Paolo Ferrari
Aforismi in-assenza
1998
1.
"La spiritualità non è né bene né
male". E' l'espressione concreta e quasi immediata d'un sistema
che tende, per sua natura, a de-materializzarsi (de-concretizzarsi=farsi
più vuoto).
2.
Esiste in natura una nuova categoria per conoscere e vivere
la cosa (non-cosa): il nulla equivalente alla mancanza
(assenza) della cosa stessa (come finora è stata esperita
e riconosciuta).
3.
La realtà, così come la si osserva e la si esperisce,
rappresenta il residuo di una attività del cervello di Homo
ancora abituato a leggere e a esperire il mondo (sé medesimo)
secondo modalità e criteri che ne fanno un oggetto in eccesso
concreto (stipato, materiale): a un'attività più
matura (più attuale) la realtà apparirebbe invece
quasi completamente smaterializzata nella sua radice, simile
per certi aspetti alla realtà virtuale.
4.
Chiamiamo a-sistema assenza la nuova condizione che è
espressione del distacco e del mutamento relativi al vecchio sistema
costruito da Homo; in quest'ultimo vige ancora un ente-realtà
dato il quale il mondo e il pensiero assumono la veste di necessaria
e fondamentale presenza in atto per un cervello (un'attività
pensante) cui occorre un oggetto nel quale specchiarsi (secondo
il quale esistere).
5.
Assenza è stadio equivalente al nulla, un
nulla di nuova specie. Con questo s'accoppia nel generare
universo assente [universo privo di materia e di spirito secondo
i criteri noti elaborati da un'attività pensante che tende
comunque a rendere presenti e concreti - fissi - gli oggetti (della
realtà esterna e di quella interna) a cui si riferisce].
6.
Se alla nascita fosse realizzabile la recisione del cordone ombelicale
in modo radicale anche psicologico - e perciò si attuasse
la separazione, senza ritorno, dalla madre (con la morte astratta
del sistema extrauterino) -, entro la differenza del rapporto
così distaccatosi potrebbe da subito essere inclusa la morte
come termine e superamento della vita anche psicologica: il bambino
(insieme con la madre) si porrebbe sulla strada dell'assunzione
(come apprendimento) di nuovo tipo di un ente realtà (interna
ed esterna) per lo più espresso da (una dimensione equivalente
a) nulla (mancante dell'oggetto intrauterino e del suo generatore
- la madre).
a.
La separazione radicale (il distacco da un sistema generatore
che è anche proiettivo) è luogo idoneo all'apprendimento
che determina un'idoneità ad estinguere la necessità
dell'esistenza del mondo e della vita(-morte).
7.
Se nelle diverse fasi che si susseguono durante lo sviluppo dell'organismo
psicobiologico umano, dalla nascita in poi, fosse accettata senza
compensazione la condizione di separazione che in esse emerge, il
sistema uomo assumerebbe quello stadio che diviene maturo, capace
di morire (essere morto) in ogni tratto della sua storia
temporale, senza accumulare lungo il percorso di vita il
peso ostinato della morte che non vuole cessare.
8.
Il peso della morte, che deriva dalla incapacità attuale
e per ora ineludibile del sistema uomo di separarsi dall'oggetto
generatore e da quello proiettivo (madre e cosa), è ciò
che impedisce di cogliere e far esistere una realtà priva
del proprio oggetto concreto (una realtà smaterializzata
e vuota nella sua radice sensoriale e ideativa).
9.
Il linguaggio umano rappresenta l'espressione per ora più
complessa esistente in natura: in esso si esprime la possibilità
dell'esistenza di un ente astratto, privo della necessità
della presenza della cosa perché essa abbia segno d'esistenza.
Lo
stato in-assenza rappresenta quello stadio in cui il linguaggio
astratto - relativo alla cosa che non c'(è) - passa ad ulteriore
silenzio (ulteriore cessazione): è attuazione
in-mancanza. Il linguaggio diviene vuoto e non necessariamente
presente, capace d'assenza, così come il mondo a cui
esso si riferisce.
10.
Non c'è altro che assenza: ogni cosa, ogni idea finora essenti
fanno parte d'un mondo che già s'è estinto in-realtà.
11.
La realtà con cui quotidianamente facciamo i conti non ha
esistenza effettiva: essa è la speranza d'un corpo-mente-cervello
che applica il suo dominio generando senza sosta un universo fatto
nient'altro che di cose (e di idee-cose).
12.
E' ipotizzabile che, se la neo-corteccia - la più recente
acquisizione del cervello di Homo -, non fosse stimolata
continuamente dalle altre aree più antiche evoluzionisticamente,
smetterebbe di produrre quel mondo che tuttavia vediamo, insieme
con la vita che viviamo: al loro posto s'attuerebbe una dimensione
costituita prevalentemente d'un nulla cosciente e mancante
d'un oggetto concreto su cui soffermarsi.
13.
Il pensiero umano continua da sempre a produrre i suoi segni per
dirsi che esiste: un'enorme quasi infinita parete gli si erge di
fronte tutta rigata dai suoi scarabocchi, (anche talvolta bei disegni):
essa sta lì per ricordargli che la strada è sbarrata
da quel suo stesso incessante descrivere e ritmare, fare e rifare,
senza fine e senza interstizi, a causa del timore che mai può
cessare d'una morte incombente: essa nasce già al primo vagito
dell'essere.
14.
Perché (il) morire? Perché, se la morte è buona,
il vivere s'inabissa là dove finalmente s'affaccia libero
e costruisce se stesso oltre il breve tratto al quale un uomo -
ogni uomo - impavidamente (e inconsapevolmente) s'è avvinghiato
attraversando solitario (o in gruppo) la vita.
Circa
la morte(-vita) astratta
15.
Non ha importanza l'essere in vita piuttosto che l'essere in morte;
la vita e la morte si corrispondono sullo stesso piano: a chi vive
(nell'eccesso consueto del vivere) si contrappone la paura del morire.
A chi invece ha appreso il vivere vuoto del suo eccesso, il morire
appartiene al medesimo stadio, ulteriormente de-materializzato,
privo, cioè, di attaccamento (alla vita), idoneo a sostituirsi
ad essa senza durezza, senza frammentazione (senza schizofrenia).
16.
La vita deve contenere almeno un'eguale quantitativo di morte, pena
l'eccessiva concretizzazione: la vita deve accogliere in sé
morte astratta, in modo tale da dare vita all'attività
pensante.
17.
La morte, solitamente nominata, appartiene all'area della morte
concreta: essa agisce sulla stesso livello della vita biologica
inconsapevole. E' residuo dell'evoluzione della materia e, specificatamente,
dell'arduo passaggio dall'animale ad Homo.
Lungo tale passaggio non v'è stata la perdita completa
di tale stadio di morte (concreta): esso accompagna fin dalla nascita
il tragitto di Homo.
18.
Il decremento di morte concreta(=vita concreta) permette
al nuovo stadio Homo d'avere a disposizione una certa potenzialità
di pensiero (d'attività pensante). Se la morte concreta
(mors animalis) non decresce, Homo si trova ad essere
in vita impossibilitato a cogliere la propria e l'altrui realtà
privo dell'idoneità all'astrazione, e perciò
privo dell'accesso allo stadio simbolico; a causa di questo esso
s'ammala (e muore).
19.
Mors concreta è quel quantitativo di morte che tende
ad ammalarsi già all'inizio della vita: è morte senza
interstizi, stipata e grezza, incapace perciò di accedere
all'attività pensante (ad essa si oppone e con essa si ritrae).
20.
Ad ogni vita corrisponde un'equivalente morte: se non ci fosse la
morte non ci sarebbe vita pensante (vita astratta).
21.
La vita senza morte non avrebbe mai potuto fare l'iter evoluzionistico
che ha fatto e che l'ha condotta a dar luogo alla neocorteccia cerebrale,
capace di linguaggio e di pensiero astratto (assente).
Pensare in vita significa attraversare la morte che si fa assente
(della propria concretezza inconsapevole e sottraendo alla vita
l'equivalente concretezza inconsapevole).
22.
Morire in vita (in-vita) significa accedere all'attività
pensante (astratta).
23.
L'organismo si deve fare vieppiù adatto a morire in-vita
[morire senza abbandonare la consapevolezza (del morire)].
24.
Morire astratto - equivalente al morire (vivere) in-assenza
- è perdere l'eccesso di concretezza [eccesso di vita(-morte)]
così da avere a disposizione più sostanza da pensare.
25.
A mano a mano che la vita in vita muore (invecchia), se c'è
accoppiamento con il morire astratto (con la consapevolezza simultanea
del non-esserci), l'organismo apprende a pensare, fino alla sua
morte naturale, vieppiù idoneo a pensare (oltre-vita).
26.
E' stato necessario (di fondamentale importanza) che la vita avesse
appreso a morire [nel modo ordinato (apoptosi)]. Con ciò
è emerso a quel processo d'accoppiamento con la morte che
l'ha condotta a costruire la neocorteccia e, tramite questa, ad
accoppiarsi con la morte astratta, così da dare luogo
a quell'assenza che è il luogo della mancanza astratta
di realtà e termine dell'attività concreta del
cervello attaccato alla vecchia espressione di morte (animale=concreta).
27.
La morte (astratta) è la sostanza fondamentale
della vita cosciente: senza tale genere la vita si richiuderebbe
nella condizione di morte-vita concreta (schizofrenia della
vita).
28.
Paradossalmente premessa della vita complessa è la morte
(ordinata): senza tale fattore la vita non potrebbe esprimere
il suo carattere astratto e, perciò, morirebbe (di morte
concreta).
29.
Nella malattia schizofrenica esiste un eccesso di morte (concreta)
che s'accoppia (in eccesso) con una vita (che si fa concreta). L'insieme
che ne risulta è luogo di frammentazione del pensiero che
non riesce a sollevarsi da un'endemica povertà.
Qualora la morte in eccesso concreta si trasformasse in uno
stadio più astratto, l'insieme vita-morte potrebbe
uscire dal vecchio sistema vita-morte umano segnato da un
equilibrio che si basa sulla paura (del perdersi della vita).
30.
Se si verificasse il distacco decisivo (senza ritorno) dalla madre
il bambino sperimenterebbe la condizione di morte in vita: se affettivamente
accoppiato, il bambino Homo incomincerebbe ad apprendere
l'essere morto in vita (altro in-vita).
31.
La morte astratta è cessazione della dimensione in-vita
- di qualunque livello dove si esplichi la vita (psicologica, mentale,
intellettuale, anche corporale) - in accoppiamento con la dimensione
affetto (il rapporto che si genera per distacco affettivo).
32.
Nel cervello umano è già matura l'idoneità
all'accoppiamento in- assenza . In realtà ciò
non si verifica in modo congruo, perché?
Il cervello di Homo già pensa in-assenza, ovvero tramite
lo stadio detto in-assenza. Tale livello è già
parte della sua struttura e del suo linguaggio; allora perché
non s'attua in modo evidente? Perché Homo non ha la
consapevolezza dell'assenza di mondo, ovvero dell'inesistenza del
mondo cui la fase attuale ancora è avvezza?
Il pensare di Homo è condizione-atto-sintomo della
sua antica e primitiva malattia schizofrenica, che equivale alla
tendenza alla parcellizzazione dell'oggetto, alla sua espulsione
non oggettivata, alla mancanza d'idonea affettività che lo
comprenda, alla generale indistinzione con cui si relaziona e riconosce
un mondo fatto di cosa. Perché, se già esso, in quanto
capace d'assenza, induce o almeno tenta, anche se in modo incongruo,
un'espressione di esistenza nella quale il nulla in-assenza è
indispensabile perché abbia luogo .
33.
Il pensare è pallidissima espressione dello stadio denominato
assenza: equivale all'ombra della Caverna di Platone, rispetto
alla luce di cui è costituito lo stadio in assenza
che è lì fuori dalla prigione delle vite e delle morti.
34.
Lo stadio in-assenza è stadio oltre il pensare. Adesso
si accede a condizione che la vita e il suo pensare, insieme con
il sentire, siano cessati: il segno di assenza indica che
il cervello (la mente) ha cessato d'emettere i consueti segnali
ed il linguaggio usuale.
In-assenza indica cessazione dell'espressione di vita e di
pensiero con la simultanea emergenza di un nulla idoneo ha
una relazione radi concernono lo stadio-esperienza del nulla
in assenza e affettivo.
35.
Perché il cervello (la mente) non pensa in-assenza,
non assume il livello a sé congruo dell'astenersi di nutrirsi
di forme-idee viventi (astratte e non) se esso, in realtà,
funziona entro i confini non-confini di un nulla astratto?
Il cervello-mente non cessa, invero non s'assume la morte-cessazione
della propria attività, perché sospinto da quella
condizione di vita che non ha ancora appreso a cessare. Qual è
tale condizione, se già l'intera natura ha accettato di morire?
36.
E' vero che gli organismi hanno accettato di morire -il morire ordinato-,
ma solamente al fine di dare vita ad altri organismi ulteriormente
complessi (e soltanto nella nicchia, dove si sono sviluppati gli
organismi complessi capaci di pensiero); ciò non è
avvenuto nel resto del sistema, dove la prevalenza è quella
dei sistemi semplici (batteri). La vita tende comunque a confermarsi.
E' pertanto verosimile che nessun organismo abbia ancora assunto
la morte-cessazione per intero, quale idoneità al venir meno,
senza essere sostituito da alcun ente analogo. Assenza è
a-sistema; nulla ha a che fare con i sistemi precedenti,
se non per qualche analogia con quelli che hanno imparato a pensare.
37.
Se l'attività pensante di Homo apprendesse ad astenersi
(dalla vita) s'avvicinerebbe ai bordi d'un diverso livello (a-sistemico),
nel quale non occorre essere (esserci).
38.
Il pensare di Homo s. non ha appreso a pensare se medesimo
in quanto assente, in quanto già estinto > espressione
d'un nulla (della vita evidente).
La vita di Homo s. non ha appreso a vivere la propria mancanza
(astensione-assenza) di vita; essa intende riconfermare se
medesima pur essendo espressione della propria mancanza-assenza.
39.
Homo s. è il pallido ricordo di se stesso: egli non
esiste più, invero non è mai esistito. Egli è
soltanto il frutto d'una mente che crede che qualcosa sia invece
che nulla.
40.
Tutto l'universo visibile (anche quello non visibile) è espressione
del sintomo d'una malattia mai guarita: il pensiero umano s'ostina
in modo coattivo a tenere in vita ciò che già da sempre
è finito.
I corpi, le
sostanze, le cose, tutte le realtà sono comparse concrete
(materializzate) d'una traccia che non s'è estinta come avrebbe
dovuto nel momento in cui s'è iniziato a pensare.
a.
Pensare significa credere che niente sia, ovvero non credere
in nulla (di davvero esistente).
41.
Non si tratta affatto con ciò di nichilismo; il nichilismo
è ancora la traccia d'un pensare che non vuole cessare insieme
con la vita (e la morte) che deriva da uno stadio evoluzionistico
che la mente - che pensa ancora causa ed effetto - dice esistente.
Aforismi
sulla cessazione e il pensare
42.
La cessazione - ogni tipo di cessazione ordinata - è (il)
motore del mondo.
43.
Dalla cessazione (ordinata) della materia vivente scaturisce la
materia - attività pensante.
44.
Noi pensiamo tramite l'interstizio (intervallo-spazio assente)
che la cessazione (ordinata) della vita (et altro) induce nel sistema
universo.
45.
Pensare è conseguenza del cessare della vita: è conseguenza
del suo uscire - dell'uscire tout-court - dallo stadio temporale
noto.
46.
Ogni cessazione di tempo è linfa per l'attività pensante
(astratta).
47.
Ad ogni istante del tempo cessa l'universo osservabile (ai sensi
relazionali noti) in modo subliminale: simultaneamente a
tale cessazione s'attua un universo visibile ai sensi più
profondi (che trasmettono l'informazione al vecchio ordine sensoriale
che così recepisce un universo più estinto).
48.
La vita cosciente è espressione d'un mondo reale (d'un oggetto
realtà) che è già estinto (per sottrazione
di tempo).
a.
Ciò che noi viviamo è espressione d'una vita che
già non è più.
49.
Vivere ora corrisponde all'essere già la vita estinta con
la comparsa simultanea della materia del pensare (e vivere).
50.
Non c'è tempo presente, in realtà. Tutto il tempo
è già estinto: ciò che resta e che noi recepiamo
è il tempo della vita che già s'è estinta:
essa insiste a produrre una traccia (di vita) al posto d'un nulla
più reale.
51.
Ciò che distingue profondamente e decisamente Homo sapiens
dall'animale da cui deriva per trasformazione evoluzionistica
è il modo differente del morire (cessazione della vita) piuttosto
che il linguaggio (astratto) della sfera evidente.
Il morire di Homo deriva infatti dal cessare della vita cosciente
- capace cioè del linguaggio dei segni e dei simboli. Con
la morte d'un organismo capace di linguaggio segnico e simbolico
s'attua un piano d'espressione subliminale, capace di assenza:
la vita (pensante) è cessata; in sua vece sta la mancanza
(astratta) di linguaggio segnico e simbolico, ovvero sta un'assenza
idonea all'induzione d'un universo ulteriormente astratto,
cioè ulteriormente vuoto (di vita concreta) e complesso.
52.
La vita e l'esperienza che vengono vissute solitamente sono la parte
residuale di immense estinzioni avvenute milioni d'anni fa, tramite
le quali s'è affermato il principio d'una fine ordinata,
ovvero d'uno sviluppo complesso degli organismi. Ciò
che è rintracciabile (osservabile) nell'universo evidente
è quanto emerge da un sostrato molto più ampio costituito
da una dimensione subliminale prossima a uno stadio d'assenza:
questa a sua volta deriva dalla morte per estinzione di grandi e
numerose masse viventi.
Il cervello vede, sente, organizza ancora sulla base d'una condizione
vivente passata - precedente all'estinzione - , pur avendo sviluppato
la capacità di elaborare (e cogliere) la dimensione di assenza
da cui hanno origine la vita pensante e la cultura umana.
53.
Con ciò si constata che il cervello è una macchina
(già) pronta ad elaborare e a decidere sulla base dell'assenza
di vita, e cioè secondo ciò che indichiamo come nulla
(della cosa e della vita). Tuttavia è continuamente ingannato
e fuorviato dalla condizione (traccia) di vita che gli deriva dalla
antichissime origini di questa e, in particolare, dalla traccia
della coazione a non cessare di moltiplicarsi,
così da risultare non congruo con l'atto del pensare [atto
che emerge in seguito all'instaurarsi del processo ordinato
della morte (apoptosi)].
54.
La cultura, così come ogni forma capace di distacco,
in particolare l'affettività (matura), è dimensione
più vicina al nulla, avendo differenza dallo
stato di natura (pulsioni, drives, eccetera). La cultura è
stadio capace d'astrazione: è stadio ricco di linguaggio
astratto. Per tale ragione essa è dimensione appetibile per
il sistema Homo s. che ha tendenza all'organizzazione astratta
e complessa.
a.
Qualsiasi dimensione, che abbia rapporti con quanto chiamiamo
nulla - ovvero la tendenza a differenziarsi (distaccarsi)
da uno stadio naturale privo di (ricca) definizione - è
appetibile per il suddetto sistema che esprime (ed è
espressione di) tale tendenza.
55.
La morte di Homo s. non è stadio contrario
alla tendenza del suddetto sistema: potrebbe invece verificarsi
in tale situazione proprio la condizione di accoppiamento congruo
al fine dell'emergenza di quello stadio d'assenza che
è fondamento dei sistemi pensanti.
56.
Lo stadio d'assenza è quello stadio d'accoppiamento
che s'attua tra la cessazione d'un sistema (vivente) e la tendenza
- che ad esso è congrua - al nulla [tendenza al nulla
astratto (sine materia) ovvero tendenza alla cessazione senza
legami (distacco in-assoluto)].
57.
L'atto del pensare in-assenza (il pensare oltre il pensare)
è espressione di nulla (del pensare e della materia). E'
pensare che s'è ulteriormente de-materializzato.
Come l'attività del pensare è, rispetto ad altre attività
vitali, una condizione sine materia e, pertanto, prossima ad uno
stadio di nulla (più vicino al nulla che non le altre attività
più concrete), così lo stadio in-assenza - che è
oltre-pensare - è stadio ulteriormente accoppiato con il
nulla. Tale (non) ente, che per il pensiero consueto è luogo
di nulla, d'assenza d'oggetto reale, è comunque anche espressione
di smaterializzazione, mancanza di oggetto concreto e di fissità.
Il nulla s'associa nel pensiero comune con la morte e con tutto
ciò che essa comporta: un mondo estinto e, perciò,
un mondo totalmente morto, privo di vita; ciò comporta che
tale luogo manchi di qualsiasi altra condizione, in quanto la condizione
è associata alla vita; nello stato d'estinzione, o di morte
in generale, non c'è altra condizione che quella d'un nulla
regressivo, un nulla occupato dall'oggetto in quanto nulla.
Il nulla assoluto, ovvero il nulla oltre i legami, diverso totalmente
dalla cosa; la morte assoluta, diversa totalmente dalla vita, non
sono conoscibili dalla mente di Homo.
Predisposizioni
(in-assenza)
58. Sembra proprio
una (pre-)disposizione ciò che avviene nell'organismo
biologico con l'insorgenza della neocorteccia: si forma quale conseguenza
indiretta d'una disposizione di tale organismo; ciò allude
alla possibilità che diversamente da quanto finora
era stato disposto lungo le fasi evoluzionistiche abbia emergenza;
e così il linguaggio, l'attività del pensiero e della
coscienza, come espressioni della nuova disposizione (in-assenza),
abbiano la possibilità di aver luogo e di svilupparsi.
59. Lo sviluppo
dell'encefalo nello stadio di Homo predispone l'intero sistema
evoluzionistico a disporsi in modo differente da come fin ad allora
era accaduto.
Il sistema che emerge da tale nuovo
evento è disposto in modo tale da fare un passo all'indietro,
ovvero incominciare a perdere (la tendenza alla fissità
e alla ripetitività dei cicli di vita e di morte scanditi
dai ritmi naturali). Il sistema tende a farsi più assente,
meno fisso dentro gli oggetti informi della realtà non-nata.
60. Il sistema siffatto
- il sistema Homo -, con l'emergenza e lo sviluppo della
neocorteccia e delle nuove aree specifiche, è posto nella
condizione d'un nuovo accoppiamento relazionale.
Il venir meno della fissità biologica - lo stato di concretezza
fisso - predispone l'organismo ad essere sistema relazionale complesso
pronto all'accoppiamento con funzioni adatte a tale direzionalità.
Codesta predisposizione fa sì che emerga una relazione d'accoppiamento
con una condizione che verrà indicata come attività
di pensiero, o della coscienza e auto-consapevolezza.
a. L'idoneità
a pensare - che è uscita dal sistema naturale - è
pertanto duplice disposizione: da un lato un sistema
organico che si de-materializza - perde fissità e
ripetizione (coazione a ripetere identici i cicli di
vita e di morte) -, dall'altro una predisposizione generale
d'un sistema universo che si fa idoneo a tale genere di condizione
(in-assenza).
Circa
le differenze (tra vita e morte)
61. Non c'è
molta differenza tra l'essere vivi o l'essere morti; è la
mente umana continuamente sollecitata dalla sua organizzazione psicosensoriale
a porre e fantasticare circa la drammatica distinzione.
62. Pensare è
atto che fa la differenza dalla morte schizofrenica. Pensare
è atto incompiuto che induce la morte schizofrenica.
63. Non è
così differente il nascere rispetto al morire: entrambi sono
condizioni di separazione; una nasce dall'utero della madre, l'altra
dall'utero del corpo (che muore) del figlio.
64. La patologia
schizofrenica potrebbe considerarsi come condizione conseguente
alla mancanza di distacco del figlio dalla madre, così come
mancanza di differenza della vita dalla morte.
La morte è cessazione (in seguito alla vita) e, come tale,
è condizione privilegiata perché qualche accoppiamento
in-cessazione (in-assenza) abbia luogo.
Circa
il conoscere (in-assenza)
65.
L'attività del pensare, in particolare nell'Occidente, è
legata a un oggetto, sia esso materiale, ovvero immateriale ed eventualmente
a un soggetto che lo pensa.
In-assenza l'oggetto (e il soggetto) è abolito; il
pensare è pensare affettivo vincolato a (un) niente,
anch'esso affettivo: il nulla affettivo.
Pensare è vuoto, vincolato a un vuoto con cui esso
stesso s'è accoppiato al posto di quella realtà
concreta materiale e immateriale che il pensiero consueto tende,
fin dal suo inizio, a produrre come soluzione circa la propria necessità
(esistenza) proiettiva, la necessità di gettar fuori la cosa.
66.
Nello stadio d'assenza l'attività del pensare ha una
qualche analogia con quella che il Buddismo Zen esperimenta nell'evocazione
e l'emissione della sillaba OM. Anche in questo caso l'oggetto
del pensiero è assente: al suo posto sale dal profondo un'azione
pensante, ovvero una in-azione (pensante) che si sostituisce
identificandosi con la parola pronunciata.
a.
Ciò per quanto concerne l'analogia possibile; circa invece
la differenza si enuncia che in-assenza è ammesso
qualsiasi modo del pensiero inventato da Homo s., e cioè
che anche il pensiero che abbraccia il linguaggio concettuale
e che lo sostiene può partecipare del nulla affettivo
derivato dal liberarsi di soggetto e oggetto nell'in-azione
suddetta.
67.
In-assenza ammette comunque un'attività pensante libera
da soggetto e da oggetto: chi parla e chi pensa ha sottratto la
presenza di chi parla e di chi pensa insieme con l'oggetto-cosa
della realtà esterna. La presenza s'è fatta idonea
a nulla: assenza (di soggetto e oggetto) hanno luogo
(in-assenza).
68.
L'assenza di soggetto e di oggetto, cioè della cosa di
cui è costituita la realtà finora esperita e pensata
dal sistema sensoriale, percettivo e cognitivo di Homo, permette,
con il dissolversi graduale (nella dimensione temporale e intemporale)
dell'oggetto (e del soggetto) cosificati, una partecipazione
collettiva all'assenza di mondo: il collettivo universale
dato dagli oggetti del mondo e dai soggetti che li pensa (stadio
evoluzionistico di Homo s. s.) non è più dato
dai corpi e dalle menti-cervello degli uomini in carne ed ossa,
bensì dal loro pensare distaccati dalla cosa,
e perciò da loro stessi in qualità di enti-cosa.
69.
La libertà - il distacco dalla cosa - ovvero
dall'oggetto materiale e, in generale, concreto (esperito
dagli apparati sensoriali e da quelli cognitivi d'un cervello ancora
non congruo alle sue potenzialità evoluzionistiche), nel
ridurre il vincolo di morte che la realtà com'è
solitamente assunta (essendo cosificata e cosificante)
induce e la cui esistenza da quel vincolo è indotta - dà
luogo a una dimensione che chiamiamo assenza o in-assenza:
nella relazione con codesto stadio alla cosa e ai suoi vincoli
è sostituito il nulla affettivo, e cioè il
pensare vuoto con affettività (astratta).
a.
Pertanto affettività (astratta), pensar vuoto o niente
e nulla assente o affettivo sono concetti (e non-azioni)
equivalenti (in-assenza).
70.
Chiamiamo morte quella materia concreta di cui sono
costituite le cose e il pensiero di Homo che le proietta
e le contiene. Ogni attività di Homo fino ad ora ha
come contenuto oggetti di morte. Nessuna azione né
pensiero ne sono privi: Homo s. non è stato finora
in grado di produrre oggetti senza morte, privi cioè
di cosità appartenente al luogo d'un pensiero mancato
(incapace d'essere pensiero che apre alla relazione
complessa): pensiero che nulla afferma, afferma nulla (non
essendo).
71.
Con il nulla (in-affetto) intrattiene qualche analogia (relazione)
la distanza (all'infinito): qualora l'osservazione sia posta
in una distanza all'infinito, potrebbe accadere che la relazione
con l'oggetto osservato muti radicalmente e cioè, ruotando
di 360° (fattasi una rivoluzione su se stessa e sugli oggetti
adiacenti), si disponga in una condizione in-assenza, secondo
la quale al posto di osservatore e osservato ci sia un atto in-assenza,
un atto ch'è vuoto dei suoi attori, e così
fatto si dimostri in-affetto, privo cioè della materia
troppo concreta e inanimata, quello ch'è simile in tutto
alla cosa schizofrenica di cui il mondo è solitamente
costituito.
72.
Il concetto di non-evidenza che s'esprime nella condizione
in-assenza non è l'equivalente della non-apparenza
(delle cose) che ha pervaso tutta la cultura dell'Occidente.
Il concetto esprime l'equivalenza dell'esistenza d'uno stato
fenomenico solitamente mancante (all'organizzazione Homo
s.) a causa d'una mancanza di accoppiamento idoneo con
un sistema specifico ultra sensoriale (diverso dall'organismo
sensoriale, percettivo finora espresso dal sistema soma-mente umano).
73.
Il passaggio dall'animale all'ominide ha lasciato tracce profonde
di un alcunché di distruttivo che ha veicolato uno stato
di morte che codesta specie si porta impresso costituzionalmente.
La specie Homo sapiens ha costruito un equilibrio relativo
alle sue attività superiori opponendosi allo stato (imprinting)
di morte che nel passaggio è emerso a causa della non congruità
tra ciò che lo sviluppo della neocorteccia e dei suoi linguaggi
è apportatore rispetto a una condizione precedente di vita
incapace di relazioni astratte (e affettive).
74.
La non evidenza della condizione in-assenza è ente
fenomenico, è realtà astratta, si mostra
dato il diverso accoppiamento che s'attua in tale condizione tra
soggetto pensante e oggetto pensato. La sottrazione del soggetto
consueto con la contemporanea sottrazione della realtà di
quanto fatto esistere induce, con l'assenza della realtà
consueta, l'esistenza d'un campo ultrasensoriale, ultrapercettivo
detto in-assenza, privo d'evidenza concreta.
75.
La non evidenza della condizione in-assenza è ente
fenomenico, è realtà astratta, si mostra
dato il diverso accoppiamento che s'attua in tale condizione tra
soggetto pensante e oggetto pensato. La sottrazione del soggetto
consueto con la contemporanea sottrazione della realtà di
quanto fatto esistere induce, con l'assenza della realtà
consueta, l'esistenza d'un campo ultrasensoriale, ultrapercettivo
detto in-assenza, privo d'evidenza concreta.
a. Oltre
la sensorialità nota s'estende un campo ultrasensoriale
in-assenza che s'esprime con il sottrarsi dell'oggetto
realtà, risultato dell'ordine sensoriale noto: il nuovo
campo ha la caratteristica di mostrarsi libero dagli stati sensoriali,
percettivi e intellettuali cui si è avvezzi a causa d'un
eccesso di materialità (nucleo di distruttività)
non estinto nel passaggio da animale a Homo.
76.
La realtà che solitamente è posta in essere dalla
mente-cervello consueta non ha esistenza effettiva: è il
risultato d'uno stato-nucleo non astrattosi (non fattosi
vuoto) nel passaggio da animale a Homo.
a.
In realtà l'oggetto mondo non ha esistenza concreta:
esso è proiezione d'un cervello-mente incapace di trasformarsi
interamente in un organo privo di funzioni proiettive: il mondo
(esterno ed interno) è dunque proiezione di sentimento
d'un organo che non è stato capace d'estinguere interamente
le tracce d'una memoria filogenetica. Secondo
quest'ultimo è probabile la proiezione d'un mondo esterno
dalla realtà mossa da una condizione sensoriale-istintuale
d'un sistema nervoso ai suoi albori.
77.
E' assolutamente normale avvertire l'assenza di mondo!
a.
La realtà è vuota, la vita è vuota così
come è la morte che ne consegue.
78.
Il nucleo non trasformato nel cervello-mente di Homo fa parte
d'un sistema-morte: è abitudine della natura produrre
equilibri secondo l'asse vita-morte onde conseguire normali ricambi
degli individui e della specie.
Una differenza di tale equilibrio nel senso d'un decremento dell'eccesso
di bisogno di vita allontanerebbe anche l'eccesso di bisogno
(naturale) di morte, dando così via libera a condizioni
psicosomatiche e mentali differenti, meno condizionate dal mantenimento
di tali equilibri in punti lontani dalla capacità di cessazione
(della vita e della morte).
a.
Lo spostamento dell'equilibrio vita-morte nella direzione d'un
suo abbassamento nel luogo dove la vita accetta la morte, ovvero
lì dove il morire non è così distinto dall'essere
in vita, sarebbe in grado di esprimere un'organizzazione del
pensiero e del sistema Homo ben diverso dall'attuale,
equivalente a uno stato di molto più aperta libertà
di relazione (in-assenza di vita e di morte).
79.
Con la sconfitta della morte (del nucleo di auto ed eterodistruzione)
che sta entro le maglie della vita (e che cresce con essa) si otterrebbe
un campo di vita molto più ampio ed aperto e vuoto, libero
dall'eccessiva concretezza che la morte (il nucleo di morte suddetto)
le conferisce.
a.
Il tempo della vita risulterebbe essere tempo non concreto,
ovvero tempo che non ha necessità di trascorrere.
b.
La vita non avrebbe necessità di passare (stretta) da
un punto all'altro, bensì di aprirsi come una rete
all'infinito (temporalità a rete non finita).
80.
Con la morte biologica (con il terminare della fase biologica) si
possono conseguire due scenari, o la morte che aveva trovato un
giusto contraltare in vita torna a prendersi (a saturare)
l'intero campo, impedendo la necessaria cessazione (di vita e di
morte), oppure essa stessa morte apprende a cessare insieme con
la vita - così da disporre l'(a-)sistema che ne consegue
alla diversa condizione: succede che il campo si faccia vuoto
così che un a-sistema - un'organizzazione vuota
di vita e di morte - emerga (come dal nulla), concependosi in-assenza,
libero perciò dalla necessità di manifestarsi
(in vita e in morte).
81.
La vera creatività - quella del genio in-assenza -
è quella che apporta ricchezza d'universo capace di nulla,
ovvero d'un universo di nulla in-assenza atto a sostituire
la cosa in eccedenza dell'universo in atto.
82.
Tutti gli uomini, ad ogni longitudine e latitudine, hanno un'attività
pensante dello stesso genere. L'attività del sistema nervoso
centrale è della stessa specie: non c'è differenza
sostanziale tra un soggetto che pensa nel modo delle categorie occidentali
e che pensa secondo le modalità della cultura e della storia
orientali. Entrambi mostrano un'attività nervosa complessa
che li fa partecipi d'una realtà non sufficientemente oggettiva
e non sufficientemente capace d'assenza, ossia diversa
dalla materialità e dalla forma di cosa che la struttura
biologica del loro sistema proietta come luogo delle loro azioni
e delle loro riflessioni. Le differenze di cultura e di storia che
s'individuano si pongono secondo uno schema d'equilibrio sistemico
dello stesso genere, dato il quale la vita e la morte sono compensate,
ossia la vita > (la moltiplicazione e conservazione della
cosa > realtà in-evidenza), non tali da superare
la tendenza alla morte del sistema.
a.
L'emergenza del livello pensante nella materia biologica
ha indotto un cambiamento sistemico di questa nella direzione
di perdita della sua consistenza concreta, modificando
la soglia all'estinzione, con un abbassamento della soglia di
scambio: molte più informazioni sono assunte, trattenute
ed eventualmente elaborate da un sistema che s'è fatto
pensante rispetto a un semplice sistema vivente, anche complesso
come può essere quello dell'animale, particolarmente
quello dello scimpanzé, stadio che precede l'ominazione.
L'attività
pensante è perciò causa d'un abbassamento della
soglia agli stimoli, in particolare a quelli complessi: l'organismo
animale è abituato a rispondere ad eventi prefissati
secondo cicli ripetitivi; Homo impara ad essere interattivo
- ad accoppiarsi con una realtà che esso stesso mette
in atto, con il contributo d'un livello di soglia che s'abbassa
e dato il quale la realtà si costruisce rompendo la fissità
naturale (biologica). Si forma una specie di mescolanza tra
un sistema che pensa e un sistema che si realizza come ente
interno-esterno al pensare.
b.
L'abbassamento della soglia del sistema in toto produce
tuttavia una condizione favorevole a risposte di difesa da parte
d'un organismo che fino ad allora è stato idoneo soltanto
a risposte fisse a variabili prefissate. L'organismo si scinde
allora in due, da un lato continua la sua tendenza alla fissità
della risposta, senza produrre nuovi accoppiamenti e
perciò senza generare una realtà adeguata al nuovo
statuto di sistema capace d'attività superiori (di pensiero
astratto di linguaggio simbolico), dall'altra tentando di dare
ugualmente espressione a una condizione che esso senta nuova
e molto meno vincolata di quella precedente. Da un lato si genera
un cervello-mente capace di apprendimento e di cultura, dall'altro
il sistema vivente si organizza in modo da fare a meno della
nuova entità relazionale di cui non conosce confini e
della quale teme il decremento delle barriere erette per milioni
di anni di fronte al pericolo d'estinzione.
S'ingenera
pertanto un organo per metà strutturato sulla base delle
leggi che hanno regolato schemi viventi fino all'emergenza della
neo-corteccia e delle sua attività più complesse.
Si tratta d'un organismo ancora meno duttile dei precedenti
anche a causa dei timori insorti di fronte al nuovo arrivato,
e cioè alle attività meno concrete del linguaggio
e della coscienza. Dall'altra l'organismo è pronto a
far esistere una realtà con la quale accoppiarsi in una
stretta interazione: si tratta d'un organismo assai più
vuoto del precedente, pronto a coesistere con un mondo
da esso stesso generato secondo leggi di nuova specie, non vincolate
obbligatoriamente alle esigenze del tempo di vita e di morte.
D'una
siffatta scissione è costituito tutt'ora l'uomo moderno,
Homo sapiens s. Tra le sue pieghe profonde porta la traccia
della dicotomia che produce in esso una grande ambivalenza,
della quale è prigioniero senza saper essere diverso
dalla tendenza alla difesa - al sistema chiuso - dell'originario
organismo che da un lato s'oppone, in modo coattivo all'abbassamento
della soglia prodotto dell'avvento dell'attività
pensante e affettiva, dall'altro è spinto da questa a
liberarsi dai vincoli della fissità, e cioè dal
trasformare in altro - nel diverso dall'oggetto cosa - il mondo,
anch'esso frutto della dicotomia suddetta.
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