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Paolo Ferrari
Aforismi in-Teatro
Sestri,
agosto 2002
Il Teatro in-Assenza- Astratta Commedia – rappresenta
quella cosa (quell’oggetto) che alla realtà manca, senza
tuttavia sostituirlo (sostituirla) in alcun modo con altro. Così
che l’oggetto mancante – che si manifesta in un tempo privo
dell’istante che si fissa – nel pensiero che lo colga –
ne colga cioè la rappresentatività assente, nel mentre
la realtà tutta è nel farsi e disfarsi – realizza
di quello il suo proprio mancare – mancamento del pensiero, dell’oggetto
rappresentato e di ogni altro oggetto o pensiero pensante che abbiano
consistenza con la realtà e il suo caratteristico mancare, quale
fine di mondo. Il corpo–pensiero (consolidamento di pensiero astratto)
così generato, è oggetto che si misura nel mondo, in cui
rappresentandosi, si mostra consustanziale all’essere meno, capace
di fare altro – il-mondo.
Scritti
circa il Teatro in-Assenza
1.
“Che cosa succede nell’Astratta Commedia?”.
” Nulla succede, proprio nulla. E' invero questo non succedere
nulla che produce teatro, il Teatro dell’Assenza”. La rappresentazione
si fa assente in corrispondenza della sua mancanza, evitando un’inutile
verosimiglianza; aprendosi in tal modo a un linguaggio che a nulla appartiene
se non al gesto di codesto particolare venir meno.
2 .
“Che cosa in genere succede in una cosiddetta rappresentazione
teatrale?”.
“Che qualcosa avviene; qualcosa di particolare, una sorta di accentuazione
di percezione, di sensibilità, di intelligenza, in un legame
tra scena, attori e spettatori come intende Peter Brook. Codesto qualcosa
nel teatro dell’Occidente è mediato da una vicenda, che
consiste in un’azione teatrale in cui qualcosa è rappresentato,
ovvero duplicato qual metafora della vita, sia essa una vicenda del
banale ovvero un accadimento raro del sublime.
Nell’Astratta Commedia nulla di ciò succede: non v’è
metafora della realtà, né di quella consueta né
di qualsiasi altra inverosimile o immaginifica. In codesto teatro accade
semplicemente – e in modo complesso – nient’altro
che l’inverarsi di se stesso: esso è esperienza e linguaggio
d’una mancanza particolare e generale, d’un vuoto che emana
- e reclama - un’integrazione di senso, un gesto ulteriore. Non
occorre né raccontare un oggetto concreto di vita, né
uno correlato alla morte nel modo immediato – per lo più
accomodanti: per mezzo di questi oggetti la mente è solita ordinare
secondo parametri già predisposti, dal suo identificarsi da un
lato con l'attività pensante, dall’altro con quel mondo
cui si riferisce – pena la pazzia e la fuoriuscita dall’alveo
che la contiene -, una realtà alla quale concede d’esistere,
corrispondendo ad essa in un modo conforme e ambiguamente remissivo”.
3.
“Di che cosa tratta l’Astratta Commedia?”.
“Di nient’altro se non del fatto che il teatro è
tutt’altro. Altro sentimento, altro riferimento, altra ragione,
un giusto distacco appoggiato a un nulla per sempre difforme”.
4.
Il teatro è il luogo in cui nulla succede: proprio in quanto
consiste d’un siffatto mancare esso è teatro. Se così
non fosse si tratterebbe di piatta imitazione d’un atto ordinario
di vita, anche se a forti colori drammatici, anche se disposto oltre
la paura di morte.
5.
Dove la vita s’arresta, e la morte cede della sua altezzosa incongruenza,
lì il teatro ha quasi vera esistenza.
6.
Che la mente taccia e il convenzionale si faccia da parte! Un luogo
a-mentale, uno spazio ardito, insensibile e al medesimo tempo sublime,
catturi la scena e la vostra attenzione! (Il Teatro dell’Assenza).
7.
Muore la vita, muore la morte: l’Astratta Commedia scaturisce
a disegnare lo spazio vuoto, il senso del mancare assoluto, organizzandone
l’ignoto.
8.
“Qual è il tema dell’Astratta Commedia?”.
E’ assunzione di forma; della forma appropriata che le compete,
quell’interazione che a noi tutti risuoni congrua, in modo difforme
da quella che la vita - la morte – ci hanno fatto finora ritenere
sensata.”
“Qual è l’espressione dell’Astratta Commedia?
Qual è il suo tema principale?”.
“E’ che essa possa scavare l’impronta di se stessa,
con cui cava si sostenga. A noi tutti, spettatori coautori, si mostri
l’interazione che ci collochi congrui, in modo tuttavia certamente
difforme da quel mondo già tutto dato che la vita e la morte
in modo consueto a noi concede e che ci ha finora così tanto
marchiato, senza essere mai discusso in modo davvero radicale.
9. Il Teatro in-Assenza.
Ogni pezzo di teatro che abbia l’intenzione e la capacità
di far succedere qualcosa (d’altro) in chi partecipi della performance
(spettatore e teatrante) è sostenuto da una trama sottile formata
di diversi nodi, posti a mo’ di crocevia d’un tessuto sottostante
che indica ed esplicita in modo subliminale uno spazio vuoto, un alcunché
d’assente in-accoppiamento, o talvolta anche in contrasto apparente,
con gli accadimenti che si svolgono in modo concreto e reale entro la
trama che scandisce il procedere degli avvenimenti scenici.
Di tale tessuto subliminale si nutre la mente – e l’azione
– dei partecipanti, da un lato attratta – in realtà
come fuorviata, condotta altrove – da quanto succede esplicitamente
sul primo piano dell’azione scenica, dall’altro nutrita
da una sorta di continuum interstiziale sottostante, pronto a variare,
ad oscillare e a dilatarsi in modo libero e cangiante, in modo quasi
indipendente da quanto succede sul primo piano.
L’Astratta Commedia consiste proprio di questa trama sottostante,
e in essa diviene così da realizzare l’oggetto teatrale,
quale interfaccia specifica tra un universo e l’altro, tra un
sistema e l’altro – asistema e sistema. Essa è di
fatto espressione dilatata in un infinito variabile e in una profondità
abissale, a mo’ di cellula rotante, mossa da un moto pressoché
costante, del punto-luogo di divaricazione cruciale tra quanto di concreto
si mostra nella visione consueta e nell’esperienza delle cose
del mondo e della loro reciproca relazione, e quanto a ciò è
implicito e necessario per la loro esistenza, forma cava e inconsueta,
atta a realizzare l’oggetto sensibile fenomenico ad esse sovrastante:
l’Astratta Commedia è pertanto calco e fondamento così
da fare dell’oggetto teatrale che essa realizza un alcunché
di reale e, nell’oltrepassamento così attuato dell’aspettativa
retinica, sensoriale, emozionale e razionale, atta a compiere quell’oggetto
di teatro più vero del reale.
Essa è manifestazione del Teatro in-Assenza: fa manifesto e usufruibile
alla mente quanto solitamente è lingua dell’altrove, e
perciò lingua fino ad ora esiliata.
10. Un argomento della Commedia.
La Commedia tratta della fine, di ogni tipo di fine. Della fine della
Storia e perciò della cessazione dell’avventura al mondo
di Homo sapiens e delle sue civiltà.
Da questo eterno finire – che tende a non finire mai – s’è
divincolato ALILANTI (A), che ne ha oltrepassato il limite incompiuto
e, come novello Ulisse di ritorno – Homo Abstractus – ha
accettato di rientrare nel vecchio mondo a raccogliere i suoi compagni;
con questa sua azione egli introduce un differente passaggio –
ammesso che ciò sia possibile e che abbia un senso – che
in nuce porti il già finito, una compiutezza d’altro ordine,
un’espressione oltre l’umano e il consueto, fuori dei vincoli
di vita e di morte, ormai ripetuti da un lasso di tempo pressoché
infinito.
Da qui in avanti ogni storia avrà un senso (compiuto) se in sé
porterà un tutto già finito, già compiuto –“
Io è morto: Assenza sia fatta“-.
Sulla scena teatrale più volte verrà scandita una tale
battuta dopo che essa ha disposto il primo inizio.
“Qui è raccontata una fine generale che comprende ogni
fine particulare: che in essa sia già un nuovo inizio?”.
Ciò è quanto è dichiarato in alcuni momenti topici
della Commedia, a mo’ di paletto temporale, mezzo di scorrimento
e di riconoscimento di uno spazio-tempo che nel suo fondo già
ha impressa la sua cessazione definitiva: ciò
significa portare alla luce un tempo dell’esistenza che partecipi
dal suo interno d’una condizione d’eternità in cui
si realizzi l’utopia d’un mondo libero dal senso di morte
che il divenire – il procedere ordinario del tempo consueto -
per lo più porta con sé.
11.
“Che cos’è l’Assenza?”
“E’ ciò che non essendo, è – secondo
il proprio assoluto mancare.
12.
“Che cos’è il proprio assoluto mancare ?”.
“E’ ciò che la mente non è in grado di raccogliere,
dal quale tuttavia non può prescindere, pena la sua dissoluzione
in un vuoto senza fine”.
Circa
il senso del gesto teatrale di Astratta Commedia
Alla base della realtà c'è un fatto paradossale, lo scandalo,
per cui essa è oggetto (e soggetto) mancante; ciascuno di noi
è così (il) mancante; invece del mancare è costituito
il discorso. Il linguaggio narra dell'esser morto: d'una interminabile
consunzione di morte, iniziatasi millenni orsono.
Allora noi pensiamo e ci scopriamo esseri pensanti, nella voragine che
il pensiero stesso conclama e scava, lasciandoci annichiliti e pronti
all'alterità.
Al pensare - alla voragine del nulla cui esso richiama quale realtà
in attesa - s'oppongono i sensi e i loro apparati, il sistema delle
percezioni e delle cognizioni: senza soluzione di continuità
questi tamponano e pareggiano, colmando fin oltre il margine le cose,
impedendo il venir meno cui il pensare, per suo consapevole inclinazione,
condurrebbe.
Il
gesto del teatro anticipa lo scarto di cui il reale è costituito
nel suo mancare d'esistenza fissa e concreta: di questo siamo interessati
partecipi in-assenza, privi di necessità di vita e di morte da
cui derivare ed osservare, come all'apparenza si potrebbe invece dubitare
La
lingua di Astratta Commedia
Perché (e come) il teatro in-assenza?
Il teatro è il luogo dove "io è morto" può
assumere espressione. Stati differenti di morte possono prendere e aver
luogo, secondo oscillazioni differenti di soglia, ovvero secondo soglie
differenti di comunicazione e di ricezione.
La realtà in-assenza è luogo della mancanza: lo svuotamento
della realtà - con cui s'esprime la sua condizione prioritaria
di non essente - ha a disposizione alcuni interstizi, alcune fasi onde
disporsi quale non non-essente, a cavallo della soglia di ricezione
mentale e amentale.
Esiste quindi una dimensione amentale, che è quella per cui la
mente abdica alla sua funzione cognitiva, alla priorità d'essere
fattore d'organizzazione d'una realtà ad essa esterna, disponendosi
a diventare essa stessa il suo oggetto-soggetto mancante-vuoto.
L'amente è il mancante della mente: il luogo teatrale è
quello dove il gesto di quest'organo assente può darsi nel suo
non-essere, come il linguaggio che, mancando del suo fondamento, rinuncia
al senso con cui è abilitato a tamponare le lacune tramite le
quali il reale si mostra nel fissarsi alla mente.
L'amente è non-fissità. Il teatro è discorso sulla
non fissità che si esplica nella continua oscillazione, come
dice Carmelo Bene, tra non io e non non-io. Io è morto e da questa
sua morte ha origine il teatro in-assenza.
Il
teatro è massimamente lingua dell'essere in-morte. Colui che
la dice è già morto più volte, e più volte
in-sé.
La lingua di Astratta Commedia
Che
cos'è la lingua in-Assenza? La lingua dell'essere in-morte?
E' la lingua che si organizza senza a-priori, rinunciando alla funzione
del significare qual-cosa. La cosa - cui la lingua si riferisce - decade;
spiccando il volo la lingua ne assume l'assenza, includendo e accettando
la perdita secca dell'oggetto mentale. Nell'essersi perso e dissolto,
il soggetto amentale con il gesto teatrale esprime il giusto mancare,
l'esser altro-da-sé nel modo più consono a quell'esperienza
non dissimile da quella di fine del mondo.
Il
teatro e la lingua (in-Assenza)
Il teatro deve parlare dell'altra lingua, deve parlare l'altra lingua:
quella che permette che la lingua convenzionale - la linguacomunemente
pensata e parlata, in particolar modo nello stato di veglia - abbia
luogo e consistenza quale mezzo di comunicazione e d'informazione adatte
all'evoluzione.
La lingua del teatro - la lingua che viene pronunciata tramite la recitazione
- il pensar-parlando - prescinde dallo stato di vita eda quello di morte:
compie una mezza rotazione all'indietro e dichiara il suo morire. Lingua
morente e attiva.
La lingua-che-manca - il mancare della lingua, senza afasia della stessa
- è la recitazione dell'attore; è il cuore del teatro;
è l'alterità che si fa materia di scambio umano, permettendone
l'evoluzione.
Il
linguaggio, il teatro, il senso, il doppio mancante
Al cessare del linguaggio ... ma senza afasie.
Al trasformarsi in-altro del linguaggio, privato del potere che la cosa
possiede nel suo significare (riflettere senso).
Al
morire del linguaggio e del testo - che è vuoto nel mezzo -,
perché la morte che alberga nel senso non ingombri più
che tanto, si dissolva invece in un niente pudico.
Sottrarre al linguaggio il senso ... mancante l'ambiguità ad
esso connaturata; altro ne assuma che sia carente dell'antica traccia
cui fu indissolubilmente legato da una morte priva di senso.
Altro sia il senso, altrove sia condotto, dove la cosa già ha
perduto quel significato con cui confermò il potere d'essere
essa la totalità indiscussa del mondo
Il
teatro in-Assenza è espressione dello spettro del nulla e ad
esso equivale: è il dispiegarsi di tutte le potenzialità
di cui il nulla è fornito nel suo mancare, alle quali lo spettatore
- spectrum - (esso stesso mezzo per vedere) è chiamato a presenziare
quale artefice e testimone.
Assenza-in-teatro
1. Assenza in-teatro è il procedere per atti mentali, come ombre,
calchi, segni al negativo d'un'energia che si trattiene e cambia di
verso: in contrasto alla sua tendenza che sarebbe quella di rappresentarsi
come entità concreta e usufruibile, oggetto da consumarsi immediatamente
e nella cui consunzione l'uditore o lo spettatore sono soliti cercare
la conferma d'un'illusoria conservazione, salvacondotto per la morte.
2. Assenza equivale ad astrazione: lingua che si spende mutando di segno.
Lingua priva di rappresentazione al cui passaggio resta la traccia d'un
alcunché che già da sempre s'è perduto, dando vita
al linguaggio che conosciamo. Questo perciò - insieme con le
cose che rappresenta - è derivazione d'un segno-simbolo che a
nulla si conforma, se non al proprio mancare.
3. Assenza come mancanza.
Rinuncia alla vita e persino alla morte: consunzione della parola e
del gesto teatrale in un atto il cui fine è quello di segnalare
l'esistenza di quella sospensione di giudizio che è sostrato
sul quale è forse possibile costruire il vuoto - il mancante
- con cui pensare le cose.
4. Assenza come (esperienza del) nulla della fine del mondo. Apocalisse,
chiusura dell'antica specie umana: su tale conclusione l'emergenza probabile
d'un'entità il cui sostrato comporta ad ogni tratto la voce d'un
finire dal quale la mente cervello trae nutrimento: di esso lo spirito
umano è all'affannata ricerca, entro la condizione dissociativa
ingombra di cose, di cui la specie umana è erede, nei travasi
dell'evoluzione da una fase all'altra - a causa di stati di morte e
di cessazione irrisolti.
5. Assenza è il fine del teatro in-assenza. E' trasmettere con
le forme del linguaggio ad esso peculiare quella linea del silenzio
perché nell'uditore s'intrattenga il senso d'una mancanza - il
segno sottile capace d'incidere in modo appropriato la parete compatta
cui solitamente soggiace la mente ingombra di cosa.
6. Assenza nel teatro è esperienza di fine del mondo: il mondo
si dissolve nel gesto che si sottomette all'altro da sé disponendosi
alla differenza che è suo annichilimento. In modo analogo la
scena deve proporre codesto mancare: s'attua la sussunzione del suo
stesso cessare, come un virus che, introdottosi nel senso e nella rappresentazione
dell'oggetto quale ente cosale, sia trasmissibile senza interposizione,
capace del mancare, quale speciale, ardito, complesso venir-meno.
7. Il teatro come teatro della morte: cessazione del battito di vita,
con l'inclusione in un atto offerto ad-altro. Compimento nell'oggetto
- di vita e di morte - in cui è ammissibile la scomparsa. La
sua fine è accettata: il mondo ha cessato d'esistere mancando
infine di quell'eccesso d'evidenza che è l'aspetto della (sua)
cosa ingombra di fisicità e di spirito.
Del
gesto teatrale e dell'attore
Il gesto del teatro - che sia parola, movimento, segno o anche solo
pensiero - ha da contenere il (suo) mancare: l'espressività che
comunica e dice deve aprire - e aprirsi - a quello spazio mentale -
in chi ascolta e vede - solitamente occupato da una realtà data
da un corpo-mente di uomo, solitamente incapace di includere, nel suo
farsi, il cessare.
Ad ogni tratto il gesto del teatro offre l'assenza, e così l'attore
- nel profferire parola - anche ne tace il senso, ne tace il suono,
solitamente intesi, senza mai perdere la consapevolezza di quella relazione
che, tra atti, pensiero e parole determina in chi vede e in chi ascolta
il dischiudersi di quel segreto che la realtà in sé racchiude,
mostrandosi invece con quell'eccedenza concreta - che è antica
resistenza al dissolversi inoltrandosi in una fine compiuta, il vero
arcano.
Il finire dell'atto, del gesto, del senso, non avverrà mai sul
primo piano: il cessare si compie in un infinito posto al di là
di quanto chi ascolta, chi vede è abituato a recepire, nel timore
di accogliere in sé l'esperienza di fine del mondo che è
compimento di Astratta Commedia. Non esiste uno spazio teatrale vuoto
da riempire con oggetti, pensieri, atti, movimenti ... Non esiste alcuno
spazio a priori accessibile: lo spazio è pari a una cosa di densa
materia - e non soltanto lo spazio. Non le cose o lo spazio cosmico
tra gli astri, né soprattutto lo spazio mentale. La mente è
continuamente ingombra dei suoi oggetti mentali. Il gesto in-assenza,
la parola in-assenza nel teatro sarà il medium tramite il quale
contribuire a che la mente s'apra al suo opportuno mancare.
Il gesto, l'atto, la parola, il pensiero nel teatro dell'Assenza manifestano
il loro mancare peculiare: la mancanza di eccesso di realtà -
vulnus entro il tessuto compatto senza interstizi - permette anche una
relazione d'altro genere che prende luogo, in uno spazio che si dà
affettivo e appropriato mente impara a sentire. Scende entro le fibre
del corpo nel quale prende dimora, ad esso sostituendosi pressoché
interamente - ed è il corpo immentato.
Il modo di fare teatro in Carmelo Bene è anche un modo di stare
nel teatro della fine, alimentando la scandalosa metamorfosi tra soggetto
e attore ...
(In: P. Giacché. Carmelo Bene)
E' ancora una volta lo spettatore colui che scruta evocando la trance
come un incosciente e dunque autentico stato di coscienza, mentre per
l'attore si tratta di pervenire a una «cosciente incoscienza».
Il teatro è ascolto d'una visione.
(In: P. Giacché. Carmelo Bene)
Ad ogni parola che significhi morte (in-assenza), o la evochi in modo
ad essa prossimo, l'attore dovrà indicare con un gesto deciso
dell'equilibrio (squilibrio), del corpo (suo rovesciamento) la natura
della specie che s'approssima al cessare o che agisce in presenza di
fine del mondo.
La morte citata in Astratta Commedia è (quasi) sempre fine dello
stato attuale delle cose; annichilimento dell'oggetto concreto e del
soggetto pensante che s'approssima o già esperisce la fine di
mondo, non diversamente da chi facendosi esplodere attira nella sua
morte la morte dell'altro, all'altro affidando totalmente il proprio
destino.
Del cervello umano e delle sue proprietà. Del teatro
dell’Oggetto-mancato.
Il cervello umano - e perciò la vita “psicologica”
del genere Homo della specie sapiens - ha la proprietà di bastarsi
(da solo), senza dover dipendere per il suo equilibrio-sostentamento
da alcun oggetto a sé esterno, a meno che una scelta di tal genere
non derivi da una decisione che sia sollecitata dall'interno di sé.
Un’organizzazione (utopica=felice, compiuta) d’un mondo
è quella espressa da un cervello che ha prodotto il proprio compimento,
secondo la proprietà ad esso congrua.
Non esiste mondo che il cervello (mente) umano non abbia deciso, in
particolar modo nell’annunciare di questo la fine(=cessazione).
Il teatro in-Assenza mette in scena la “dissipazione” che
s'ingenera ogni volta che l'oggetto-cosa interno - contenitore e fornitore
di “morte concreta” – dà inizio alla cessazione
del suo ingombro onnipotente (è ingombro che non permette interstizi
= muro senza brecce). Il gesto di quel teatro sarà “dissipativo”
- e non “conservativo”. Annuncerà una perdita - e
non darà adito all’”accumulo”. Non sarà
vincolato a una “necessarietà univoca” né
a un “contenimento” obbligato. Sarà fautore d’una
necessarietà anziché di contenimento e di obbligatorietà,
“libertà controllata” - autodefinita -, con accesso
allo stadio della morte-mancante (assenza di morte concreta), e di non
fissazione coattiva.
Il Teatro dell’Oggetto-mancato e la lingua del finire
Il perdersi, il dissiparsi, il farsi altrimenti dal proprio, lo smarrire
- e ciò che ne deriva - sono i presupposti – da cui trae
vita il Teatro dell’Oggetto-mancato e la sua lingua. Ad ogni tratto
all’inverarsi dell’”energia” di questo, corrisponde
“volentieri” l’abdicazione alla certezza d’una
finalità, d’un senso e d’un sentimento facili in
eccesso.
Demiurgo
della situazione è il cervello-mente che concepisce e pone in
essere (inscena) un mondo di cui esso è artefice e magnanimo
offerente. L’architettura d’un mondo ha così luogo
e di questa il cervello mente si nutre, derealizza (all’istante)
e (così) pone in-essere. Chiara è la fine-di-mondo che
lì già si può intuire e rappresentare – per
chi già sappia cogliere sul fatto l’immane costruzione
costantemente sull’orlo del suo mancare.
Per esso già il mondo finisce e il cervello mente-corpo di ciò
costantemente si nutre e inscena.
Tal declinare di mondo è costrizione necessaria, ma non sufficiente,
a che il cervello-mondo non annichilisca – implodendo su sé.
In quel finire invece si specchi assumendo il suo stesso (doppio) mancare.
Della
lingua che manca, il teatro (in cui si manifesta) e il sentimento
La lingua-che-manca (in Evoluzione!) - il mancare della parola che assoggetta
al valore del senso finito - è luogo del non non essere. Il perdersi
del bersaglio, e il ritrovarlo (fuori di sé) - sono segni dell'errare
della lingua che, perdutasi - ritrovatasi e perdutasi per sempre, -
coglie la parola e da essa è sedotta, così da liberare
il sentimento che coglie nel segno oltre il suo fine prestabilito.
Del perdersi della lingua in-teatro e del suo realizzarsi, mancando
Nel perdersi, nel non neutralizzarsi, ma neppure passando ad altro -
che non sia sicuramente l'altro - la lingua impersona il proprio stesso
mancare e s'apre al suo finire. Concepisce quel gesto che apre al teatro
e alla sua condensazione. E’ materia dei corpi che, recitando
e sfinendo, tendono a dematerializzarsi della loro vita stessa. E’
questa che, nell'espropriazione di se medesima e nell’abdicazione
dei corpi, con il gesto pensante del teatro li realizza - avendoli distolti
da quella paternità e da quella maternità di vita e di
morte di cui essi erano pregni (nel farsi del quotidiano).
Circa
il senso del gesto teatrale di Astratta Commedia, Evoluzione e Oggetto-Mancato
Alla base della realtà c'è un fatto paradossale, addirittura
scandaloso: la realtà è mancante di sé; e così
ciascuno di noi è (il) mancante; di colui e di quell che manca
è costituito il discorso. Il linguaggio narra dell'esser morto,
d'una interminabile consunzione di morte, iniziatasi millenni orsono.
Allora noi pensiamo e ci scopriamo essere pensanti, nella voragine che
il pensiero stesso conclama e scava, lasciandoci annichiliti e pronti
ad altro.
Ma il gesto pensante è suo malgrado prevenuto - nello scavare
ed essere la voragine del nulla di cui la realtà è espressione
– dal ritorno sensoriale, percettivo e cognitivo (d’antica
origine) che, senza soluzione di continuità, tampona, riempiendo
fino all'estremo margine, il naturale venir meno a cui il pensare stesso
condurrebbe per sua predisposizione congenita.
Il
gesto del teatro mostra lo scarto di cui il reale, nel suo mancare d'esistenza
fissa e concreta - privo di “fissa dimora” - è costituito
e del quale siamo interessati partecipi – in mancanza di rappresentazione
- , privi di necessità di vita e di morte da cui derivare ed
osservare (un’eventuale messa in scena).
La
lingua di Astratta Commedia, Evoluzione! e Oggetto-Mancato
Che cos'è la lingua in-Assenza? La lingua dell'essere in-morte?
La lingua oggetto-mancato?
E' la lingua che si organizza dal basso, rinunciando alla funzione del
significare qual-cosa. La cosa - cui la lingua si riferisce –
decade: prendendo il volo ne assume l'assenza, la perdita secca dell'oggetto
mentale. Nell'essersi persa, la realtà amentale esprime con il
gesto teatrale il suo mancare, il suo esser altro-da-sé.
Il
teatro e la lingua (in-Assenza)
Il teatro deve parlare dell'altra lingua, deve parlare l'altra lingua:
quella che permette che la lingua convenzionale - la lingua comunemente
pensata e parlata, in particolar modo nello stato di veglia - abbia
luogo e consistenza quale mezzo di comunicazione e d'informazione adatte
all'evoluzione.
La lingua del teatro - la lingua che viene pronunciata tramite la recitazione
- il pensar-parlando - prescinde dallo stato di vita e da quello di
morte: compie una mezza rotazione all'indietro e dichiara il suo morire.
Lingua morente e attiva.
La lingua-che-manca - il mancare della lingua, senza afasia della stessa
- è la recitazione dell'attore; è il cuore del teatro;
è l'alterità che si fa materia di scambio umano, permettendone
l'evoluzione.
Il
linguaggio, il teatro, il senso, il doppio mancante
Al cessare del linguaggio ... ma senza afasie.
Al trasformarsi in-altro del linguaggio, privato del potere che la cosa
possiede nel suo significare (riflettere senso).
Al
morire del linguaggio e del testo - che è vuoto nel mezzo -,
perché la morte che alberga nel senso non ingombri più
che tanto, si dissolva invece in un niente pudico.
Sottrarre al linguaggio il senso ... mancante l'ambiguità ad
esso connaturata; altro ne assuma che sia carente dell'antica traccia
cui fu indissolubilmente legato da una morte priva di senso.
Altro sia il senso, altrove sia condotto, dove la cosa già ha
perduto quel significato con cui confermò il potere d'essere
essa la totalità indiscussa del mondo.
Schizofrenia e teatro
Perdita della distanza.
Trasparenza=tutto ciò che è interiore diviene visibile:
lo schizofrenico è trasparente completamente. Tutto lo attraversa:
Rita parla delle voci lontane, mentre cammina. Lo schizofrenico è
attraversato da parte a parte. Di volta in volta occorre essere decriptati,
decodificati: non bisogna offrire opacità, oscurità. Se
non c'è più interiorità, non c'è distanza
dalle cose ... avvicinamento assoluto.
Nel teatro la scena presuppone una distanza. Lo schermo no.
L'alienazione è situazione complessa.
Il teatro implica distanza e sguardo.
Il
gesto del teatro
Il gesto del teatro è medium dell’alterità affettiva
a cui il cervello di Homo aspira, avendo sgombrato il campo dall’occupazione
data dal mondo concreto in cui è immesso continuamente: questo
è costituito di oggetti-cosa, non diversamente da parole, concetti,
pensieri, affetti, emozioni, incapaci tuttora di quella mancanza di
fissità concreta, che l’evoluzione delle specie non ha
risolto-dissolto.
[Un problema di tal genere ha ovviamente significato relativamente alla
piccolissima nicchia che il genere Homo ha occupato – e generato
- nel grande gioco dell’evoluzione biologica].
La voce è un medium tra il corpo dell’attore e lo sguardo
dello spettatore, voce eidetica che assume in sé, oltre ai significati
e i significanti, anche il più vasto repertorio della gestualità.
… la voce può dare un corpo fisico alle immagini mentali,
obbligarle a un percorso mentale uditivo senza senso …
(J. P. Magonaro in Carmelo Bene. Otello o la deficienza della donna
in P. Giacchè Carmelo Bene)
La
voce è medium del nulla affettivo incarnatosi nel corpo-gesto
(affettivo) dell’attore: così essendo ha origine l’a-comunicazione
iperconduttiva, capace di modulare il corpo-mente altro del fruitore
del gesto teatrale.
L’ascolto
d’un luogo teatrale
La nascita del suono-antisuono precede ogni visione.
A teatro si ascolta un luogo. Nell’ascolto altro s’invera:
il resto è margine dove il teatro raddoppia se stesso e scompare
destrutturando la sua messinscena.
Nel teatro dell’Assenza s’osserva la temporalità
(momentaneamente) sospesa-lacunosa che la parola dell’attore è
capace di volgere a favore dello spazio-mente dello spettatore.
In ogni rituale la forma ritualizzata s’oppone all’indeterminato.
Il Grund si oppone all’Ungrund. Il fondamento – il fondo,
e il bisso, profondità finita si oppone all’a-bisso, profondità
infinita. L’abisso precede il fondamento.
(Da V. Turner in Dal rito al teatro)
Definizioni
circa il Teatro dell’Oggetto-mancato (Teatro in-Assenza)
Il teatro O. M. è luogo dove si manifesta l’atto attoriale
della parola-gesto capace del mancare-morire – astratto - nella
relazione con chi ha deciso di partecipare e condividere quella particolare
situazione di spazio-tempo (del teatro).
Si
attua in tal modo la condizione in cui è possibile dar sostanza
alla trama sottile di spazio-tempo in-Assenza, che è data dalla
relazione precipua tra attore nel suo contesto scenico e fruitore. L’attore
è a-persona che diventa propensa a condividere una particolare
modalità di comunicazione (iper)conduttiva – a-comunicazione
-, nell’interazione con chi è partecipe dell’evento,
in uno spazio-tempo a-teatrale, dalla profonda valenza affettiva, a
sua volta libera dalla fissità della concretezza dell’oggetto-cosa
di cui Homo sapiens è succube. La specie umana ne è prigioniera,
in ogni sua manifestazione, dalla più ordinaria alla più
sublime, in una fase evoluzionistica non risoltasi in congruità
alle nuove espressività di cui il cervello umano è strumento
potenziale e in atto.
Circa
il recitare (in-Evoluzione!)
Tutt’attorno all’attore è illuminata la zona affettiva:
la voce ne è veicolo, la parola ha l’espressione dell’affettività,
condizione per la quale l’emozionalità concreta e simbiotica
viene meno – l’affetto non cerca il consenso, né
l’assenso, bensì la sospensione dell’oggetto concreto
corpo-mente-cosa, per accedere all’altro da sé, al mancare
tout-court.
L’affettivo in-mancanza assume in sé la scena e ne dà
il movimento; l’affettivo è anche ciò che è
capace di cessare, finire, morire dell’oggetto-concreto, corpo-mente-mondo
in eccesso.
Attraverso lo strumento del recitare – della voce, della parola,
del volto o del corpo – si attua la perdita dell’attore-soggetto,
che arretra da sé – muore per attimi-pensanti – e
dà di questo morire – lacunoso – la strada perché
chi partecipa dell’evento scopra il cessare incessante della sua
mente-corpo in-ascolto.
La voce e la parola raccolgono l’immagine e la estendono fuori
dei loro confini. Sono coadiuvati da una scena che apre nei suoi punti
cardinali all’infinito, tramite correlazioni a loro volta capaci
di perdere il concreto saturare dell’oggetto, facendo balenare
l’oggetto-mancato: l’oggetto vuoto, il mondo che è
bucato nel suo centro e perciò si lascia vivere e conoscere più
vero e più assente.
La
voce si attua nella parola e la sostiene: la parola non è persa
nella voce, come ad esempio nel teatro di Carmelo Bene. Resta come differenza.
La parola, nell’insieme con le altre parole, in una sintassi del
discorso complesso e non lineare - a più foci, a più direzioni
- resta garante d’un senso che impronta una realtà assente
tramite le parole e il discorso bucati-nel-mezzo, aperti all’alterità
di chi recita e di chi partecipa dell’evento.
Atto-pensante/Gesto
pensante (in teatro)
Pensare
la sottrazione: non quando la sottrazione, il mancare, il cessare-morire
sono già avvenuti e li si pensa, li si esperisce a posteriori,
e li si dà per scontati, ma pensare il finire, l’ultimo
tratto nella presenza dell’esistere-non essere quale precedere
dell’intelletto e dell’affetto.
Un essere quindi sul filo del mancare, una necessità all’origine
dell’attività pensante più complessa dell’uomo
sapiens. Il finire come luogo dell’anti-iniziare.
Un incominciamento (iniziazione) che è già cessazione,
e pertanto si fa attività sia del pensiero più ardito,
sia dell’esperienza più ordinaria del vivere quotidiano.
Finire come necessità dell’essere e dell’essere qui;
dell’inserire l’umano e la cosa di cui partecipa nel tempo
d’una realtà che chiama all’esperienza d’un
nulla – finito e fecondo.
Gesti
del teatro in-Assenza
Creare il gesto che manca. Lasciare il gesto che manca. Mancare il bersaglio.
Creare il gesto affettivo che toglie.
Dormire – morire – lasciare.
Costruire – distruggere, disimparare.
Memorizzare, distogliere dalla memoria. Svuotare.
Ricominciare da capo. Ritirare parti di vita e di morte.
Organizzare perdite e stanare il nulla che manca.
Finire oltre la soglia.
Partecipare con la mente-cervello al suono che si dissolve, e dissolvendo
è attratto dall’orecchio che ascolta.
Sparire nel buio e poi ritrovarsi senza l’uguale punto di riferimento.
Parole-morte. Parole che s’impiastricciano sul volto.
Organi della materia e sue trasfigurazioni.
Battere i piedi – battere in ritirata.
Mancanze-di-tempo. Fase REM del sonno.
Catastrofi del tempo microcessazioni e luoghi comuni.
Nevrosi e pazzia. La cura e il calore umano ultraumano. Il calore del
corpo mediano e del corpo post-mortem.
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