Paolo Ferrari CONVERSAZIONE CON PAOLO FERRARI
di Luciano Caprile

Una volta varcato l'ingresso del Centro Studi Assenza si ha la consapevolezza immediata di aver lasciato fuori dalla porta un mondo e di averne acquisito un altro. A originare questo stato d'animo concorrono l'architettura di fuga dell'interno, i silenzi, i suoni ovattati, la presenza/non presenza di persone discrete, e poi la cadenzata partecipazione di opere d'arte a coagulare e a determinare un clima di sospensione. Ci troviamo al cospetto di sculture medievali italiane, di forme d'arte primitiva di varia origine e di pitture scandite sui vari livelli di percorso, ordinate in installazioni, sistemate nelle stanze di studio. I dipinti sono di Paolo Ferrari, molti dei quali concepiti secondo la tecnica del plotter-painting. Il risultato finale è frutto di una gestualità di tipo "selvaggio" che si avvicina ai modi dei "nuovi espressionisti tedeschi" e, tornando ancora più indietro nel tempo, agli esponenti del gruppo "CoBrA". Ma questa è un'impressione dell'immediato poiché, come vedremo, il discorso di Ferrari è molto più complesso e non riguarda solo il risultato artistico, che purtuttavia rimane un parametro molto importante di valutazione. Tanto importante che il colloquio con Paolo Ferrari prende l'avvio da una constatazione/suggerimento: a nostro avviso i suoi lavori acquistano una maggiore profondità, e quindi generano una zona di maggiore vuoto (quella zona di suo precipuo interesse) tra l'immagine di partenza e l'esito di superficie, se questa superficie, dopo il passaggio al computer, viene resa viva da un reiterato intervento pittorico.

E' Paolo Ferrari ad attivare il discorso :

"Mi sembra che a lei interessasse soprattutto lo stadio della materia piuttosto che il passaggio in digitale dematerializzato. Invece avevo già abbandonato il primo e, distaccandone il cuore, avevo reso come più freddo, più vuoto il risultato finale per l'osservatore. Poiché sono abituato a lavorare in uno stato di vuoto, in-Assenza (in questo caso con lei), questa condizione implica che tutte le informazioni inerenti a tale accoppiamento entrino in me senza trovare ostacoli, producendone un'elaborazione rapidissima. Quanto si è verificato nostro primo incontro mi ha indotto a riprendere in considerazione opere già realizzate. Poiché mi era sembrato che le interessassero in particolare i processi di stratificazione, sono reintervenuto pittoricamente su opere in digitale, in cui la materia taceva. Per esempio, su un Plotter compariva un viso appena accennato: mi è venuto il desiderio di stratificare ulteriormente quella superficie e di fare uscire quell'immagine dal piano su cui l'avevo momentaneamente fermata. Ho inserito nell'opera la figura di un muro del Cinquecento, secondo la tecnica cui mi attengo nel lavoro di trasformazione tramite la composizione e la decomposizione per stratificazioni: ho quindi usato la fotocopia in bianco e nero d'una fotografia a colori che ho scattato su un lato del Castello Sforzesco a Milano, dove c'è un ponte molto ben disegnato, credo del Bramante. Su questo inserimento, che è caratteristico d'una certa fase del mio agire in arte, sono intervenuto velandolo con una carta lucida millimetrata, secondo un intendimento di relazione peculiare, anche di tipo localizzazione e momentanea fissazione in trasparenza. Con un simile gesto voglio affermare che si tratta d'una realtà concreta pronta a manifestarsi e, in quanto oggetto-cosa concreta, è necessario che sia velata tramite una sorta di retino che la renda in questa fase meno eclatante, meno evidente; in tal modo l'oggetto può incominciare a rivelarsi, prima di manifestarsi come pura e totale espressività. Ho infine incluso nell'opera una piccola pietra che faceva parte di quel muro antico."

Gli elementi aggiunti hanno determinato una maggiore profondità... In effetti l'immagine del muro funziona come una finestra che si apre all'interno dell'intera composizione. Sembra quasi un'operazione chirurgica...

"E' vero, anche se in modo meno cruento... Si tratta di inclusioni secondo certe leggi che ho enunciato intorno ai sistemi complessi di origine assente.

Le forme che andavo creando fin dal principio non sapevo se chiamarle tele, disegni, o altro, perché per me non si trattava di oggetti così concreti quali sono quelli, in generale, dell'arte e della pittura. L'insieme cui mi sono dedicato funziona come un foro di niente attraverso cui l'osservatore sia spinto a passare per incontrare eventualmente un nuovo stadio dello sguardo, della conoscenza ultra-sensibile, ultra-retinica..."

C'è la memoria, che è la parte lontana, e c'è l'attualizzazione: in mezzo esiste lo spazio... Che significato assumono i fiori, che ogni tanto lei applica sui suoi quadri?

"Si tratta d'un'iniziativa recentissima... Ma anche precedentemente ho utilizzato oggetti e forme d'ogni tipo per smuovere la materia concreta che ossessiona la mente dell'uomo in codesta sua fase evolutiva. Anni fa, ad esempio, compariva sulla destra delle mie pitture un alberello ridotto ai minimi termini, quasi un albero del disegno d'infanzia. Anch'esso non aveva alcun valore simbolico, almeno nella sua evidenza formale. Serviva a spezzare ogni pretesa di fissazione e di schema che il quadro potesse dare alla mente di chi guarda.

Inserimenti di ogni tipo esistono in queste forme di nulla, come le chiamo: questo quadro che ci sta di fronte, ad esempio, richiama il luogo e il tempo subliminali; qui l'orologio nella fotocopia di fondo indica il tipo di temporalità che sto studiando. Secondo me in pittura non si opera unicamente nella dimensione spaziale della superficie e della profondità, ma anche in relazione a un particolare genere di temporalità. In tale dimensione le relazioni che si colgono hanno influenza sull'attività specifica di un luogo di nuova esplorazione del cervello da cui sono a loro volta influenzate: nel momento dell'impatto del soggetto osservatore con l'opera d'arte ha origine in esso una temporalità nuova, diversa, rispetto alla sua vita e all'intera storia del mondo."

E' il tempo delle relazioni ...

"Sì, è il tempo delle relazioni di nuovo genere, dell'interazione in -Assenza che esige dal tempo d'essere tempo non consueto, e cioè subliminale, come solitamente lo chiamo..."

C'è un tempo collegato ai tempi ...

"Esiste un punto centrale in cui il tempo si arresta o, più esattamente, in cui il genere di temporalità cui siamo avvezzi muta e così facendo produce una modificazione dell'intero sistema mondo complesso. I miei lavori appartengono alla categoria dei sistemi complessi, come sono pensati anche nell'ambito scientifico. Ciò significa che i miei lavori si pongono naturalmente sui margini del caos, raccogliendo e abbracciando le istanze più varie delle realtà, senza obbligarle in schemi, in astrazioni impoverite... In esse intendo comprendere sprazzi della storia del mondo, e del suo nulla, ma, al medesimo tempo, non voglio perdere dell'espressività che il quotidiano e l'aleatorietà dei fenomeni producono entro e attorno alle cose. Il tutto come risultato finale deve indicare l'esistenza d'una condizione altra, diversa da quanto si è visto e si è vissuto finora... Una realtà anche di pochissimo spostata più in là..."

Se è vero che l'opera d'arte modifica la sensibilità e l'atteggiamento di chi ne usufruisce, secondo una parafrasi duchampiana, modifica anche il tempo di costui ...

"E' vero; chi osserva e si coinvolge... no, anche chi non è pronto a coinvolgersi... entra in una temporalità diversa. Duchamp ha operato secondo la categoria temporale, non soltanto secondo quella spaziale...

In un'altra tela non recente ho introdotto una figura africana, un saggio che legge - credo - il Corano... E' stato per me davvero emozionante riprendere a operare con la materia pittorica, con l'acrilico e sulla tela. Ormai quasi esclusivamente mi applicavo al lavoro sul supporto cartaceo a più stratificazioni da passare allo scanner digitale."

Mi ha fatto piacere questo suo rinnovato atteggiamento gestuale e mentale, perché lo ritengo ancora molto importante: penso che offra una carica in più, una maggiore opportunità di lettura per l'osservatore ...

Uno dei vantaggi della trasformazione in digitale è che se decido una misura maggiore dell'opera, la ottengo abbastanza facilmente, anche se perdo un qualche livello d'informazione... Ma questo ha poca importanza circa i miei lavori, perché il sistema digitale pensa per differenza e ciò alle mie opere fa molto bene... La stessa cosa vale per la riproduzione di un particolare. Secondo la legge dei sistemi complessi di cui mi occupo, ogni particolare è un assoluto: è cioè libero dai legami di forma e di contenuto da cui proviene."

Un'opera può svelare nuovi mondi e nuove occasioni percettive, sia nella sua evoluzione dimensionale, sia nella parcellizzazione estrema ...

"Nei miei lavori esistono entrambi i versanti, insieme con la variazione continua del dato percettivo dovuta all'instabilità controllata che ha origine dalla stratificazione per forme e tempi successivi disposti nell'unità compiuta finale. Le relazioni intrinseche alle operazioni che faccio sono adatte proprio a produrre quello spazio vuoto, un genere di attività cerebrale altra, e perciò sono capaci di generare l'ulteriore spostamento rispetto all'istanza principale duchampiana. Io dico: guardate nel centro, non distraetevi... lì c'è un vuoto speciale, lì può nascere il nuovo nulla che è realtà appena spostata, infiammata di luce e ricchissima di forme oltre l'immaginazione cui siete abituati... anzi, lì si attua un silenzio sensibilissimo e chiarificatore.

Questo, invece, che stiamo osservando è il particolare di una testa..."

Che ora assume un altro significato ...

"Occorre tener conto che le teste in-Assenza che ho realizzato con diverse tecniche sono composte di tantissime figurazioni al loro interno, essendo la testa in generale, per eccellenza, un sistema complesso ai margini del caos ...

Dalla loro scomposizione ho ricavato dei puzzles. Ho verificato che ogni punto di questo spazio-forma ha significato relazionale: la composizione di tutti i tasselli-punti tenderà a dar luogo a quel nuovo stadio di realtà del presente e del futuro che l'arte ha il compito di offrire. Come già Duchamp aveva intuito e come la nascita dell'arte aveva proposto alla storia dell'uomo. L'arte, e Duchamp in particolare, hanno promesso l'esistenza d'un nuovo genere di tempo, di spazio, di sensibilità e di ragione, introducendo nella realtà un nuovo sistema di valori e di controvalori tali da indurla a mutare fin nei suoi fondamenti".

Com'è avvenuto il suo avvicinamento all'arte?

"In casa mia, dove di frequente, soprattutto a tavola, si avevano discussioni nei più vari campi della cultura, spesso il tema era l'arte: ho perfino avuto due prozie pittrici dell'Ottocento piemontese. Ma io mi sentivo allora più tentato dalla musica e dalla letteratura di ricerca che avesse strette relazioni con lo sviluppo del metodo scientifico. Mi sono laureato in medicina, ho scelto poi un indirizzo psicologico, nel cui ambito mi sono occupato anche di psicologia sperimentale interessandomi dei processi di memoria e di apprendimento, di processi quindi altamente complessi dell'attività pensante. Avevo pubblicato già da studente alcuni lavori nel campo della ricerca sperimentale: la mia intenzione era fin da allora di acquisire una metodologia rigorosa sui cui fondamenti poter far crescere nuovi ceppi di espressività in ambito letterario, artistico, musicale, nonché scoprire nuove leggi scientifiche".

Che cosa l'ha spinta a dedicarsi concretamente alla pittura?

"Alla pubblicazione del Libro blu - il cui vero titolo è Paolo e il suo compagno senza morte - presso la storica galleria Apollinaire di Guido Le Noci nel 1978, lui mi disse: " Ti ho fatto la copertina con il blu di Klein perché il tuo libro mi ha dato la stessa emozione di una sua opera. Perché non ti cimenti con l'arte? Non è possibile che non desideri disegnare o dipingere chi esprime la creatività che scaturisce da queste pagine".

Gli risposi che non ero ancora pronto. Due o tre anni dopo ho iniziato. Già allora mi occupavo di fotografia: quasi tutte le immagini fotografiche da cui nascono i miei lavori le ho realizzate io stesso. Non diversamente da oggi, andavo a cercare quelle relazioni particolari dentro le cose della realtà che producessero un'attività mentale specifica cui avevo incominciato a stare dietro. Avevo anche usato una certa tecnica in camera oscura, che ora non ricordo bene, che mi permetteva di evitare il viraggio dei bianchi e dei neri che di norma si ha nel passaggio dal negativo al positivo: questo divenire della forma e del tempo era di troppo. L'immagine particolare che avevo colto al momento dello scatto e che risultava come una fase della realtà disposta in una sorta di condizione spaziale e formale al negativo - ma senza che ciò apparisse un errore della visione o della tecnica, date le peculiari relazioni di luminosità e di struttura che in quel momento erano apparse all'osservazione - doveva risultare tale allo sguardo finale. Perciò nella fase di sviluppo doveva essere saltato il passaggio che dal negativo fa ruotare nel positivo: l'immagine finale doveva risultare al negativo, così come era stata impressa sulla pellicola al momento dell'apertura dell'obbiettivo. Tale metodo di sottrazione di fasi, e cioè di tempo, è quello che mi ha guidato anche nelle operazioni successive in campo artistico, musicale, scientifico. Ritengo che allora - prima che mi cimentassi nel campo pittorico - cercassi di aprirmi una via entro la tradizione e, oltre quella, nel campo della ricerca pittorica applicata alla fotografia. In modo non così distante dalla ricerca ad esempio di Man Ray con i suoi lavori sulla luce, i famosi rayogrammi; tuttavia, nel suo caso, l'impronta su questo genere di negativo mantiene nettamente allo sguardo il segno di tale lato, diversamente da quanto succede per le mie fotografie nello sviluppo delle quali la differenza fra i due versanti - il positivo e il negativo - perde il suo connotato di limite riduttivo, facendone emergere un altro proprio di una realtà di nuovo genere.

Quant'è complicata questa spiegazione. Ma mi sembrava che occorresse proprio, se si vuole comprendere qualcosa della logica che sta alla base del mio lavoro...".

Qual è stata la sua prima opera?

"Un disegno che rispecchiava in un certo senso una pagina musicale. Ho eseguito dei segni come se fossero note..."

Chiari interveniva su spartiti musicali...

Allora non lo conoscevo: mi è stato detto successivamente che alcuni miei lavori relativi al segno musica-pittura si avvicinano alle interpretazioni di Chiari. Ma quei miei primi lavori si differenziavano nettamente da Chiari per il fatto che la scrittura-pittura degli spartiti era di pura invenzione: costruivo graficamente delle relazioni astratte secondo una logica per differenza e all'interno di questa si andava formando quel vuoto..."

Non era dunque musica da suonare...

"No. Era musica da guardare e da intuire tramite gli occhi della mente".

E poi cos'è successo?

"Da un simile approccio e da altre forme d'inizio nate contemporaneamente, come ad esempio gli studi sulla matericità dello spazio, è nata la serie più figurativa dei Piccoli umani . Mi stavo occupando anche di clinica, di terapia in campo psicologico secondo nuove strade di ricerca e di applicazione; parallelamente a ciò mi interessava sperimentare in campo artistico tramite dei segni puntiformi le potenzialità dell' attività cerebrale-mentale e corporale di chi avevo di fronte; non mi era difficile recepire lo stato sottile della configurazione della persona con cui ero a contatto; allora ne trasferivo il senso tramite un linguaggio segnico sulla carta da disegno. Le zone di maggiore e minore condensazione dei punti e delle linee che risultavano sul foglio a mò di radiografia componevano luoghi dello spazio materia - non diversamente nell'aspetto formale da quanto accadeva nelle esperienze grafiche di Michaux, come mi dissero più tardi -, raccontandomi anche molto circa gli Antecedenti - come li chiamai successivamente -, e cioè le premesse non inconsce degli atti del pensare della persona a cui mi ero riferito. Ed è quello che ancora oggi mi capita; quando incontro una persona, i suoi segni mi invadono perché il mio sistema è costantemente vuoto ed è come se io non esistessi dell'esistenza consueta..."

Però lei non usava i disegni per interpretare il paziente...

"Assolutamente no. I campi dell'arte e quelli della scienza, come anche quelli della letteratura, della musica, e del teatro che sono solito praticare, esistono quali territori separati che si arricchiscono nella loro reciproca relazione. Ma non c'è contaminazione diretta tra essi. Mi darebbe un enorme fastidio... Ne voglio essere il più possibile distante."

Quando è arrivato il colore?

"Mi sembra fin dall'inizio e poi in modo più consistente con i Piccoli umani. Li ho disegnati con dei gessetti colorati; contemporaneamente avevo preso a frequentare negozi specializzati e a chiedere notizie sull'uso delle diverse tecniche pittoriche. Avevo un conoscente che faceva il pittore di buon livello, ma essendo il mio un procedimento autogenerantesi che sentivo nascere prepotentemente e liberamente dall'interno desideravo che il più possibile non ci fossero inutili interferenze, aspirando a che la cosa si manifestasse nel modo più autonomo possibile. Mi ero accorto d'altronde che il mio gesto pittorico era molto veloce, in accoppiamento con l'attività della mente: dovevo quindi trovare una materia che assecondasse tale velocità. Verso la fine degli anni sessanta ho individuato la soluzione tecnica nell'acrilico, asciuga rapidamente, mi permette di ottenere le trasparenze brillanti che tanto mi sarebbero servite nel prosieguo della mia attività pittorica..."

Attraverso il computer o usando la pittura sulla tela e sulla carta lei ha creato una base di memoria (la fotografia), e un gesto dell'oggi, in modo da lasciare tra la memoria e questo gesto un vuoto entro cui far entrare il pensiero...

"In tale contesto entra la carta millimetrata... "

... che sovrapposta al paesaggio di fondo si trasforma in mappa, in punto di riferimento in tutti i sensi, come stadio della misura.

"Inserisco poi al termine dell'opera una finestra-cornice quale elemento di presa dell'attenzione e allo stesso tempo di decontestualizzazione..."

In certi punti la stratificazione multipla con le sue trasparenze sembra quasi una prova di restauro che permette di vedere il corpo messo a nudo, la ferita...

E' vero, ed è anche come una radiografia delle profondità..."

Mi parli delle stratificazioni, in particolare di quelle della fase attuale.

"Inizio con elaborare il disegno, o, più recentemente, la fotografia di partenza, passandoli alla fotocopiatrice, poi ridisegnandoli e rifotocopiandoli e cosi via, talvolta a distanza anche di anni, sovrapponendo in certe fasi dell'operazione la carta da lucido millimetrata sulla quale lavoro per poi fotocopiare l'insieme derivante. Ne risulta una stratificazione per stadi temporali successivi e contemporaneamente senza soluzione di continuità. Nella fase attuale dei plotter painting , al penultimo passaggio che conclude lo stadio dell'elaborazione che chiamo analogico per differenziarlo dal successivo in digitale, uso il colore e il segno che saranno definitivi. Il tutto viene poi assunto da uno scanner digitale, infine passa alla stampa a getto d'inchiostro su carta fotografica per essere montato su pannelli di diverso materiale, per interni ed esterni..."

Quanto ha influito nella risoluzione pittorica l'amicizia e la frequentazione di Guido Le Noci? Immagino che lei visitasse la sua galleria e quindi avesse modo di conoscere da vicino le opere di determinati artisti... Emerge infatti dai suoi lavori una padronanza del gesto e della combinazione dei colori non facile da ottenere senza una scuola, senza un controllo...

Penso anche a quanto lei mi diceva, alla sua capacità cioè di porsi in una disposizione mentale di assoluta libertà creativa. Non mi pare che lei cerchi una situazione fuori della realtà, perché è molto presente mentre crea...

"Questa posizione mi è assolutamente naturale: potrei da subito mettermi a dipingere una tela che già mi si presenta alla mente nel suo complesso dato l'insieme delle relazioni che si sono prodotte qui ed ora e che stiamo esperendo, eventualmente in accoppiamento con suggestioni che provengono dalla storia dell'arte che ho profonda dentro di me. Potrei anche spiegare i processi che mi attraversano e che vanno a comporre e scomporre la struttura delle mie opere in diversi modi, a seconda del metodo che intendo applicare sia nell'interpretazione che nella costruzione dell'opera, ad esempio come strutture sincroniche e diacroniche al medesimo tempo, analogamente a quanto è descritto avvenire per i sistemi viventi nella teoria dell'evoluzione biologica, ovvero come partiture musicali d'una musica alla cui base sta la logica dei sistemi sui margini del caos...

E' come se in tutti questi anni avessi coltivato questa qualità di pensiero peculiare che mi permette di apprendere e di immagazzinare ad altissima velocità una messe infinita di dati, d'informazioni, che tuttavia non mi ingombrano. Quando occorre, in modo elementare, come se fosse del tutto naturale mi sgorga chiaro entro e fuori la mente ciò che è utile al mio lavoro e alla relazione del presente.

Ciò che sembra differenziarmi in modo particolare dagli altri artisti è il bagaglio scientifico di notevole spessore che ormai è parte integrante di me e che entra in gioco in tutta la situazione che ho appena descritto."

Come abbiamo visto questo suo posizionarsi è un metodo che le permette di passare da una disciplina all'altra.

"Se decido di entrare in contatto con un certo artista o con una fase storica dell'arte sono pronto ad operare in una strettissima relazione con tutto ciò. Si può dire anticipando le mosse di quell'artista o di quella fase. Non diversamente mi capita in campo musicale, anzi questo è il prototipo di quanto chiamo Raddoppio in-Assenza. Se ad esempio ascolto una musica di Schönberg o di Dallapiccola sono in grado di sedermi al pianoforte e di suonare simultaneamente ciò che chiamo antecedente di quei compositori essendo nella relazione temporale anticipatrice delle loro attività creatrici: lo stesso può accadere in arte. Quanto dipingo ha già esistenza nella realtà: non mi interessano l'immaginazione né la fantasia. Ciò di cui mi servo e con cui interagisco equivale a una materia visibile che "vedo" in modo naturale, ma che agli altri non appare in quanto esiste in uno spazio vuoto che chiamo in-Assenza. La realtà di cui usufruisco per operare in campo artistico è da un lato del tutto nuova agli occhi degli altri ed è al medesimo tempo già costruita dal fatto che Giotto l'ha disegnata, Masaccio l'ha pensata. Mi è possibile entrare in una relazione particolare di conoscenza e di attività con loro attraverso quella via del cervello-mente che ho scoperto e ho fatto emergere. Tutto ciò è sconvolgente! "

Che cos'è dunque la realtà?

" Esiste una realtà oggettiva con cui accoppiarmi. Ora cerco di spiegarmi, con un paradosso logico: se l'oggettività fosse portata al limite estremo, e oltre quello, il mondo, quale ente oggettivo, tenderebbe a scomparire. Io, ma anche nessun altro, non potremmo più avere alcuna relazione con l'oggetto in quanto l'oggetto s'è spostato all'infinito, acquisendo la caratteristica peculiare della assoluta oggettività, intendendo assoluto come libero da ogni legame. Questo assoluto oggettivo, che è luogo-materia d'infinito e che è stato raggiunto dall'oggetto nello stadio di oggettività oltre i legami, è quello sul quale mi pongo, contemplo e opero..."

Ho letto da qualche parte che l'oggettività non esiste poiché un oggetto viene percepito in maniera differente da ciascuno: un oggetto è tanti oggetti, tanti quanti sono coloro che lo guardano... Il fatto che ognuno lo ricrei ogni volta fa sì che questo oggetto in effetti non esista o scompaia....

"Il mio lavoro si svolge intorno a questi oggetti scomparsi, sul mondo che diventa tanto oggettivo da scomparire. Da questo mondo, dal mondo così scomparso e assoluto, nello stadio che ho chiamato in-Assenza, nascono queste opere. Il mondo conosciuto così com'è si fa vuoto, nella condizione in-Assenza, e oggettivo, ma non chiuso nella sua astrazione formale pura e geometrica: da tale luogo, che equivale alla scomparsa della realtà qual'è, emerge un nuovo livello di questa..."

Ritorniamo a Guido Le Noci e agli artisti da lui promossi che potevano averla influenzata in qualche misura...

"Mi piaceva molto Fautrier, tanto che ho ideato una serie di quadri che ho chiamato le Sconfitte in omaggio ai suoi Otages . Anche Wols mi intrigava, ma Fautrier mi interessava più di tutti, di lui mi affascinava la materia che diviene altra. Sentivo affine la sua capacità di contenimento e di superamento di una materia disposta a farsi astratta: tutte le mie opere sono costituite da un tipo di materia astratta particolare, dove l'astrazione intesa nel modo hegeliano é quell'alcunché che, fattosi vuoto, passa su un altro livello assumendo la sua essenza."

Lei ha dato dei titoli ai suoi cicli pittorici?

"Sì, sono cicli che improvvisamente si esauriscono e che talvolta ho ripreso su un livello diverso negli anni successivi: oltre alle Sconfitte di cui abbiamo appena parlato, i Grandi umani e i Piccoli umani, le Piccole teste, le Grandi teste, infine il grande ciclo attuale che ancora non si è esaurito dei Plotter painting in-Assenza ."

Quando ha intitolato "Sconfitte" le opere ispirate agli Otages di Frautier lei voleva indicare l'inadeguatezza del gesto per raccontare un evento?

"No, sono cosi "presuntuoso" da non credere che la realtà non possa essere raccontata per intero..."

Ma allora perché chiamarle Sconfitte?

"Quando pensai a quella serie su legno, o su altri materiali solidi come il plexiglass, con in mezzo un centro costituito da una fotocopia più volte elaborata e velata da carta da lucido millimetrata, mi vennero alla mente alcuni termini che potevano indicare una centralità astratta: parole come configgere, fictus, configgere al fine di entrare; ma Sconfitta è anche concetto vuoto, privo di significato letterale, una parola che provoca straniamento, decontestualizzazione alla Duchamp: come l'ho usata ha perso il senso comune, pronta al gioco, al nulla, al moto del riso nel modo per esempio di Kafka.

Esiste altresì il significato filosofico della presenza d'una finestra posta nel centro, un buco vuoto che ha sconfitto l'Essere parmenideo. L'Essere è in grado di aprirsi nell'aldilà e nell'aldiquà; il senso drammatico del termine configgere è sconfitto perché permette che ci si passi attraverso."

Quindi è importante essere sconfitti...

"E' fondamentale. L'uomo é un animale che ha accettato di perdere i suoi istinti. Da una sconfitta entro la corporalità animale è nata l'attività di pensiero. Se l'attuale attività di pensiero diviene ulteriormente capace di perdere, e cioè di essere "sconfitta", si genera questo altro stadio maggiormente astratto e complesso che ho chiamato in-Assenza: è l'assenza del mondo cosi com'è. "