a un'entità di nuovo genere -
assenza -, che è campo vasto e vuoto dell'organizzazione
sensoriale e mentale finora esistita.
L'organizzazione di realtà che ne deriva prescinde dalla
differenza posta finora dal pensiero occidentale di corpo, mente,
vita e morte. L'organizzazione sensoriale, in particolare, partecipa
d'un'attività generale caratterizzata da uno stato in cui
gli oggetti fisici e mentali hanno perso di peso sensoriale-percettivo-mentale
e hanno acquistato il peso, lo spessore di quanto potremmo chiamare
astrazione di fisicità sensoriale, percettiva, mentale, con
ciò intendendo l'esistenza di corpi mentali e affettivi la
cui fisicità è diventata fisicità astratta
e mentale, perdendo della loro eccessiva e satura concretezza sensoriale,
povera del catalizzatore mentale.
Coscienza
e assenza
La cosiddetta presa di coscienza è atto del pensare che più
s'accomuna allo stato di morte (cosciente-astratta).
La presa di coscienza implica la perdita e la trasformazione della
componente vitale. Il corpo compartecipa della presa di coscienza,
ed esso stesso diviene coscienza-mente. Il corpo in tale situazione
s'immenta.
Dell'aperto
e del chiuso (a favore del primo)
Acuto ciò che è aperto: è anche discontinuo:
è vuoto rispetto al pieno della continuità: perciò
ogni apertura, anche generica apertura, è più vicina
al sentimento d'assenza, rispetto a qualsiasi forma che si vanti
d'essere chiusa e pertanto perfetta nel suo finire-definirsi in
quanto tale!
1.
L'indefinito (in quanto tale) non fa paura all'asistema in-Assenza..
La
forma chiusa e il Raddoppio
La forma chiusa ha da essere raddoppiata onde non precipitare nel
suo non-dischiudersi.
La forma chiusa (la forma finita) è troppo facilmente definita
per appartenere al campo più ampio (e di maggiore a-complessità)
dell'asistema in-assenza.
L'impronta che la fotografia imprime sulla realtà - e di
cui è impressa - dev'essere ripresa (e raddoppiata) perché
la realtà non finisca in quello scatto chiaro e troppo acerbo.
Il mondo inclina alla forma chiusa perché teme in modo eccessivo
la presenza in sé di quel tratto che già lo porta
a finire (automancare).
1. Racchiudendosi su sé s'illude di far fronte a quell'aperto
cui esso è destinato nella forma d'un cessare (-cessare):
l'annichilimento, al quale il mondo (il cervello) è destinato,
è il motore attraverso il quale il mondo stesso s'è
(auto)generato nelle diverse forme aperte-chiuse.
La perdita di mondo è definitiva tappa d'approdo - il traguardo
finale che l'oggetto cosa - insieme con il cervello neocorticale
che l'ha generato - già ha attraversato, per il cui tramite
esso ha preso ad evidenziarsi quale mondo esterno d'un'attività
già finita prima d'iniziare, pertanto aperta alla sua infinita
(forse perfetta, forse imperfetta) dissoluzione (empatica dissoluzione,
effettiva perdita, con qualche rimando [inassente]).
Dell'indifferenziazione creatrice (la nientità indifferente-differente)
Esiste in natura uno stato talmente indifferenziato - privo all'evidenza
di qualunque differenza, e perciò equivalente al tutto, non
dissimile da qualsiasi altra cosa - che si situa totalmente entro
la differenza. Appartiene perciò all'alterità: a ogni
altra cosa (in-mancanza-della-cosa); (il) che (non) è niente.
E' una nientità totipotente.
Ritengo
che uno stadio della (a-)struttura del tessuto del sistema nervoso
centrale nel suo formarsi abbia tale caratteristica e, come in un
Raddoppio astratto, trovi le giuste connessioni (lasciandosi comunque
aperto, ovvero immaturo per ulteriori nessi). Guidato comunque dal
suo stesso "finire".
Ameditazioni
Amo la forma immatura: la forma aperta ad ulteriore forma(-azione).
La forma che amo contiene la sua cancellazione - e su questa si
regge. Ogni immagine che elaboro con le diverse tecniche (fotografiche,
pittoriche, video, digitali) si basa su un'iconoclastia (abbastanza
acerba oppure perfetta nel suo impedire).
Il mondo - nella sua rappresentazione dai dettagli precisissimi,
nella sua forma perfetta (ai nostri occhi, ai nostri pensieri) -
pare uscire dai suoi schemi e così astenersi dall'esistere
come oggetto da pensare, da sentire.
Della
realtà rappresentata. Ameditazione.
La realtà fugge inorridita - e divertita - da ogni forma
di rappresentazione: e il cervello mente l'asseconda, sorridendo
all'apparizione del nulla conseguente.
Fuggendo fuggendo ci fu chi pensava che si potesse conservare l'immagine
di una realtà - e chi la configurava - per il nutrimento
della storia. Ma questa, nell'approssimarsi al suo presente, si
ribellò, cancellando in tutta fretta quell'episodio che comunque
ritenne marginale.
I
nuovi Foglietti della scienza
Della morte e del linguaggio
Il parlare umano è l'espressione con cui la morte si manifesta;
con il linguaggio s'enuncia l'inesistenza di colui che parla e di
tutti coloro che si saranno apprestati a parlare, da quel momento
in poi.
Nel linguaggio umano c'è l'espressione con cui si dice che
il vivente è finalmente - e fatalmente - morto.
Chi parla è il morto - il mancante quasi vero - con cui s'annuncia
il non-essere assoluto.
Il linguaggio umano è rappresentativo di uno degli stadi
della morte che, abitando l'umano, s'è fatta dell'umana natura
e, così operando, è uscita dall'anfratto in cui era
rinchiusa e se n'è andata per il mondo, a cercare un'altra
vita in cui abitare. La morte è continuamente alla ricerca
di qualcuno che la raccolga, la ospiti e possibilmente la trasformi.
Tre
domande ametafisiche
1. C'è necessità d'un reale come rappresentazione,
oppure esso è unicamente il retaggio - la traccia residuale
- d'un pensiero incompiuto?
2. E' necessaria alla civiltà dell'uomo una realtà
come rappresentazione, oppure è più interessante accedere
al tópos in cui la realtà come rappresentazione è
già cessata?
3. La realtà come necessità di rappresentazione è
forse un fossile mai estinto, ostacolo a un sentimento che accolga
l'alterità?
Dell'accoppiamento
morte-vita e linguaggio
In quanto esseri - nell'esser morto - parliamo: il linguaggio è
espressione d'una morte avvenuta passo a passo nell'evoluzione del
vivente. S'ode tuttavia fortemente nel linguaggio umano la traccia
residua d'un'estinzione che non ancora ha avuto luogo entro il vivente:
così il vivente e il già morto convivono, e a causa
di tale convivenza non sufficientemente adempiuta - priva della
necessaria presa di coscienza - nel loro imperfetto accoppiamento
espongono nell'immagine d'un mondo esistente e rappresentativo,
la speranza d'una vita e d'un'idea cariche d'angoscia e d'irresoluzione.
Il
linguaggio, il teatro, il senso, il doppio mancante
Al cessare del linguaggio … ma senza afasie.
Al trasformarsi in-altro del linguaggio, privato del potere che
la cosa possiede nel suo significare (riflettere senso).
Al
morire del linguaggio e del testo – che è vuoto nel
mezzo -, perrché la morte che alberga nel senso non ingombri
più che tanto, si dissolva invece in un niente pudico.
Sottrarre al linguaggio il senso … mancante l’ambiguità
ad esso connaturata; altro ne assuma che sia carente dell’antica
traccia cui fu indissolubilmente legato da una morte priva di senso.
Altro sia il senso, altrove sia condotto, dove la cosa già
ha perduto quel significato con cui confermò il potere d’essere
essa la totalità indiscussa del mondo.
(P. F. Aforismi in-Assenza 2003)
Cenni di storia presente
Che l'attuale crisi che si manifesta con la violenza in Israele,
preceduta dalla caduta delle torri gemelle, sia l'espressione più
immediata d'una morte - autistica e negativa - che vuole trovare
altra collocazione? Espulsa dalla civiltà Occidentale e trasfigurata
- e fatta vuota d'ingombro in-Assenza - è possibile che forse
cerchi disperatamente una nuova espressività - intermedia
- a cui l'abitudine umana - la sua tendenza a figurare e simboleggiare
- non è ancora disposta?
La
via acustica come accesso al morire astratto
La via più interessante d'accesso ai nuclei d'estinzione
della mente - alla morte astratta o simbolica - è quella
acustica. L'udito aperto e consapevole conduce a quei suoni che
hanno dismesso da loro il lamento (sonoro) d'essere costretti a
una vita sensoriale e percettiva, priva d'una sufficiente inclinazione
alla cessazione e transizione ad-altro.
Il
tempo lungo della cessazione
Difficilmente il pensiero - espressione d'un corpo-cervello - accetterà
di cessare. Occorreranno ancora moltissimi anni, se non secoli ed
ere. La materia è lenta nella sua evoluzione e lascia continuamente
tracce fossili nel suo ritirarsi.
Ciò forse sarà accellerato da un'improvvisa deviazione
della linea del cammino principale della civiltà.
Pensare e l'esser morti
Pensare equivale all'essere già morti. Pensare e dire di
questo pensiero tramite il linguaggio astratto raccontano della
morte avvenuta nell'iter evoluzionistico: il linguaggio e il pensiero
in modo coercitivo e ripetitivo rappresentano un mondo che già
s'è estinto nella sua rappresentazione, ma che permane a
difesa d'un'organizzazione mentale che tuttora non s'arrende all'evidenza
d'una cessazione definitiva.
I generi della morte
Esistono almeno due generi di morte: uno è quello conosciuto
solitamente come cessazione della vita in un sistema in cui esistono
le due polarità - vita e morte - in opposizione. L'altro
- di cui avevamo detto la morte astratta - è abbassamento
della soglia al di là della quale la vita (-morte) si manifesta.
Perdere la vita, perdere la morte ... il cessare del rumore della
vita, il terminare del chiasso della morte ... un altrove aperto
al pensare, dismesso quel corpo là disteso per terra e già
morto, con tutte le sue credenze ed evidenze.
Morte del pensiero umano
La morte del pensiero (umano) è equivalente alla morte di
Dio. Il morire del pensiero e il morire di Dio aprono ad-altro:
altro equivale al mancare del pensare il mondo e del pensare al
proprio pensiero che pensa il mondo e pensa se medesimo - l'autoconsapevolezza.
Il cessare dell'autoconsapevolezza apre ad-altro. Altro manca di
qualsiasi cosa - che il pensiero pensi. Ciò apre alla possibilità
che nulla sia la cosa. La cosa cessa d'esistere quale cosa pensata:
ad essa nulla si sostituisce. A-differenza della grave patologia
schizofrenica: all'interno di questa l'oggetto, spinto dalla concretezza
ed evidenza massimali si sostituisce alla sparizione coatta d'una
realtà che esiste unicamente grazie all'inclinazione simbolica
che il cervello-pensiero continuamente proietta - a sua conservazione,
a mo' di ripetizione - su un mondo mai dissimile.
Il principio di ragione - o di altra-ragione
La realtà può non non-essere, come scrive Agamben
circa il principio di ragione, per cui qualcosa è piuttosto
che non essere.
Ma la realtà può non-essere, nel senso che può
ricevere lo statuto della mancanza di essere, essendosi svincolata
da quello e da ogni controllo che ne rispecchi l'esistenza. La realtà
può ricevere la facoltà di oscillare tra essere e
non essere, e in questa oscillazione scegliere di realizzarsi, accogliendo
uno stadio equivalente al poter non non-essere. La realtà
- mancante di sé - diviene realtà non-essere, capace
di linguaggio che ottempera alle richieste d'una morte vacante.
Il
pensiero di mezzo e la morte
Il pensiero-pensare s'è fatto indiretto: esso in mezzo porta
la perdita di sé - e di me quale testimone privilegiato.
Da me sta discosto, in tal guisa il pensiero-pensare in-assenza
designa - e disegna - la sua perdita - la sua medesima sostanza
di morte: con ciò mi lascia continuamente spoglio d'una vita
ormai trascorsa - in ogni attimo già vissuta e più
e più volte già morta d'una morte con chiarezza e
delicatezza a mio servigio.
A tal disegno ho offerto il mio progetto ...
La
fine dell'evoluzione
Il paradosso più eclatante del nostro sapere è con
ogni probabilità il fatto che l'uomo non è altro che
una tappa intermedia - gettata lì in mezzo -, adatta ad interpretare
il fatto che egli stesso, con la sua volontà di sapere, è
segnale della sua fine e del lungo tragitto dell'evoluzione che
ha portato un cervello tanto complesso e ampio a dire che nulla
è e che il fine - a posteriori - è il poter dire che
"già tutto è finito".
Il "poter essere già tutto finito" è ciò
che dà luogo al gesto pensante, per il cui tramite - in accoppiamento
con quella perdita definitiva - le cose hanno un tempo dell'iniziare
e un tempo del finire.
Ogni istante umano è disseminato da un numero infinito di
"assenze". La discontinuità è dunque il
suo fondamento: perché dunque non la coglie e umanamente
non si fa tempo dell'assente?
Ad una continua-costante-perdita è destinato l'umano. A uno
stato di morte mai finito paga il contributo continuo: ma al suo
definitivo inverarsi deve il suo corpo-risorto.
L'aver esperienza della morte - della propria inacessibile morte
- è esperienza cruciale per il cui tramite la vita mostra
la libertà - ad essa fino allora estranea - di poter non-essere,
nel modo non-parziale - né così poco altro, com'è
il solito - e non non-affettivo. L'affetto è delicata scoperta
mai assodata … , mentre di qua un nuovo corpo, per il-dopo
senza affanno, si confeziona addosso.
Ascoltare
il dileguarsi perfetto - e dolcissimo - in-anticipo dei suoni equivale
all'ascolto d'un morire - più e più volte - che ogni
giorno si fa più umano, lasciando di là il corpo a
decantare.
L'abbandono definitivo della propria natura d'un animale-uomo il
cervello-pensiero già l'ha attuato da sempre; tuttavia ancora
attende che il fatto propriamente si compia, timoroso del nulla
che ha preso luogo invece della cosiddetta triste-realtà
che tutto ingombra, che pienamente colma nel modo massimamente insano.
Lasciar essere il non non-insano ... Campo intermedio ... gradevole
via di uomo non-lamentevole.
Abbandonare
i vivi e i morti: tralasciare i cadaveri trascorsi. Disperdere i
corpi e le loro stratificazioni ... mutare. Che cosa rimane? "Ciò
che è il mancante".
Alla base della vita sta il pregiudizio che essa a qualcosa serva.
A nulla serve, se non al suo mancamento (iniziale, intermedio e
finale).
Da
parte di Homo s.
Il pensare dell'umano scaturisce attenendosi a quello stretto, vincolante
spazio che sta tra la cosa e il suo mancare assoluto: nel suo annunciarsi
spontanea sorge la domanda che sempre accompagna codesto gesto parziale:
"Chi è colui che tuttora è in procinto di parlare,
sfidando con la sua parola il connaturato, irrinunciabile, risolutivo
assentarsi?".
Umana immaturità
Umana immaturità della mente e del corpo umani! Narcisismo
della ripetizione coatta che tutto fissa in-cosa e costì
abbandona poveramente il morto, lasciandolo in balía di se
stesso, privato dell'adeguata sepoltura.
Il
suicidio-omicidio in umana perdita
Il suicidio-omicidio, che s'è manifestato con la caduta delle
Torri Gemelle e con la seconda Intifada in Palestina, dicono al
mondo d'una condensazione spazio temporale di grande potenza e violenza.
In essa la separazione è venuta meno, il mancante manca,
qualsiasi fine è impossibile da interporre poiché
s'è prodotto un inestricabile nodo, ben difficilmente scioglibile.
La morte dell'altro è accoppiata alla morte di colui che
la provoca; il suicida uccide l'altro, che è inerme, essendo
egli stesso inerme, perché armato della rinuncia alla vita;
essendo armato della propria morte egli è vuoto d'oggetto
che impone la cosa.
Circa
il senso del gesto teatrale di Astratta Commedia
Alla base della realtà c'è un fatto paradossale, lo
scandalo, per cui essa è oggetto (e soggetto) mancante; ciascuno
di noi è così (il) mancante; invece del mancare è
costituito il discorso. Il linguaggio narra dell'esser morto: d'una
interminabile consunzione di morte, iniziatasi millenni orsono.
Allora noi pensiamo e ci scopriamo esseri pensanti, nella voragine
che il pensiero stesso conclama e scava, lasciandoci annichiliti
e pronti all'alterità.
Al pensare - alla voragine del nulla cui esso richiama quale realtà
in attesa - s'oppongono i sensi e i loro apparati, il sistema delle
percezioni e delle cognizioni: senza soluzione di continuità
questi tamponano e pareggiano, colmando fin oltre il margine le
cose, impedendo il venir meno cui il pensare, per suo consapevole
inclinazione, condurrebbe.
Il
gesto del teatro anticipa lo scarto di cui il reale è costituito
nel suo mancare d'esistenza fissa e concreta: di questo siamo interessati
partecipi in-assenza, privi di necessità di vita e di morte
da cui derivare ed osservare, come all'apparenza si potrebbe invece
dubitare.
La lingua di Astratta Commedia
Perché (e come) il teatro in-assenza?
Il teatro è il luogo dove "io è morto" può
assumere espressione. Stati differenti di morte possono prendere
e aver luogo, secondo oscillazioni differenti di soglia, ovvero
secondo soglie differenti di comunicazione e di ricezione.
La realtà in-assenza è luogo della mancanza: lo svuotamento
della realtà - con cui s'esprime la sua condizione prioritaria
di non essente - ha a disposizione alcuni interstizi, alcune fasi
onde disporsi quale non non-essente, a cavallo della soglia di ricezione
mentale e amentale.
Esiste quindi una dimensione amentale, che è quella per cui
la mente abdica alla sua funzione cognitiva, alla priorità
d'essere fattore d'organizzazione d'una realtà ad essa esterna,
disponendosi a diventare essa stessa il suo oggetto-soggetto mancante-vuoto.
L'amente è il mancante della mente: il luogo teatrale è
quello dove il gesto di quest'organo assente può darsi nel
suo non-essere, come il linguaggio che, mancando del suo fondamento,
rinuncia al senso con cui è abilitato a tamponare le lacune
tramite le quali il reale si mostra nel fissarsi alla mente.
L'amente è non-fissità. Il teatro è discorso
sulla non fissità che si esplica nella continua oscillazione,
come dice Carmelo Bene, tra non io e non non-io. Io è morto
e da questa sua morte ha origine il teatro in-assenza.
Il
teatro è massimamente lingua dell'essere in-morte. Colui
che la dice è già morto più volte, e più
volte in-sé.
La
lingua di Astratta Commedia
Che cos'è la lingua in-Assenza? La lingua dell'essere in-morte?
E' la lingua che si organizza senza a-priori, rinunciando alla funzione
del significare qual-cosa. La cosa - cui la lingua si riferisce
- decade; spiccando il volo la lingua ne assume l'assenza, includendo
e accettando la perdita secca dell'oggetto mentale. Nell'essersi
perso e dissolto, il soggetto amentale con il gesto teatrale esprime
il giusto mancare, l'esser altro-da-sé nel modo più
consono a quell'esperienza non dissimile da quella di fine del mondo.
Intorno
al sogno
Il sogno occupa lo spazio che il vuoto, associato alla morte, altrimenti
per sé pretenderebbe; a seguito di questa sua determinazione
- è volontà di potenza? - da sempre s'è accesa
- e quotidianamente nel mondo notturno s'accende - la lotta tra
queste due deità; una guerra infinita cui l'uomo assiste
senza poter niente, se non offrendo loro quel che gli resta della
coscienza dovuta alla veglia.
Il sogno talvolta ama la veglia e con essa felicemente s'accoppia;
talaltra è riottoso e superbo; si ritira così in un
altrove, come sua esclusiva dimora, accaparrando per sé tutto
lo spazio che la mente generosamente concede.
"Asimmetrica è la vita?" Durante il sogno e il
sonno senza sogni muore e rinasce ad ogni termine del giorno. Il
giorno successivo è già pronto a riprendere il suo
cammino che avanza inoltrandosi passo a passo entro il morire. Sarà
definito allora il suo destino?
Lo
stadio in-Assenza un giorno interrogò il sogno: "Questa
parte del mio non essere al tuo esser altro è dovuta?".
Il sogno rispose: "Quasi tutto, se si pensa che tu derivi ancora
da questo stesso pensiero; a nulla se invece si considera che tu
da nulla derivi e piano piano, in punta dei piedi s'affacci ad osservare".
Entro il sogno muore la morte; con il sogno rivive la morte. Di
questo delicatissimo e intricatissimo scambio la vita cosciente
si nutre, ad esso sacrificando ogni sua ulteriore aspirazione.
Non essere
Nel sonno e nel sogno la vita tocca l'oblio desiderato, in questo
si sfrangia e s'effonde, muore e rinasce di nuovo protesa alla spasmodica
ricerca del sogno in cui involarsi senza la promessa d'un ritorno
obbligato.
La provenienza umana
Il dio durante il sonno suscita nell'uomo il sogno; la coscienza
umana attinge a quella fonte durante il sonno e nel tragitto della
veglia al fine d'agguantare lo spettro di quel nulla - che al sogno
sottende - con cui essa nel suo flebile divenire, ad ogni tratto
si puntella.
Nel
sogno - che è via diretta all'inconscio - si annida spesso
una particolare coscienza con cui è opportuno che la vita
da sveglia intrattenga uno scambio proficuo: trarne il viatico necessario
senza il cui tramite essa non può possedere nel segno della
più ampia probabilità e specificità di connessione
- cui abilmente è votata per sua connaturata propensione.
1.
Il sogno della fase REM è analogo a una lunga passeggiata,
alla corsa o allo jogging: nel suo apparire, svilupparsi e terminare
brucia con voluttà i residui del giorno, come grassi accumulatisi
durante lo svolgimento d'una vita quotidiana non sufficientemente
sana.
2. L'uomo che sogna, in una sorta d'intenso delirio, dà fondo
a ciò che la coscienza del giorno non ha saputo né
voluto scambiare con quanto essa stessa ha da mostrare - senza risparmio.
3. Al sogno è dato d'esaurire quanto il giorno eccede senza
pari coscienza.
4. E se ad Homo sapiens fosse più connaturato il sogno notturno
non occupato né da fini né da progetti concreti piuttosto
che la veglia, tuttora ingombra d'oggetti da conquistare e da conservare?
Dimmi
d'un uomo felice e ti dimostrerò che è sull'orlo della
catastrofe.
La saggezza nasce all'improvviso.
Che tu abbia tutto ciò che desideri ... Che tu possa desiderare
ciò che puoi! (Doppia maledizione gitana)
(Dal film "Tredici variazioni sul tema")
Della
schizofrenia e dell'assenza
Il muro della morte - oggetto-cosale che tutto assoggetta e niente
lascia trasparire - è ciò che separa la schizofrenia
dalla condizione in-assenza. Nella condizione di schizofrenia nulla
è pensabile al di fuori d'una realtà fatta oggetto
concreto e carico di morte; nella condizione d'assenza la morte
cosale s'è fatta da parte, ovvero s'è tolta di mezzo
- s'è astratta -, rilasciando il mondo del suo sterile e
angoscioso procedere. Per esistere l'oggetto mondo ha ora perso
la necessità di ripetersi e riprendersi allo specchio, copia
d'oggetto cui è negato il mancare vitale.
Nella schizofrenia la realtà è oggetto cui nulla manca
e tutto è mancante: è mancante la fessurazione, la
crisi di cui la cosa concreta ha necessità assoluta onde
esistere mutata in quell'oggetto pronto ad essere oggetto accolto
dall'atto pensante.
Se
la realtà cedesse quel pesante oggetto di cui è costituita
- a causa d'una mente-corpo che secondo quel vincolo la pensa costituita
- quella fine del mondo che i profeti hanno preannunciato si verificherebbe
in una sorta d'esperienza collettiva cui parteciperebbe l'intera
specie Homo sapiens: nel tragitto di quella caduta senza fine e
carica d'angoscia mortale, sarebbe vissuta la condizione in prevalenza
schizofrenica cui quella specie fino ad ora s'è assoggettata.
Se la realtà cedesse il pesante oggetto - di cui in eccesso
è costituita - in Homo si verificherebbe l'esperienza catastrofica
della perdita totale - l'esperienza di fine del mondo.
La realtà ha come sostrato il pesante oggetto - del tutto
analogo a quello che il soggetto schizofrenico vive - la cui necessità
e fissità sono sostenute da una mente incapace di pensare
diversamente - staccarsi - dalla necessità di comportarsi
quale strumento cognitivo finalizzato, condannata perciò
anch'essa per lo più a dover essere mantenimento della cosa,
essa stessa cosa tra le cose.
Il
pesante oggetto di cui la realtà è costituita è
il mezzo con cui la mente di Homo pensa l'esistenza d'un reale.
A causa di quest'oggetto, povero d'un mancare a suo fondamento,
la realtà concreta copre la mente dell'uomo della sua morte
cosale. La mente umana si fissa perciò quale oggetto passivo,
analogo alla cosa concreta, che è così prodotta incessantemente
sotto la spinta di uomo. In questo mai cessa il timore d'essere
esposto al finire di quell'oggetto concreto - mente, cosa e mondo
- , prefigurando l'esperienza terrifica che appartiene alla patologia
schizofrenica, nella cui morsa l'uomo si dibatte per un insufficiente
sviluppo evoluzionistico, affettivo e intellettivo.
Schizofrenia
e fine
Finché esisterà l'oggetto-cosa-mondo invece che la
sua fine, non cesserà la patologia umana pari alla schizofrenia.
Schizofrenia di specie
La mancanza della fine dell'oggetto-cosa-mondo segna il confine
invalicabile al cui confronto la specie umana soccombe. Ad ogni
opera dell'uomo, a ogni suo gesto s'erge invalicabile il muro di
pietra e di morte senza senso a dividerlo da sé e dal mondo.
Ancora
per l'intelligenza umana non è data la fine dell'oggetto-cosa-mondo.
La reificazione del reale - tuttora mezzo del vivere e del conoscere
- segna l'ambito patologico - la schizofrenia di specie - in cui
l'uomo si dibatte, condizione terrifica appena attenuata dalla più
o meno riuscita perdita che si verifica entro il campo relazionale,
con il concreto, espressione cui la coscienza, nel suo lungo cammino
evoluzionistico, è da poco giunta e ancora non s'è
abituata.
Assenza
è perdita assoluta di mondo, simile, ma dal lato opposto,
alla fine di mondo che è l'esperienza fondamentale della
patologia schizofrenica.
In-Assenza si attua l'esperienza fondamentale della fine di mondo:
la condizione che ne resta è (il) sostegno (assente) d'una
realtà il cui fondamento è quello del mancare (piuttosto
che dell'Essere), affrancato dalla coazione della ripetizione speculare.
La
coscienza senza rete di protezione
Pericolosamente oscilla la coscienza umana intorno a una soglia:
assomiglia a un acrobata che si esibisce su un vuoto a cui è
sottratta la rete di salvataggio. Da un lato questi è cosciente
della necessità che un alcunché manchi e se c'è
vuoto, lo sia fino in fondo, senza rete di salvataggio; dall'altro
è terribilmente angosciato, per la possibilità d'un
errore senza scampo. Egli crede che la mancanza di tal genere non
dia alcuna possibilità di rimedio; eppure al tempo stesso
sa che ciò è confacente al suo mestiere.
La minaccia della morte psicologica (concreta)
L'uomo non tanto ha timore dell'abisso della morte come evento biologico,
quanto piuttosto della patologia schizofrenica che gli appartiene
sul fondo e che lo minaccia da sempre, fin da quando ha tentato
d'affrancarsi dal mondo cosale degli oggetti concreti naturali;
in particolare dall'animalità, da cui per evoluzione deriva
in modo diretto.
Non gli bastano il linguaggio incerto - non sufficientemente mobile
e potente - e la flebile coscienza per donargli la sicurezza di
non essere sommerso improvvisamente dalla morte psicologica - è
volto oscuro della morte concreta - che gli ricorda di poter essere
soggetto senza alcun preavviso d'una fine catastrofica di mondo.
Assenza
è quel caratteristico mancare, non diversamente dal segno
d'un morso lasciato su un frutto, entro l'apparato delle cose del
mondo, grazie al quale s'è resa concepibile l'esistenza d'un
uomo che pensa e che vive.
Il teatro in-Assenza è espressione dello spettro del nulla
e ad esso equivale: è il dispiegarsi di tutte le potenzialità
di cui il nulla è fornito nel suo mancare, alle quali lo
spettatore - spectrum - (esso stesso mezzo per vedere) è
chiamato a presenziare quale artefice e testimone.
Ma il paradiso è sbarrato e il cherubino è dietro
di noi: dobbiamo fare il giro del mondo e vedere se non sia forse
ancora aperto da qualche parte da dietro.
Heinrich von Kleist
da E. Borgna
Come se finisse il mondo
Assenza-in-teatro
1. Assenza in-teatro è il procedere per atti mentali, come
ombre, calchi, segni al negativo d'un'energia che si trattiene e
cambia di verso: in contrasto alla sua tendenza che sarebbe quella
di rappresentarsi come entità concreta e usufruibile, oggetto
da consumarsi immediatamente e nella cui consunzione l'uditore o
lo spettatore sono soliti cercare la conferma d'un'illusoria conservazione,
salvacondotto per la morte.
2. Assenza equivale ad astrazione: lingua che si spende mutando
di segno. Lingua priva di rappresentazione al cui passaggio resta
la traccia d'un alcunché che già da sempre s'è
perduto, dando vita al linguaggio che conosciamo. Questo perciò
- insieme con le cose che rappresenta - è derivazione d'un
segno-simbolo che a nulla si conforma, se non al proprio mancare.
3. Assenza come mancanza.
Rinuncia alla vita e persino alla morte: consunzione della parola
e del gesto teatrale in un atto il cui fine è quello di segnalare
l'esistenza di quella sospensione di giudizio che è sostrato
sul quale è forse possibile costruire il vuoto - il mancante
- con cui pensare le cose.
4. Assenza come (esperienza del) nulla della fine del mondo. Apocalisse,
chiusura dell'antica specie umana: su tale conclusione l'emergenza
probabile d'un'entità il cui sostrato comporta ad ogni tratto
la voce d'un finire dal quale la mente cervello trae nutrimento:
di esso lo spirito umano è all'affannata ricerca, entro la
condizione dissociativa ingombra di cose, di cui la specie umana
è erede, nei travasi dell'evoluzione da una fase all'altra
- a causa di stati di morte e di cessazione irrisolti.
5. Assenza è il fine del teatro in-assenza. E' trasmettere
con le forme del linguaggio ad esso peculiare quella linea del silenzio
perché nell'uditore s'intrattenga il senso d'una mancanza
- il segno sottile capace d'incidere in modo appropriato la parete
compatta cui solitamente soggiace la mente ingombra di cosa.
6. Assenza nel teatro è esperienza di fine del mondo: il
mondo si dissolve nel gesto che si sottomette all'altro da sé
disponendosi alla differenza che è suo annichilimento. In
modo analogo la scena deve proporre codesto mancare: s'attua la
sussunzione del suo stesso cessare, come un virus che, introdottosi
nel senso e nella rappresentazione dell'oggetto quale ente cosale,
sia trasmissibile senza interposizione, capace del mancare, quale
speciale, ardito, complesso venir-meno.
7. Il teatro come teatro della morte: cessazione del battito di
vita, con l'inclusione in un atto offerto ad-altro. Compimento nell'oggetto
- di vita e di morte - in cui è ammissibile la scomparsa.
La sua fine è accettata: il mondo ha cessato d'esistere mancando
infine di quell'eccesso d'evidenza che è l'aspetto della
(sua) cosa ingombra di fisicità e di spirito.
Verso
un'insperata guarigione
"Mi sento mancare la vita davanti", indicando il suo essere
frontale.
(R.A. Verso un'insperata guarigione)
"Nella stretto di Gardenella".
R.A.
"Troppa la vita". "Sì, è la gente che
sta tutta addosso ... Nello stretto di Gardenella, come diciamo
... ".
R.A.
"Vedo l'infelicità girarmi intorno", mi dice facendosi
passare una mano sopra la linea degli occhi.
Del
gesto teatrale e dell'attore
Il gesto del teatro - che sia parola, movimento, segno o anche solo
pensiero - ha da contenere il (suo) mancare: l'espressività
che comunica e dice deve aprire - e aprirsi - a quello spazio mentale
- in chi ascolta e vede - solitamente occupato da una realtà
data da un corpo-mente di uomo, solitamente incapace di includere,
nel suo farsi, il cessare.
Ad ogni tratto il gesto del teatro offre l'assenza, e così
l'attore - nel profferire parola - anche ne tace il senso, ne tace
il suono, solitamente intesi, senza mai perdere la consapevolezza
di quella relazione che, tra atti, pensiero e parole determina in
chi vede e in chi ascolta il dischiudersi di quel segreto che la
realtà in sé racchiude, mostrandosi invece con quell'eccedenza
concreta - che è antica resistenza al dissolversi inoltrandosi
in una fine compiuta, il vero arcano.
Il finire dell'atto, del gesto, del senso, non avverrà mai
sul primo piano: il cessare si compie in un infinito posto al di
là di quanto chi ascolta, chi vede è abituato a recepire,
nel timore di accogliere in sé l'esperienza di fine del mondo
che è compimento di Astratta Commedia. Non esiste uno spazio
teatrale vuoto da riempire con oggetti, pensieri, atti, movimenti
... Non esiste alcuno spazio a priori accessibile: lo spazio è
pari a una cosa di densa materia - e non soltanto lo spazio. Non
le cose o lo spazio cosmico tra gli astri, né soprattutto
lo spazio mentale. La mente è continuamente ingombra dei
suoi oggetti mentali. Il gesto in-assenza, la parola in-assenza
nel teatro sarà il medium tramite il quale contribuire a
che la mente s'apra al suo opportuno mancare.
Il gesto, l'atto, la parola, il pensiero nel teatro dell'Assenza
manifestano il loro mancare peculiare: la mancanza di eccesso di
realtà - vulnus entro il tessuto compatto senza interstizi
- permette anche una relazione d'altro genere che prende luogo,
in uno spazio che si dà affettivo e appropriato mente impara
a sentire. Scende entro le fibre del corpo nel quale prende dimora,
ad esso sostituendosi pressoché interamente - ed è
il corpo immentato.
Il modo di fare teatro in Carmelo Bene è anche un modo di
stare nel teatro della fine, alimentando la scandalosa metamorfosi
tra soggetto e attore ...
(In: P. Giacché. Carmelo Bene)
E' ancora una volta lo spettatore colui che scruta evocando la trance
come un incosciente e dunque autentico stato di coscienza, mentre
per l'attore si tratta di pervenire a una «cosciente incoscienza».
Il teatro è ascolto d'una visione.
(In: P. Giacché. Carmelo Bene)
Ad ogni parola che significhi morte (in-assenza), o la evochi in
modo ad essa prossimo, l'attore dovrà indicare con un gesto
deciso dell'equilibrio (squilibrio), del corpo (suo rovesciamento)
la natura della specie che s'approssima al cessare o che agisce
in presenza di fine del mondo.
La morte citata in Astratta Commedia è (quasi) sempre fine
dello stato attuale delle cose; annichilimento dell'oggetto concreto
e del soggetto pensante che s'approssima o già esperisce
la fine di mondo, non diversamente da chi facendosi esplodere attira
nella sua morte la morte dell'altro, all'altro affidando totalmente
il proprio destino.
Del cervello umano e delle sue proprietà. Del teatro dell’Oggetto-mancato.
Il cervello umano - e perciò la vita “psicologica”
del genere Homo della specie sapiens - ha la proprietà di
bastarsi (da solo), senza dover dipendere per il suo equilibrio-sostentamento
da alcun oggetto a sé esterno, a meno che una scelta di tal
genere non derivi da una decisione che sia sollecitata dall'interno
di sé.
Un’organizzazione (utopica=felice, compiuta) d’un mondo
è quella espressa da un cervello che ha prodotto il proprio
compimento, secondo la proprietà ad esso congrua.
Non esiste mondo che il cervello (mente) umano non abbia deciso,
in particolar modo nell’annunciare di questo la fine(=cessazione).
Il teatro in-Assenza mette in scena la “dissipazione”
che s'ingenera ogni volta che l'oggetto-cosa interno - contenitore
e fornitore di “morte concreta” – dà inizio
alla cessazione del suo ingombro onnipotente (è ingombro
che non permette interstizi = muro senza brecce). Il gesto di quel
teatro sarà “dissipativo” - e non “conservativo”.
Annuncerà una perdita - e non darà adito all’”accumulo”.
Non sarà vincolato a una “necessarietà univoca”
né a un “contenimento” obbligato. Sarà
fautore d’una necessarietà anziché di contenimento
e di obbligatorietà, “libertà controllata”
- autodefinita -, con accesso allo stadio della morte-mancante (assenza
di morte concreta), e di non fissazione coattiva.
Le proprietà-di fine-del-mondo
Di nulla avrebbe necessità il cervello-mente di Homo, se
non d'un mondo capace di recepire e in sé conchiudere la
complessità realizzata da quell'organo, capace di fine-del-mondo.
Il ritirarsi dell'Essere contribuisce all'esistenza di mondo - di
fine del mondo.
Il finire di mondo contribuisce all'esistenza di mondo, al Dasein.
Se il cervello-mente non avesse come sua costante lo stato - o esperienza
basale - di fine del mondo, non sarebbe possibile alcuna rappresentazione
di mondo e di realtà.
L'(esperienza di) fine-di-mondo è al fondamento di ogni Dasein;
l'angoscia che ne scaturisce è strumento per la presa - sensibile
e conoscitiva - sulla fine-di-mondo, o anche riduttivamente sul-mondo.
Nessun animale può avere l'esperienza di fine del mondo.
Nessuna macchina, nessun aggeggio computazionale può accedere
alla condizione di oblio, può interagire ed essere modificato
dalla fine-della-cosa (mondo).
Il Teatro dell’Oggetto-mancato e la lingua del finire
Il perdersi, il dissiparsi, il farsi altrimenti dal proprio, lo
smarrire - e ciò che ne deriva - sono i presupposti –
da cui trae vita il Teatro dell’Oggetto-mancato e la sua lingua.
Ad ogni tratto all’inverarsi dell’”energia”
di questo, corrisponde “volentieri” l’abdicazione
alla certezza d’una finalità, d’un senso e d’un
sentimento facili in eccesso.
Demiurgo
della situazione è il cervello-mente che concepisce e pone
in essere (inscena) un mondo di cui esso è artefice e magnanimo
offerente. L’architettura d’un mondo ha così
luogo e di questa il cervello mente si nutre, derealizza (all’istante)
e (così) pone in-essere. Chiara è la fine-di-mondo
che lì già si può intuire e rappresentare –
per chi già sappia cogliere sul fatto l’immane costruzione
costantemente sull’orlo del suo mancare.
Per esso già il mondo finisce e il cervello mente-corpo di
ciò costantemente si nutre e inscena.
Tal declinare di mondo è costrizione necessaria, ma non sufficiente,
a che il cervello-mondo non annichilisca – implodendo su sé.
In quel finire invece si specchi assumendo il suo stesso (doppio)
mancare.
Il nulla e la cosa
Nulla non è nient'altro che la perdita d'una qualche sia
pur minima cosa di cui fino a poc'anzi era costituito il mondo.
Nulla ha il senso d'un venir meno - sia pur una minima e miserevole
scalfittura - della cosa con cui finora il mondo s'è costituito
e nella sua onnicomprensiva voracità s'è mantenuto.
Del
mancare la cosa
Imponderabili e impercettibili oscillazioni intorno alla soglia,
infinitesime punture di spillo concedono all'esistere il suo (giustificato
e consapevole) Dasein.
"Che tu possa mancare (il bersaglio) d'un infinitesimo!".
(Auspicio in-Assenza, per una vita meno incompiuta, non-infelice).
Della
lingua che manca, il teatro (in cui si manifesta) e il sentimento
La lingua-che-manca (in Evoluzione!) - il mancare della parola che
assoggetta al valore del senso finito - è luogo del non non
essere. Il perdersi del bersaglio, e il ritrovarlo (fuori di sé)
- sono segni dell'errare della lingua che, perdutasi - ritrovatasi
e perdutasi per sempre, - coglie la parola e da essa è sedotta,
così da liberare il sentimento che coglie nel segno oltre
il suo fine prestabilito.
Del perdersi della lingua in-teatro e del suo realizzarsi, mancando
Nel perdersi, nel non neutralizzarsi, ma neppure passando ad altro
- che non sia sicuramente l'altro - la lingua impersona il proprio
stesso mancare e s'apre al suo finire. Concepisce quel gesto che
apre al teatro e alla sua condensazione. E’ materia dei corpi
che, recitando e sfinendo, tendono a dematerializzarsi della loro
vita stessa. E’ questa che, nell'espropriazione di se medesima
e nell’abdicazione dei corpi, con il gesto pensante del teatro
li realizza - avendoli distolti da quella paternità e da
quella maternità di vita e di morte di cui essi erano pregni
(nel farsi del quotidiano).
Circa il senso del gesto teatrale di Astratta Commedia, Evoluzione
e Oggetto-Mancato
Alla base della realtà c'è un fatto paradossale, addirittura
scandaloso: la realtà è mancante di sé; e così
ciascuno di noi è (il) mancante; di colui e di quell che
manca è costituito il discorso. Il linguaggio narra dell'esser
morto, d'una interminabile consunzione di morte, iniziatasi millenni
orsono.
Allora noi pensiamo e ci scopriamo essere pensanti, nella voragine
che il pensiero stesso conclama e scava, lasciandoci annichiliti
e pronti ad altro.
Ma il gesto pensante è suo malgrado prevenuto - nello scavare
ed essere la voragine del nulla di cui la realtà è
espressione – dal ritorno sensoriale, percettivo e cognitivo
(d’antica origine) che, senza soluzione di continuità,
tampona, riempiendo fino all'estremo margine, il naturale venir
meno a cui il pensare stesso condurrebbe per sua predisposizione
congenita.
Il
gesto del teatro mostra lo scarto di cui il reale, nel suo mancare
d'esistenza fissa e concreta - privo di “fissa dimora”
- è costituito e del quale siamo interessati partecipi –
in mancanza di rappresentazione - , privi di necessità di
vita e di morte da cui derivare ed osservare (un’eventuale
messa in scena).
La
lingua di Astratta Commedia, Evoluzione! e Oggetto-Mancato
Che cos'è la lingua in-Assenza? La lingua dell'essere in-morte?
La lingua oggetto-mancato?
E' la lingua che si organizza dal basso, rinunciando alla funzione
del significare qual-cosa. La cosa - cui la lingua si riferisce
– decade: prendendo il volo ne assume l'assenza, la perdita
secca dell'oggetto mentale. Nell'essersi persa, la realtà
amentale esprime con il gesto teatrale il suo mancare, il suo esser
altro-da-sé.
Il teatro e la lingua (in-Assenza)
Il teatro deve parlare dell'altra lingua, deve parlare l'altra lingua:
quella che permette che la lingua convenzionale - la lingua comunemente
pensata e parlata, in particolar modo nello stato di veglia - abbia
luogo e consistenza quale mezzo di comunicazione e d'informazione
adatte all'evoluzione.
La lingua del teatro - la lingua che viene pronunciata tramite la
recitazione - il pensar-parlando - prescinde dallo stato di vita
e da quello di morte: compie una mezza rotazione all'indietro e
dichiara il suo morire. Lingua morente e attiva.
La lingua-che-manca - il mancare della lingua, senza afasia della
stessa - è la recitazione dell'attore; è il cuore
del teatro; è l'alterità che si fa materia di scambio
umano, permettendone l'evoluzione.
Il
linguaggio, il teatro, il senso, il doppio mancante
Al cessare del linguaggio ... ma senza afasie.
Al trasformarsi in-altro del linguaggio, privato del potere che
la cosa possiede nel suo significare (riflettere senso).
Al
morire del linguaggio e del testo - che è vuoto nel mezzo
-, perché la morte che alberga nel senso non ingombri più
che tanto, si dissolva invece in un niente pudico.
Sottrarre al linguaggio il senso ... mancante l'ambiguità
ad esso connaturata; altro ne assuma che sia carente dell'antica
traccia cui fu indissolubilmente legato da una morte priva di senso.
Altro sia il senso, altrove sia condotto, dove la cosa già
ha perduto quel significato con cui confermò il potere d'essere
essa la totalità indiscussa del mondo.
Il linguaggio e l’assenza di cosa
Il linguaggio astratto – l’espressione peculiare di
Homo sapiens – costituisce il medium di relazione e di adattamento
per eccellenza, in mancanza di oggetto concreto. Esso dà
origine a un mondo che è più prossimo al suo finire:
un mondo descrittivo e simbolico è nella sua gran parte sine-materia.
Il linguaggio è quell’invenzione del sistema uomo che
più avvicina questo organismo vivente-pensante a una dimensione
prossima al nulla o all’assenza (di cosa) – rispetto
a ogni organismo precedente. E’ probabile che un’ulteriore
evoluzione del linguaggio – e perciò del sistema Homo
in generale – conduca all’inverarsi d’un universo
costituito della sua stessa mancanza, un universo assente ricco
d’un linguaggio che segnala ad ogni suo tratto un niente fecondo.
Il linguaggio – con la sua capacità di attrarre a sé
e trasformare in-nientità l’oggetto-cosa – avrà
sostituito allora definitivamente – e vittoriosamente –
l’oggetto concreto, traccia residua e malcerta, sintomo d’una
supposta incongruenza sistemica dell’attuale fase evoluzionistica;
mancato scarto d’un’arcaica origine animale non tralasciata.
(P. F. Esergo da: N. Ferrari, Passi, sospensioni, balzi e capriole
dell’evoluzione, 2002)
Mancare-pensare (nel-morire)
Mancare precede pensare: ma pensare è nel-mancare, e il mancare
senza pensare non è nulla, ovvero una semplice cosa senza
conseguenze.
La morte è mancanza (di vita e di attività pensante).
Morte precede vita e pensare. Ma la morte senza pensare non è
niente, è cosa senza significato.
Allora pensare-morire e morire in-pensare (inclusivo dell’essere-che-manca):
in pensare-che-cessa.
(P. F. Aforismi in-Assenza 2003)
Il tempo che manca, il tempo che basta
Da più parti si sente la vita lamentarsi: "Il tempo
mi manca". Ma se il tempo alla vita ne mancasse, nessuna vita
sarebbe potuta assurgere allo stadio in cui il tempo è pensabile,
e così il suo mancare. Eppure Iddio non ne sprecò
neppure un poco. Scrivo nel finale del Libro Blu. Subito dopo c'è
la conclusione in cui il pensiero dice, se riuscissi davvero a pensare
d'esser morto, allora altri orizzonti si spalancherebbero in assenza
di quei corpi concreti che nemmeno il tempo è in grado di
assoggettare allo sguardo della coscienza.
Il cervello in-evoluzione
Circa il cervello in-evoluzione
Quanto più il cervello è evoluto, filogeneticamente
e ontogeneticamente, tanto più è autoreferenziale.
Ciò significa che il cervello in-evoluzione si “aggiusta”
la realtà in cui vive a seconda delle sue esigenze [dell’a-complessità
astratta]. Il cervello umano (evidente) può mirare addirittura
ad essere “autistico”, e cioè distaccarsi da
una realtà com’è vista, com’è esperita
dalla presenza della maggior parte dei cervelli pensanti; difatti
questa presenza è condizionata in massimo modo dagli elementi
cognitivi e affettivi d’uno stadio evoluzionistico non sufficientemente
avanzato (astratto). La condizione in-evoluzione corrisponde al
concetto di a-consensualità del nuovo stadio. L’assunto
di base è che il cervello “inventa” – decostruisce
e ricostruisce senza sosta – una realtà che gli fa
da sostegno e da medium relazionale, cercando – dove e quando
può - altresì di tener conto dei limiti cognitivi
indotti da un antico sistema relazionale sensitivo e percettivo:
esso fu utile supporto all’esigenza della conservazione delle
specie, secondo i princípi d’un’evoluzione concreta
non più in atto.
Proprietà (asistema e universo umano)
Asistema è quel particolare sistema complesso [a-complesso]
per il quale ad ogni suo tratto corrisponde una condizione di cessazione
o di (a-)mancanza, con l’eventualità d’una definitiva
estinzione senza causa apparente. La a di asistema indica la sospensione
possibile dell’appartenenza di questo sistema complesso alla
realtà concreta e fenomenica: esso ha la proprietà
della de-materializzazione,ha l’inclinazione a finire. L’asistema
a-complesso possiede la proprietà di “morire”
ad ogni atto di “vita”.
Esso è caratterizzato da uno stato di sospensione d’evidenza
sensoriale e percettiva, in generale mentale: ad ogni sua apparizione
(sovratraccia) è associata la probabilità della sua
scomparsa (sottotraccia). L’asistema porta implicito nella
sua astruttura la probabilità d’un’evidenza concreta
(sovratraccia) a patto che in essa sia insita la possibilità
di cessare in ogni sua parte, in ogni tratto del tempo (spaziotemporalmente).
Altra
proprietà specifica è quella d’essere strettamente
correlato all’interazione con l’osservatore. Così
lo è anche il sistema complesso. Tuttavia nell’asistema
si produce lo stadio limite: non si ha evidenza, se non nell’interazione
con l’osservatore. C’è esistenza soltanto nella
relazione complessa asistemica: l’osservatore interagendo
con esso “muore” e “vive” con esso, e da
esso è fatto “vivere” e “morire”.
La reciprocità di vita e di morte è uno dei temi più
interessanti di questo particolare ente non-dato.
Qual è allora quell’osservatore che accetta di vivere
e morire con l’osservato? Chi è colui che “vedendo”
muore (e vive) nell’interfacciare?
Secondo i nostri assunti è l’attività (profonda)
del pensare, è il gesto complesso del pensare quell’ente
astratto che, interagendo con l’osservato e, da quello stesso
messo in-atto, ne recepisce la proprietà dell’essere
e del non-essere. Con esso è e non-è. La discontinuità
– costituita di microcessazioni – a base dell’attività
pensante (amentale) è il mezzo attraverso cui si attua la
relazione tra il pensante e il pensato. La fine implicita in ogni
gesto pensante è mezzo perché si attui una microrealtà,
da cui originare una più ampia realtà – una
realtà macroscopica, quella che solitamente è esperita
dall’organizzazione generale sensoriale. Essa è assai
meno propensa al cedere, al modificare il vincolo che le è
proprio d’una continuità, per tema d’un’evetnuale
estinzione – timore che appartiene a un’intero sostrato
dell’evoluzione biologica, in particolare a quello animale.
L’asistema è quel sostrato che impronta la sua e la
propria fine-finitudine. Il finire impronta l’intera realtà
umana; l’universo ha inscritto nei suoi geni la sua fine.
Le-fini creano la possibilità-probabilità a che l’universo
possa continuare la sua esistenza apparente e di questa l’osservatore
umano abbia esperienza e conoscenza, seppure in modo affatto minore
e parziale.
Proprietà dell’asistema 2
Una proprietà dell’asistema è quella per cui
la relazione tra osservatore e osservato (cervello-mente osservatore
Û osservato) è tale per cui l’osservatore –
in questo caso la complessità delle relazioni cerebrali-mentali
– costruisce secondo le proprie esigenze un osservato (a lui
esterno, percettivamente esterno); questo, a sua volta, deve soddisfare
le condizioni di massima complessità che l’osservatore
possiede: è altamente probabile che esso andrebbe incontro
alla terribile “sofferenza” d’una dissoluzione
in mancanza di complessità-ricchezza del mondo – l’osservato
–, quello stesso che il cervello-mente costruisce(-decostruisce)
in un’oscillazione-fluttuazione costante, quale oggetto trasformativo-estetico.
Proprietà dell’asistema 3
L’universo che l’asistema definisce nella sua costante
fluttuazione (assente) è bucato-nel-mezzo. Ciò significa
che non è contrassegnato da quelle caratteristiche di continuità
e concretezza che sono proprie del sistema Homo sapiens d’antica
specie. Tale universo è sistema complesso, che mostra due
differenti inclinazioni spesso in contrapposizione l’una con
l’altra: ma è di tipo conservativo. Secondo tale evenienza
il sistema tenta di fissarsi. L’altra di tipo evolutivo, e
secondo tale evenienza il sistema accetta l’asimmetria, la
discontinuità e l’imprevedibilità caratteristiche,
assumendo quale proprietà fondamentale l’eccezionalità
del già finito e cioè della mancanza di sé,
identificazione in sé.
Proprietà
Una continuità dell’io, un’assunzione non frammentaria
della realtà è possibile a patto che l’io accetti
una discontinuità nel tempo dell’esistere, un annullamento
di sé nel volgersi al di fuori, al di dentro di sé.
Proprietà
Soltanto con la morte di Dio – probabilmente con il suo suicidio
(autouccisione) - la realtà potrebbe prendere luogo. Soltanto
con la perdita secca, la perdita assoluta – eccezionale –
il mondo può incominciare ad esistere (in-assenza di sé).
Proprietà
(asistema)
Sulla morte d’un dio assoluto – fattosi relativo nel
Figlio – si basa la cultura e lo sviluppo economico-scientifico
dell’Occidente. La storia moderna ha inizio con una morte
voluta.
E’ una morte de-concretizzata quella del fondamento cristiano
– la resurrezione dei corpi è espressione e veicolo
d’una morte che perde se stessa. Con la perdita della morte
e la transustanziazione della vita – anche nell’Eucarestia
– esiste un finire della schizofrenia: la schizofrenia cessa
nel morire del dio che accetta (vuole) la morte, quale malattia
(peccato) degli uomini.
Con la morte della schizofrenia (peccato originale degli uomini)
l’ente mentale corporeo della specie umana (comunità
cristiana) può assurgere alla dignità della “salvezza-liberazione”.
Proprietà (in-Assenza)
Come un velo senza interstizi – esso stesso è un interstizio
– l’Assenza si copre e si scopre in accoppiamento con
la realtà (umana).
Sono di nicchia la nostra conoscenza e le nostre espressività.
Di tutto ciò che appare solo piccolissimi resti annunciano
il “mancare”. In psicoanalisi la via principe è
stata l’analisi dei sogni; in-Assenza la via d’osservazione
è quella per cui nulla è interessante (ha esistenza
effettiva) se non la relazione tra le parti e l’inclusione
del tutto, dato un cervello-pensiero che si riconosce nel generare
un universo mancante (di cui esso stesso è il perno-mancante).
Ogni cervello-pensiero organizza un mondo costituito dei differenti
fatti della vita-morte: comportamenti, etica, oggetti, relazioni,
un ecosistema entro cui si pone per vivere e pensare. Ogni universo
così costituito si ricostruisce e decostruisce in continuazione,
permettendo ad altri mondi-universo d’interagire mescolandosi
ad esso, arricchendosi in tal modo della relazione e dell’interscambio;
a sua volta cedendo ad altri i propri campi di relazione.
Ciò è possibile perché a fondamento degli universi
intercambiabili non sta la fissità dell’oggetto-concreto:
questo s’è de-materializzato, ovvero la premessa di
tale tipo di autoorganizzazione e interscambio è un’assenza
d’oggetto, una particolare condensazione di campi energetici,
in cui l’energia è al-negativo.
L’oggetto in-assenza di cui ci occupiamo è tale energia
o anergia che sta alla base d’una relazione affettiva tra
le entità astratte che compongono gli enti-universi, a loro
volta “inclini” alla de-materializzazione d’un
oggetto (non ancora del tutto) de-materializzato.
Proprietà
dell’oggetto assente
L’oggetto-assente
è un buco di spazio e tempo. Dove lo spazio-tempo si sospende
e, grazie a questa preliminare sospensione, lo spazio-tempo ordinario
– deciso dall’apparato sensoriale-cognitivo dell’animale
pensante e parlante – che è l’uomo non astratto
– può aver luogo e dare vita(-morte) all’universo
cui tutti supinamente, in genere, sottostiamo e continuamente confermiamo.
L’universo dell’apparato sensoriale-cognitivo di Homo
ha la caratteristica di protendersi; di generare “energie
vibratorie” che rendono assai improbabile l’annichilimento
di mondo.
L’universo-assente è (invece) “universo anergico”:
le energie rientrano; si ritraggono generando un luogo – vuoto
–, morto senza l’ingombro della morte. Il luogo-morto
- senza l’ingombro della morte – è centro della
realtà pensante del cervello umano. Senza tale luogo-morte
non esisterebbe attività pensante. L’attività
pensante ha alla sua base una condizione che deriva da un atto di
morte suicidale. L’attività pensante è attività
che emana da un essere che s’è suicidato – nelle
sue parti in eccesso vitali.
Proprietà antropiche del sistema mondo
Il
cervello costruisce – e decostruisce – il (suo) mondo
che è sua emanazione: una sorta di vasca enorme in cui è
immerso. Un continuum di sensazioni, percezioni, immagini, flussi
di coscienza in cui ritrovarsi e connettere l’insieme delle
proprie parti separate, all’interno di un sistema sufficientemente
complesso onde essere (esso) compreso (da se medesimo) in un’unità
sufficiente. Tale modello richiama alla mente-cervello il concetto
di autocoscienza: nascita del sé attraverso la costruzione
d’un universo nel ritorno dei segni-segnali produce la copia
(accoppiamento) d’una probabile connessione tra le parti d’un
sistema complesso. Alla ricchezza d’un mondo emanato, corrisponde
un cervello-pensiero ricco; a una sua povertà risponde la
“povertà” d’un mondo detto “interiore”.
Ammesso che la realtà esprima un sistema complesso e che
la complessità d’un sistema (osservato) sia funzione
della complessità del sistema osservante, se non esistessero
sistemi osservatori complessi non esisterebbe una realtà
sistema complesso. E poiché il sistema osservatore complesso
è espresso dall’attività pensante della specie
umana, se questa specie non si fosse sviluppata non avremmo avuto
sistemi universi complessi: questo sembra essere un lemma del principio
antropico: secondo tale teorema la realtà è così,
relativamente al fatto che un osservatore di tal genere esiste e
così la pensi. Non differentemente da così si esprime
il Principio d’Inclusione negli asistemi in-assenza. Tale
principio enuncia che, dato un sistema differente – maggiormente
complesso di quello probabilmente agente – una maggiore complessità
asistemica sarà generata. Un differente universo –
dalle differenti caratteristiche – sarà messo in essere.
Questo a sua volta agirà sul sistema osservatore, inducendo
in esso una costanza di complessità differente, capace di
organizzare quell’osservazione confaciente alla migliore qualità
assunta.
Essendosi
dimenticato ovvero non sapendo iddio come creare il nulla e la morte
mandò tra noi il figlio, predisposto alla morte. Così
che questa potesse essere generata attraverso il sacrificio di un
dio, fattosi uomo, condivisa in tal modo con noi uomini, esseri
mortali.
Non sarebbe potuta essere creata la morte da un dio che crea dal
nulla: soltanto con la morte del dio stesso, si sarebbe potuta esprimere
una morte non increata, ma generata. Fecondata.
Esiste una realtà più reale di quella che siamo soliti
esperire e conoscere. Tale realtà contiene la realtà
solitamente conosciuta ed esperita. Nel caso da noi preso in considerazione
tale realtà contenitrice-matrice trasforma la realtà
ordinariamente esperita e conosciuta. Tale realtà contenitrice
ha la proprietà di non ingombrare colui che la osserva e
la vive.
In principio nel mondo non c’era nulla, né cielo, né
terra, né spazio, perché il mondo non esisteva, ma
pensava su se stesso: esisterò.
Esso emanava calore.
Antico testo egizio
(Barrow)
A monte dell’interazione tra cervello e le cose (il differente
da sé) sta una sorta di deafferentazione, senza la quale
la cosa-universo non potrebbe aver luogo. Il sé ha origine
da una separazione.
Ad ogni istante il tempo cessa. Ogni cessazione dà forma
a un tempo spazio o a un universo corrispondente liberi dalla necessità
d’esistere (confermarsi in quanto tali).
La fine del tempo e la fine del mondo (il loro dis-continuum) danno
espressione a un universo sgombro dell’antica durezza e necessità.
Liberi dalla necessità della conferma significa liberi dalla
necessità del rispecchiamento dell’essere in-essere.
L’essere che cessa di specchiarsi apre alla a-differenza.
L’a-differenza è realtà in-differente, realtà
che non ha necessità del ritorno (su se stessa). Il cervello
che pensa ciò è cervello che si nutre della sua a-differenza,
che è mancanza della necessità del rapporto con la
sua emanazione (di forme, di riconoscimenti).
Dell’afinalismo (indiretto e diretto)
L’inutilità dell’arte e della poesia –
l’afinalismo - che sono fra le principali caratteristiche
di tale espressione umana, ad un osservatore posto in un luogo maggiormente
distaccato e inclusivo di quello solitamente usato dal sistema Homo
giudicante, appaiono essere elementi sussidiari, semplici funzioni
relative ad apparati percettivo-sensoriali e ad operatori cognitivi
che troppo ingombrano – ed hanno ingombrato – la possibilità
d’altra interazione tra soggetto pensante e realtà
pensata. L’arte e la poesia quali fattori d’espressione
afinalistici sono misera cosa!
Ben in altro modo potrebbe essere utilizzata l’arte al fine
di separare la percezione umana, le sue considerazioni su vita e
morte da quelle sequenza e causalità naturali e obbligate:
l’arte sì che potrebbe agire da disinniscante per quell’accoppiamento
simbiotico! L’arte cesserebbe d’essere luogo finalistico
e diverrebbe finalmente luogo di distacco e libertà dall’oggetto
funzionale e formale, con la morte dell’arte: arte (altrimenti)
sia!
Contenuti universali e cambiamenti molteplici
L’amente-abstracta si nutre della continua metamorfosi degli
oggetti della cosiddetta realtà. La metamorfosi della cosiddetta
realtà non è tuttavia un cambiamento continuo e privo
di senso: esso ha nell’interazione con “l’operatore
in-assenza” dell’asistema suddetto la caratteristica
– il sentimento, si potrebbe dire – di operare in-sottrazione,
così che la sommatoria finale degli elementi-eventi ha la
proprietà di non-ingombrare. La realtà in perenne
e perfetto cambiamento agisce secondo una costante universale del
parlare zero: l’intero campo di forze è costantemente
anergico.
Arte in-assenza (deafferentazione)
L’osservazione d’un cambiamento continuo – una
dis-continuità dell’oggetto reale – amentale
– vincolato a una costante dal valore zero o meno-zero. Il
cambiamento nella-costanza. La costante dell’universo assente
è analogo a un sottrattore continuo d’ingombro, con
sviluppo continuo di forme in-assenza.
L’arte è sviluppo di tali a-forme in-assenza, ricche
di possibilità di deafferentazione centrale.
Pensare alle cose come se avessero un’anima: un operatore
in-assenza nella relazione con i vivi-pensanti-morti di morte-astratta.
Sogno
e veglia
Non c’è grande differenza tra sogno e stato di coscienza
della veglia. L’un l’altro si nutrono di segni, scie,
cenni, baluginii, echi che il cervello-mente ha eliminato preventivamente,
onde riprenderseli al fine di concepire un’organizzazione
al suo interno la migliore che sia possibile (per il miglior mondo
possibile; il più congruo per il suo “necessario”
equilibrio).
L’oggetto,
in quanto luogo dell’osservazione-osservato
Un modello possibile per un mondo regolato dall’asistema in-assenza
è quello che concerne come costante fondamentale una costante
in-A posta quale relazione tra l’osservazione e l’osservato.
Stando così il rapporto l’osservato – in quanto
oggetto concreto recepibile dagli organi sensoriali e percettivi
– è disposto oltre il limite degli eventi – l’orizzonte
degli eventi, al di là del quale l’oggetto compare,
senza il “precipitare addosso” all’osservazione
(sensibile). L’oggetto è pertanto posto entro un distacco
sensibile, dato il quale è possibile l’osservazione.
Senza tale distacco all’infinito – il buon infinito
– non potrebbe esistere alcuna osservazione e nessun moto
potrebbe essere possibile alla conoscenza e all’esperienza.
Tale modello ammette quindi l’esistenza d’un mondo,
posta la condizione che un antecedente costante in-Assenza sia premesso
ad ogni tentativo di conoscenza sensibile e razionale.
E’
postulato che l’attività superiore di Homo si sia formata
da un precoce annichilimento dell’attività che lo sostiene
e propriamente che da alcune zone dell’attività del
S.N.C. abbia origine da una sorta di azzeramento.
L’attività pensante ha origine da una deafferentazione
di aree cerebrali deputate all’organizzazione dello spazio
e al rapporto tra gli oggetti del mondo esterno.
E’ ipotizzabile che nell’animale vengano deafferentate
certe aree deputate all’istintualità e all’emissione
di segnali di relazione.
… Perché il suicidio costituisce “quell’iniversale
dispositivo di deterrenza basato sull’idea che il male che
si fa agli altri arriva fino, non oltre, il confine del proprio
istinto di sopravvivenza”.
La lingua dell’Oggetto mancato
La lingua dell’Oggetto mancato ha un alto contenuto energetico,
ma senza sottostare alla necessità (fissità) del significato,
della finalità, della certezza (del suo esistere) secondo
un modello (già) condiviso.
Una lingua siffatta non mira a una condivisione di senso, a una
certezza di consenso. Essa esprime le “punte acutissime”
dell’interazione tra il pensare (mente-cervello) e la realtà
continuamente “derealizzata” (dematerializzata) e rimessa
in circolo. Esso tenderà ad assumere una complessità
d’organizzazione adeguata al procedere di equilibri in-evoluzione
(microspostamenti d’equilibrio = in-divenire ulteriore).
Si
differenzia – pur presentandosi talvolta sotto la forma d’un
“flusso-galoppata” o “andante-camminata”
o ancora “stato di quiete” - dal flusso di coscienza
(ad esempio quello joyciano). In questo soltanto alcuni picchi coincideranno
con la-differenza – oltre la dissipazione –, con il
gesto apocalittico del mancare della lingua.
Nella lingua di Oggetto-mancato ogni singolo elemento ha valore
in sé e, insieme con gli altri – con tutti gli altri
– compare un’architettura di senso (altrimenti), senza
rinunciare al valore d’ogni singolo gesto (pensante e parlante).
(Vedi anche Introduzione a In-abstracto complexu e In-divenire ulteriore.
Partiture musicali).
E’
lingua-che-manca. E’ lingua che parla il suo stesso mancare.
“Mi manca la lingua!” gridò Arionne nell’opera
Mosè e Arionne di Schönberg di fronte al divino.
Il mancare dell’Oggetto Mancato e della sua lingua intendono
venire in soccorso di quel mancare della lingua. Nell’intrecciarsi
con il suo mancamento e con il mancare della lingua di fronte al
divino: con ciò costruire la trama (che manca) a che il mondo
racconti la sua fine. E così mostrare il suo lato divino.
Piccoli atti (grandi atti)
Vedo in quanto il mio guardare muore nel suo atto.
Vedo in quanto lo sguardo si fa cieco.
Vedo-conosco in quanto nulla (di come la realtà s’immagina)
è in-atto.
Sento perché nulla nell’immediato mi risponde.
Sento (al tatto) perché il senso tattile non coglie (manca
di corrispondenza) con la materia tattile.
Gusto perché gustare manca .
Ascolto perché il suono-rumore si fa silente.
Odo l’assenza di rumore, di suono e di silenzio.
Vedo
la rappresentazione che manca.
La proprietà fondamentale
La
proprietà del cosiddetto oggetto realtà – per
cui ad ogni sua ‘espressione’ nel campo dell’evidenza
corrisponde un’opposta tendenza alla cosiddetta cessazione
o mancanza (di evidenza) - è ciò che permette che
la realtà medesima sia conosciuta – e perciò
agita – da un cervello fattosi idoneo nell’iter evoluzionistico
a produrre un’attività pensante (cognitiva e meditativa).
a. L’oggetto realtà si mostra ‘esistente’
e permanente all’apparato conoscitivo ed emozionale di Homo
grazie alla proprietà di mancare, cessare, perdersi, non
essere, venir meno … non permanere, morire;
b. la (possibilità della) morte dell’oggetto e di ‘chi’
lo conosce è premessa perché esso sia presente (esistente);
c. il cervello-mente di Homo conosce grazie alla proprietà
d’essere in-mancanza. Esso interagisce, conosce, apprende,
memorizza grazie all’apparato ‘deprivativo’ che
lo contraddistingue.
Il cervello-mente conosce (si emoziona) perché ‘manca’.
Mancare è il gesto a fondamento d’ogni processo (di
relazione) del cervello umano.
Le emozioni, e perciò i sentimenti, non esisterebbero se
un istantaneo mancare non impressionasse a mo’ di negativo
l’interfaccia d’un qualsiasi processo dell’esistere
e del pensare.
Mancare è il gesto fondamentale del pensare. Mancare è
il gesto fondamentale di ogni emozione.
Mancare è inconsapevole. Mancare si mostra in alcune fasi
del sogno e del sonno.
Mancare si mostra “improvvisamente” nel vivere e nel
pensare dell’uomo.
E’
grazie all’entropia (perdita d’energia) che ha luogo
la neghentropia; è grazie all’energia dissipativa (disordine)
che si attua uno stadio d’ordine.
“Ma la Terra era informe e deserta … “.
Genesi 2
Sconfitta della morte
Se la realtà perdesse l’oggetto concreto di cui è
incrostata – così pensata dagli uomini - la morte perderebbe
della sua angosciosa consistenza fissa e coattiva. Essa mancherebbe
il bersaglio: questo si troverebbe spostato a favore del vivente-pensante,
costui pronto finalmente a centrare quel bersaglio che ad esso è
congruo e che già è bucato nel mezzo.
Schizofrenia e teatro
Perdita della distanza.
Trasparenza=tutto ciò che è interiore diviene visibile:
lo schizofrenico è trasparente completamente. Tutto lo attraversa:
Rita parla delle voci lontane, mentre cammina. Lo schizofrenico
è attraversato da parte a parte. Di volta in volta occorre
essere decriptati, decodificati: non bisogna offrire opacità,
oscurità. Se non c'è più interiorità,
non c'è distanza dalle cose ... avvicinamento assoluto.
Nel teatro la scena presuppone una distanza. Lo schermo no.
L'alienazione è situazione complessa.
Il teatro implica distanza e sguardo.
Il silenzio, la parola e il nulla
Nessun ambito, frequentato dal cervello di uomo, risulta vuoto o
silente. Qualsiasi relazione di tale organo con il suo esterno risuona
di forme e di rumori (di cosità). Soltanto una relazione
particolare – un’interazione appositamente generata
e controllata – può dare luogo a uno spazio-tempo con
la proprietà dell’essere vuoto, dell’essere privo
di oggetti rumorosi.
Il corpo-mente di Homo mai cessa del suo rumore di fondo. Ciò
potrebbe accadere qualora una condizione particolare s’instaurasse
- differente sia dallo stato ordinario di veglia, sia da quello
del sonno: in conseguenza di tale evento il caotico flusso di parole
mentali, di immagini, di segni, di spezzoni di idee s’interromperebbe:
con il generarsi allora in sua vece d’uno stadio silente e
capace d’altre proprietà, delle quali una è
la costante [K Ma] del mancare-a-fondamento.
Le irregolarità coscienti (in musica)
Una relazione tra suoni – tra note – che raccolga l’irregolarità
che Homo sapiens ha introdotto nella realtà naturale (asistema
complesso) relazioni innaturali, così com’è
innaturale lo sviluppo complesso del cervello umano.
Irregolarità non-entropica
Irregolarità non-causale asistemica
Disordine ordinato
consapevole (non-ordine-estetico)
Quale
destino per “Evoluzione!”
E’
l’oggetto trasformativo primario, e cioè l’oggetto
cui il cervello-mente-corpo umano si volge speranzoso onde ottenere
quella spinta evoluzionistica-trasformativa di cui sente la necessità.
In questa l’essere umano cerca (e talvolta trova) quell’esperienza
estetica primaria e fondamentale che sperimentò agli inizi
della propria vita nel rapporto con la figura materna. Il neonato
introduce nel proprio corredo emozionale-affettivo, ed anche cognitivo,
l’oggetto materno – oggetto trasformativo. Di questo
rimarrà per tutta la vita l’”ombra”, a
meno che da esso ci si distacchi completamente e felicemente secondo
l¢ipotesi in assenza. La madre ha nei confronti del figlio
la sua principale esperienza di relazione con un oggetto (a sé)
esterno: il bambino introietterà tali “procedure”
emozionali-affettive e di queste chiederà lumi alla realtà
nella quale successivamente si troverà a vivere.
L’oggetto che nel teatro disponiamo è, in conformità
con quanto detto, un oggetto primario, frutto d’un’esperienza
estetica fondamentale. Tuttavia tale oggetto è anche spostato
mille miglia – parecchi infiniti – più in là:
nel suo procedere metamorfosico - continuamente cangiante e ricco
d’energia che nasce e muore all’istante – energia
senza accumulo, energia sorgiva e dissipativa – l’oggetto-ombra
assume la caratteristica d’essere Oggetto-mancato.
Nel porsi all’osservazione e alla rappresentazione l’oggetto
di codesto teatro, non permette l’appropriazione immediata
di quanto sulla scena si proponga: la rappresentabilità è
continuamente posta sul limite del mancare. L’oggetto-ombra
trasformazionale è oggetto appartenente all’altro:
viene posta sulla scena l’ipotesi d’una lingua e d’un
tessuto dell’altro parimenti al sogno. Tuttavia in ciò
anche il sogno è mancante. L’oggetto-sogno viene meno:
la differenziazione tra veglia e sonno si perde quale linea di possibile
conoscenza ed esperienza; al suo posto è assunto l’”Oggetto-Evoluzione.
L’”Oggetto-Evoluzione!”. Esso è il rovesciamento
sia dell’essere che del non essere. E’ mancare che s’invera
attraverso l’oggetto stesso che nel suo centro s’appropria
(e s’espropria) della propria perdita: costante è la
perdita del senso ordinario della cosa: in ogni punto dell’oggettivo
mancare avrà origine il filamento d’una trama silente
non rappresentativa d’un alcunché. Ricca sarà
d’una a-complessità in cui il tempo e lo spazio hanno
la proprietà del cedere in quanto oggetti-cosa; forme di
mondo costruite dall’atto pensante, quell’atto che si
nutre delle percezioni usuali destinate all’attività
cognitiva ed emozionale entro la costituzione d’un mondo evidente
e reale (d’una realtà riconoscibile nell’ordinarietà
dei sensi e dei pensieri).
Preliminari alla messa in scena di Evoluzione!
1.
Evoluzione! necessita della sospensione dell’azione. Deve
essere una a-rappresentazione; è la rappresentazione d’un
alcunché – la cosa “Evoluzione” –
che apprende a sospendersi del suo procedere. Evoluzione! è
il punto terminale d’un processo: passo dopo passo, il cammino
evoluzionistico attraverso la regola della necessità e del
caso – la legge della selezione naturale – ha condotto
la cosa e il vivente – il vivente nasce dalla cosa inorganica
- alla stadio di Homo sapiens, lasciando sul terreno stadi incompiuti,
essere non formati, procedure interrotte, corpi iniziati e mai finiti,
brandelli di parole e di pensiero, gravi e gravose patologie, prima
di giungere a compimento in alcuni casi. In particolare giungendo
alla struttura anatomofisiologica del genere Homo e della specie
sapiens, cui apparteniamo. Anche questa tuttavia è incompiuta.
E ha la necessità di Evoluzione!
Evoluzione! in Homo sapiens ha modalità specifiche rispetto
a tutto il resto del cammino evoluzionistico: mentre queste mirano
al miglior risultato nel senso dell’efficienza e dell’adattamento
migliore alle condizioni ambientali (fitness), ad Homo sapiens,
perché l’evoluzione si compia, occorre altro.
Una differente genesi dell’energia: non asservita alla conservazione
della specie, ma a favore d’una relazione con l’oggetto
esterno (ed interno) meno concreta. L’oggetto esterno (ed
interno) perde della sua condizione di cosa e diviene oggetto astratto
senza decrescere della sua potenza espressiva.
L’oggetto è pertanto oggetto mancante.
Le energie che si sprigionano sono anergie. Energie prive di eccessi
vibratori.
2.
Dunque:
la rappresentazione – qualora esista – è rappresentazione-mancata.
La rappresentazione “sta in piedi” in modo assolutamente
precario, barcollante quanto – se non di più –
di Homo sapiens, che è animale barcollante.
Una rappresentazione–scena e prestazione attoriale non definita
a priori nei suoi dettagli, ma pronta a mutare a seconda delle circostanze.
Una rappresentazione che non sia finita nella sua concretezza, ma
che mostri le sue lacune. Mancanze, buchi, varchi entro il rappresentare.
Cessazioni improvvise e imprevedibili, possibilmente.
Come morti improvvise, non necessarie a compimenti parziali.
Discontinuità e dissoluzione in un tessuto mobile, con uno
sfondo fermo.
In questo teatro (Evoluzione!)
Le persone che pensano e che parlano: la parola si fa carne
Ciascuno è l’altro. L’altro è ciascuno
degli altri. Ciascuno si muove nel corpo e nel cervello dell’altro.
Eppure ciascuno è differente in modo assoluto (ab-solutum)
dall’altro.
La
parola nasce in uno e muore nell’altro. Nel morire nell’altro
si fa carne nell’uno.
Ciascuno perde la vita nell’altro e nell’altro rivive,
vivendo la sua e la vita dell’altro.
Non c’è relazione sensibile: la via della relazione
è il vivere-morire di ognuno in tutti gli altri. Tutti vivono
e muoiono in sé, e in ciascuno degli altri.
Ma non c’è simbiosi in questa unità complessa.
In ogni a-persona si compie la persona propria e tutte le persone
che fanno parte di quell’universo. Per ognuno – tramite
l’altra a-persona – è permessa l’esistenza
dati i confini dell’universo dell’altro. A ciascuno
è concessa la finitezza-compiutezza, mediante l’appropriazione
e l’espropriazione di sé negli altri.
Pensare significa dunque: pensare tramite lo strumento che l’altro
mette a disposizione perché l’attività (pensante)
possa manifestarsi come un alcunché di evidente-incarnato
(reificato, ma de-materializzato), in sé in ognuno e in tutti
gli altri simultaneamente, differentemente e in-differentemente.
Che
cos’è “Evoluzione!”?
Non è una cosa; non è né immagine né
strumento. Non ha un fine. Non è neppure parola che si fa
senso. E’ forse un oggetto-mancato: l’oggetto universo
che si fa così povero d’ingombro della sua materia
passata, e di quella presente e futura da far intravvedere un oltre;
ma sì!, un aldiquà dove ogni cosa è cessata
dando inizio e fine al medesimo tempo a un a-luogo, a una a-morte
(in-morte assente).
Il
gesto del teatro
Il
gesto del teatro è medium dell’alterità affettiva
a cui il cervello di Homo aspira, avendo sgombrato il campo dall’occupazione
data dal mondo concreto in cui è immesso continuamente: questo
è costituito di oggetti-cosa, non diversamente da parole,
concetti, pensieri, affetti,
emozioni, incapaci tuttora di quella mancanza di fissità
concreta, che l’evoluzione delle specie non ha risolto-dissolto.
(Un problema di tal genere è consistente unicamente per la
piccolissima nicchia che il genere Homo ha occupato nel grande gioco
dell’evoluzione biologica).
La voce è un medium tra il corpo dell’attore e lo sguardo
dello spettatore, voce eidetica che assume in sé, oltre ai
significati e i significanti, anche il più vasto repertorio
della gestualità. … la voce può dare un corpo
fisico alle immagini mentali, obbligarle a un percorso mentale uditivo
senza senso …
(J. P. Magonaro in Carmelo Bene. Otello o la deficienza della donna
in P. Giacchè Carmelo Bene)
La
voce è medium del nulla affettivo incarnatosi nel corpo-gesto
(affettivo) dell’attore: così essendo ha origine l’a-comunicazione
iperconduttiva, capace d’imprimere l’oscillazione nel
corpo-mente di chi è fruitore dell’atto del teatro,
così da dar seguito all’attività che alberga
in lui celata (assente).
Preliminari alla messa in scena di Evoluzione!
La
nascita del suono-antisuono precede ogni visione.
A teatro si ascolta un luogo. Nell’ascolto altro s’invera:
il resto è margine dove il teatro raddoppia se stesso e scompare
destrutturando la sua messinscena.
Nel teatro dell’Assenza s’osserva la temporalità
(momentaneamente) sospesa-lacunosa che la parola dell’attore
è capace di volgere a favore dello spazio-mente dello spettatore.
In ogni rituale la forma ritualizzata s’oppone all’indeterminato.
Il Grund si oppone all’Ungrund. Il fondamento – il fondo,
e il bisso, profondità finita si oppone all’a-bisso,
profondità infinita. L’abisso precede il fondamento.
(Da V. Turner in Dal rito al teatro)
Definizioni
circa il Teatro dell’Oggetto-mancato (Teatro in-Assenza)
Il teatro O. M. è luogo dove si manifesta l’atto attoriale
della parola-gesto capace del mancare-morire – astratto -
nella relazione con chi ha deciso di partecipare e condividere quella
particolare situazione di spazio-tempo (del teatro).
Si attua in tal modo la condizione in cui è possibile dar
sostanza alla trama sottile di spazio-tempo in-Assenza: essa è
data dalla relazione precipua tra attore nel suo contesto scenico
e fruitore. L’attore è a-persona che diventa propensa
a condividere una particolare modalità di comunicazione (iper)conduttiva
– a-comunicazione -, nell’interazione con chi è
partecipe dell’evento, uno spazio-tempo a-teatrale, dalla
profonda valenza affettiva. A sua volta libera dalla fissità
della concretezza dell’oggetto-cosa di cui Homo sapiens è
succube. Esso ne è prigioniero, in ogni sua manifestazione,
dalla più ordinaria alla più sublime, in una fase
evoluzionistica non risoltasi in congruità alle nuove espressività
di cui il cervello umano è strumento potenziale e in atto.
Circa
il recitare (in-Evoluzione!)
Tutt’attorno
all’attore è illuminata la zona affettiva: la voce
ne è veicolo, la parola ha l’espressione dell’affettivo,
mancando l’emozionalità concreta e simbiotica –
l’affetto non cerca il consenso, né l’assenso,
bensì la sospensione dell’oggetto concreto corpo-mente-cosa,
per accedere all’altro da sé, al mancare tout-court.
L’affettivo in-mancanza assume in sé la scena e ne
dà il movimento; l’affettivo è anche ciò
che è capace di cessare, finire, morire dell’oggetto-concreto,
corpo-mente-mondo in eccesso.
Attraverso lo strumento del recitare – della voce, della parola,
del volto o del corpo – si attua la perdita dell’attore-soggetto,
che arretra da sé – muore per attimi-pensanti –
e dà di questo morire – lacunoso – la strada
perché chi partecipa dell’evento scopra il cessare
incessante della sua mente-corpo in-ascolto.
La voce e la parola raccolgono l’immagine e la estendono fuori
dei loro confini. Sono coadiuvati da una scena che apre nei suoi
punti cardinali all’infinito, tramite correlazioni a loro
volta capaci di perdere il concreto saturare dell’oggetto,
facendo balenare l’oggetto-mancato: l’oggetto vuoto,
il mondo che è bucato nel suo centro e perciò si lascia
vivere e conoscere più vero e più assente.
La
voce si attua nella parola e la sostiene: la parola non è
persa nella voce, come ad esempio nel teatro di Carmelo Bene. Resta
come differenza.
La parola, nell’insieme con le altre parole, in una sintassi
del discorso complesso e non lineare - a più foci, a più
direzioni - resta garante d’un senso che impronta una realtà
assente tramite le parole e il discorso bucati-nel-mezzo, aperti
all’alterità di chi recita e di chi partecipa dell’evento.
Il
suicidio del sistema
Il sistema vivente e pensante, per potersi autorganizzare sui diversi
livelli che gli competono - eventualmente anche per mutare il livello
di complessità - , procede nel tempo della sua esistenza
a continui gesti suicidali (microcessazioni) attraverso cui muore
e ne accetta il gesto (del-morire): il tal modo il pensiero pensa,
la realtà non implode.
Il
gesto del pensare si apre sull’abisso del suo mancamento.
Il
suicidio in-astratto (del sistema) è un atto non violento:
è esperienza d’una morte che antecede, una morte che
anticipa la vita e la informa circa il suo mancare.
Vivere
e morire in pace
Asistema è un sistema che è morto suicida. Ha così
sottratto a sé l’anima di troppo che lo teneva in vita,
ma lo escludeva da una “morte astratta e propizia”.
Con la propria morte ha determinato un vasto campo in-Assenza adatto
a far sì che gli umani vivano e muoiano in pace, di quel
mancare in-nutrimento.
Atto-pensante/Gesto
pensante (in teatro)
Pensare
la sottrazione: non quando la sottrazione, il mancare, il cessare-morire
sono già avvenuti e li si pensa, li si esperisce a posteriori,
e li si dà per scontati, ma pensare il finire, l’ultimo
tratto nella presenza dell’esistere-non essere quale precedere
dell’intelletto e dell’affetto.
Un essere quindi sul filo del mancare, una necessità all’origine
dell’attività pensante più complessa dell’uomo
sapiens. Il finire come luogo dell’anti-iniziare.
Un incominciamento (iniziazione) che è già cessazione,
e pertanto si fa attività sia del pensiero più ardito,
sia dell’esperienza più ordinaria del vivere quotidiano.
Finire come necessità dell’essere e dell’essere
qui; dell’inserire l’umano e la cosa di cui partecipa
nel tempo d’una realtà che chiama all’esperienza
d’un nulla – finito e fecondo.
Gesti del teatro in-Assenza
Creare il gesto che manca. Lasciare il gesto che manca. Mancare
il bersaglio.
Creare il gesto affettivo che toglie.
Dormire – morire – lasciare.
Costruire – distruggere, disimparare.
Memorizzare, distogliere dalla memoria. Svuotare.
Ricominciare da capo. Ritirare parti di vita e di morte.
Organizzare perdite e stanare il nulla che manca.
Finire oltre la soglia.
Partecipare con la mente-cervello al suono che si dissolve, e dissolvendo
è attratto dall’orecchio che ascolta.
Sparire nel buio e poi ritrovarsi senza l’uguale punto di
riferimento.
Parole-morte. Parole che s’impiastricciano sul volto.
Organi della materia e sue trasfigurazioni.
Battere i piedi – battere in ritirata.
Mancanze-di-tempo. Fase REM del sonno.
Catastrofi del tempo ® microcessazioni e luoghi comuni.
Nevrosi e pazzia. La cura e il calore umano ® ultraumano. Il
calore del corpo mediano e del corpo post-mortem.
Assente è il mondo
“Assente” è il mondo (die Welt) che Homo s. vive.
Questo (genere di) mondo è assente della “concretezza”
del cosiddetto ambiente, proprio dell’organismo animale. La
cosità dell’ambiente già è venuta meno,
grazie soprattutto al linguaggio nuovo che nomina la cosa e la dematerializza
articolandola in una prospettiva (complessa tramite una relazione
non biunivoca).
Il linguaggio umano (i linguaggi umani) sono un potente veicolo
dell’assenza di mondo.
Verso un anti-adattamento
A
certi impulsi di costruzione (e decostruzione), a certe istanze
d’un sistema nervoso asservito alle pressioni d’adattamento
d’un rapporto organismo-ambiente d’antica specie evoluzionistica,
l’uomo è costretto; in particolar modo il suo cervello
più evoluto è incluso in questa attività antica
di permanenza. Al niente invece questo cervello aspira. A perdere
di quell’antica pressione evolutiva, non più necessaria:
già esiste entro un altro stadio il sistema di Homo s. Esso
è fatto d’un finissimo niente: una nientità
rispetto all’oggetto-cosa-mondo; un mancare rispetto alla
pressione teleologica dell’organismo umano-animale, costretto
entro un habitat non più di sua pertinenza.
Il cervello (superiore) dell’uomo è costretto a rispondere
continuamente e ad emettere senza sosta impulsi, e perciò
azioni o pensieri che derivano da quell’antica spinta biologica
adattativa.
Attore, parole, teatro dell’O. M.
Un teatro in cui la parola è posta in una precisa collocazione.
Così come la musica.
Un dire qualcosa che subito è posto a non far emergere niente.
Ma che implica per chi dice – l’attore – ad essere
sé nel mezzo della finzione.
E così a collocarsi nel mezzo d’un universo, pronto
a cessare. A nascere e morire nell’istante. E in ciò
essere luogo affettivo e del giusto mancare-affettivo e affettivo-mancare.
Luogo della a-rappresentazione: dove la cosa perde il suo peso.
E la sua prensilità d’antica specie. Si perde l’animale,
ma non torna uguale l’umano. Si perde l’umano e non
torna l’animale. Il reale è cessato; il reale è
mancato.
Chi vive e chi muore? L’attesa esplora il suo parlare e dice
l’essere uomo – e non; la musica segue e si dispone
a raccogliere e a raddoppiare (niente più niente). Infine
una storia, un’inserzione che non si ripete (non-ripete).
Cessare della rappresentazione:
cessare dell’immaginazione:
dire una parola che vuota è e non-è. Respirare e mancare.
Discutere
di ciò fino alla fine dei giorni. E lì provare a cessare
di sé. Transeire.
Ciascuno porti in quel sito la sua immagine speculare, la getti
a terra e non s’arrenda pedissequamente all’indicazione
di morte e di vita.
Ci
manchi il nulla. Esso manca a se stesso. Ci sorprenda! Assentiamoci,
e scopriamoci pensanti oltre quel muro.
Decidere
la fine. Il passo di-cessazione.
Passo di danza: nobiltà dell’essere e del-mancare.
Delicate sconfitte tutte da ascoltare. Tutte da velare: musica signori!
Uomini
deboli – uomini forti. Ullallah! Da qui in poi abbiamo perso
il cammino … Il futuro c’incalza e noi l’abbiamo
preso per-mano.
Separati i vivi dai morti, rimescolati oltre l’orizzonte degli
eventi: noi già siamo lì ad attenderli, sereni.
Non
una metamorfosi continua, bensì un cambiamento a stretto
contatto – qui e oltre quel muro – d’un continuum
– un continuo mancare: una linea di fondo, una superficie,
un volume, un intero universo in-relazione, battendo i piedi veloci
su un pavimento – sostegno del giusto venir-meno.
Resti fra noi.
I resti della creatività. Il gesto soffiato-soffiato. Il
gesto innaturale. Pensieri … affetti. Urgenze, non troppo.
Il
fattore di crescita. La cellula suicidale.
Mancava così poco alla salvezza. Non ci siamo
arrivati.
Soltanto i murati possono esistere. Soltanto nella stretta dello
schizofrenia - che manca - c’è l’essere che inventa
la misura e balza oltre la prigione del corpo e della mente.
Tradire l’ordine sensoriale. Non vedere niente. Non sentire-niente.
Appostarsi al di là del proprio-cervello: come fuoriusciti
esplorare
lungamente
largamente
il-finito. E lasciarlo cessare in-pace.
E’scienza dell’uomo. O in sua-mancanza.
A nulla mira Evoluzione!
A
nulla mira Evoluzione!, se non alla radicale mancanza di necessità
della rappresentazione. Totale annichilimento dell’oggetto,
dell’effetto realtà … mondo … radicale
nientità del cervello che lo pensa e lo mette in-scena. Giammai
il nichilismo quale interpretazione in negativo di realtà
e di possibile verità, come sempre accompagnato dal fetore
dell’orrida disperazione esistenziale.
Alla fine dell’intero ciclo evoluzionistico la creazione d’un
nulla speciale: l’enunciazione dell’oggetto-mancato
quale espressione dell’autismo perfetto d’un cervello
che ormai ha cessato del suo vedere palese e, nel sentirsi cieco
e chiuso quale corpo fatto di nulla, s’è generosamente
acquietato divenendo un tramite sereno e nouminoso.
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