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PRESENTAZIONE
DEL POEMA EUROPA O L'ASSENZA
CENTRO
STUDI ASSENZA
Giovedì, 9 giugno 1994, ore 19
SUSANNA VERRI
Per introdurre il poema Europa, o l'Assenza, che presentiamo questa
sera, abbiamo pensato a una serata a più voci, cioè con
una serie di interventi, e poi a un'esecuzione della musica dell'Assenza,
di cui avete il programma che è stato distribuito.
Parleranno nell'ordine: Carlo Marcello Conti della Campanotto Editore;
Tomaso Kemeni; poi parlerò io che sono Susanna Verri; in seguito
Suzanne Delorme; Luciano Eletti; poi c'è un oratore che dovrebbe
arrivare perché è in servizio civile su un'ambulanza,
dovrebbe aver finito il turno, lo stiamo aspettando ed è Massimiliano
Vono; nel caso non arrivasse parlerà per lui Roberto La Forgia;
e infine Carlo Balzaretti.
Due parole ancora sui fogli che vi abbiamo distribuito. Si tratta di
un estratto dal testo che presentiamo; abbiamo la prima pagina, poi
le successive introduzioni al testo, quella relativa alla "Collana
dell'Assenza", il disegno introduttivo al testo dell'autore - che
prelude ai versi -, il disegno che antecede lo spartito musicale e la
prima pagina dello spartito musicale e poi i versi, cioè non
i versi, una scelta, diciamo, le prime 10 pagine del poema. In fondo
c'è un breve brano dal titolo "Di qua e di là"
che è uno dei tre che Carlo Balzaretti eseguirà alla fine
e che è stato posto, vi è stato distribuito in quanto
è un piccolo brano compiuto, che fa parte di una raccolta - "L'album
astratto per la gioventù" - in via di revisione e pensata
per insegnare ai giovani la musica, passando attraverso i nuovi processi
dell'assenza, cioè un brano in un certo qual modo didattico,
in cui già dall'insegnamento della musica, quindi già
in una struttura semplice si possa iniziare a far pensare il nuovo livello
della musica dell'Assenza.
In sala è presente l'autore che vi presento, per chi già
non lo conoscesse, Paolo Ferrari.
PAOLO FERRARI
Sono io.
SUSANNA VERRI
Allora, do la parola al Signor Conti.
CARLO MARCELLO
CONTI
Naturalmente ringrazio di questa occasione. Un piccolo editore come
me - dirò brevemente - piccolo perché nella mia casa editrice
lo spazio per la poesia, come molti di voi sanno, è notevole
e, come molti di voi sanno anche, spesso la capacità economica
che la poesia raggiunge purtroppo non è notevole. E di conseguenza
il fatto di continuare ad esistere su questo fronte, pensando che tutto
sommato la poesia rappresenti quel consumo del presente che in altri
settori forse è soltanto passato prossimo - e qualche volta remoto
- mi ha portato in questo studio, anni fa. E questo merito va dato anche
alla Dottoressa Verri perché, anche lei curiosa visitatrice di
fiere, ci siamo, non ricordo quando, incontrati. Poi, venuto qui, naturalmente
si è parlato di poesia. La sorpresa è stata anche la continuazione
del linguaggio in queste opere che potete ammirare; forse qui non era
poesia visiva, ma per me lo è stata e lo è. E un giorno
poi abbiamo parlato della mancanza di un poema europeo.
Io non sono un critico, quindi perdonatemi questi sondaggi, ma che comunque
sono le cose che provo, autenticamente. Vedo la nostra poesia italiana,
che pure all'estero è guardata con attenzione, forse con più
vivacità e diciamo più punte della nostra narrativa, anche
se poi spesso, anche nell'ultimo numero della Stampa, queste baruffe
sono abbastanza circoscritte fra quei quattro poeti che per me guardano
molto al passato prossimo. Comunque non è qui la sede.
Da questa così piccola osservazione un giorno Ferrari mi annuncia
che sta scrivendo un poema, che è quello che qui appunto viene
questa sera presentato e che da noi è stato editato. Io, rimanendo
così vicino alla poesia, non misurerei il confine di una cosa
che non c'è ancora; pare una ovvia considerazione, ma se la allarghiamo
a macchia per l'Europa può essere un avvio, come per una nota,
come per una nota musicale.
E con voi canterò questo poema di parole dacché non esiste
un poeta europeo. Così mi sono sentito un poco responsabile di
questa, lo ripeto, nascita, che non sta fissa, come quella "margherita
di stelle".
"A due mani, dalla parte che io già conosco", due e
anche più di due - Ferrari dice - da quest'età della politica
- io aggiungo èra di bestioni che già conosco di vichiana
memoria - "un vuoto limpido", "suono di un accordo",
"doppio di sé", "cambio quel limite", "a
capo del mondo" a caso "di una strada che porta fino al"
tempo annullato perché vuoto, visibile verbo, in quella poesia
che sta appesa in questo studio e che qui ascolteremo ( ).
Grazie.
TOMASO KEMENI
Beh, speriamo che sia anche un buon auspicio per l'Europa da costruire.
L'autore dipinge, scrive testi con parole, suona, fa pratica teorica,
pratica clinica. Questo è già una cosa piuttosto fuori,
diciamo, dall'ordinario in un'epoca di massima specializzazione, di,
diciamo così, frammentazione delle nostre facoltà, già
denunciate nell'Ottocento dal grande filosofo che tutti conoscete, che
vedeva i musicisti come enormi orecchie.
Quindi in questo studio di questo testo, io entro con la dovuta delicatezza,
ma bisogna subito dichiarare il punto di vista. Punto di vista che può
essere esplicitato da un verso di un poeta che qui è nominato,
in questo testo: "In the beginning was the three points star",
"In principio fu la stella a tre punte". Vi rendete conto
che la stella a tre punte è un'astrazione, perché anche
negli schemi di raffigurazione usuali, codificati le stelle hanno cinque
punte. E quindi il mio punto di vista sarà astrale e ternario.
Mi pare di sentire le voci per l'esergo. Uno veniva in francese e diceva:
"La plus cruelle absence et celle que l'on peut toucher avec les
mains", "La più crudele delle assenze è quella
che si può toccare con le mani". Ecco quindi artaudianamente
tengo questo oggetto crudelissimo, il cui messaggio è appunto
un orientamento complesso che verrà analizzato da vari punti
di vista nei vari interventi.
Il francese non è la mia lingua, ma ho sentito un'altra voce
che diceva: "Jamais sa presence à la hauteur de son absence",
"Mai la sua presenza all'altezza della sua assenza". E una
voce in inglese, però detto da un giapponese: "Blank is
a successive set of events and is method", "Il vuoto è
una successiva serie di eventi ed è un metodo" e non è
come il vuoto metafisico: "Something the people are asked to believing",
"Qualcosa in cui si chiede di credere", in cui si chiede di
credere o che richieda un salto di fede.
Come esergo questo era il pittore Aracaua; mi sembrava adatto perché
mi pare che non si tratti affatto, appunto, di un'assenza metafisica,
ma bensì di un complesso metodo, che poi si articola a vari livelli
difficilmente nominabili appunto perché bisognerebbe inventare
un metalinguaggio.
Leggendo il testo ho cercato di leggerlo, diciamo, simultaneamente,
cosa impossibile perché è articolato in due parti - 01,
02 - con degli esergo che ci invitano in pratica a leggere simultaneamente,
ovvero invitano il lettore all'impossibile, cosa che per me è
un'invito molto piacevole, è, nella mia lettura ho definito,
treisotopia o tre piani di significazione, dalla mia lettura appunto
per farlo secondo un nastro a sua volta astratto.
Pagina 38 si dice:
"... Ché la specie è piena.
Colma e zeppa di ragione
non compiuta..."
Dove c'è il troppo pieno e il troppo vuoto. E questo l'ho sentito
sintetizzarsi, quasi, nella seconda parte coi versi a pagina 155:
"Voglio ammettere tutto il tempo, tutti i residui
di faccia, di corpo, di vimine,
di pensiero, d'attenzione sorti
dalla pianta dei lumi
della storia d'Occidente.
Come attendere che la mescolanza
dei miserabili uomini di guerra - aggressivi - d'Europa
cedano la loro pappagorgia, l'ignavia,
la bestemmia, o Dante,
l'accidia, la calura, la freddezza."
Quindi un'isotopia che è articolata fra troppo pieno-troppo vuoto,
ed anche di residui di presenza che sono inevitabili.
Seconda isotopia mi sembrava che evocasse la lotta tra i fantasmi, la
solitudine e la duplice visione. Ci sono molti esempi ma, appunto, mi
limito ad esplicitare. A pagina 41:
"Me la cavai giusto giusto affrettandomi un poco
fuori dalla bolgia dell'umana specie
creatura non della forma
ma dell'ebbrezza di un dio
senza né tempo, né luogo, né ragione."
E a pagina 192 - qui, questo per la fatica dei fantasmi, per sfuggire
ai fantasmi -, visione duplice:
"Giorni e, poi, giorni
interi
cambiare e adottare
il nulla e la cimice
la sintassi in rima
e la corrente contenuta
nel letto del fiume nel
quale mi graffiai
le guance e l'esile regno
del morire oltre la vita,..."
Il terzo mi sembra che sia l'isotopia che mi attira di più, in
cui il nulla, non quello metafisico ma quello interiorizzato nel testo
- il nulla metafisico è un'astrazione, come il tutto. Mi pare
che qui il nulla venga riprodotto attraverso una sorta di sublimazione,
per accumulo di materiali in eccedenza. Pagina 43:
"Fuori del meriggio,
ovvero della realtà informe
non chiarita
non viva né morta
né soprassalto né schema
né legame d'opposizione - io penso - .
E creo, e vago tra le putride increate effettuazioni
d'un immenso liquoroso accorato
implume dannato impotente salto nel nulla . "
Pagina 175, invece, c'è un passo dove il nulla viene affrontato,
diciamo, nella sua astraibilità:
"Quale Europa? Quale Maastricht?
Che voce roca, satanasso
indiavolato, lo coprirai di nuove pagine di idee.
Nuce in me, ogniqualvolta
spingo la mia mente a interloquire
con qualcuno che non sa - i giovani -
le basi del conoscere
le luminosità apparenti
appese
sul medesimo 'foglietto' che esporrò
nella mia mente, finché egli libero sarà."
Questo 'foglietto' in realtà raffigura simbolicamente tutto il
libro. Il 'foglietto' è la teoresi che viene disseminata per
astrazione - molto complesso - nel testo.
E adesso non mi rimane che tentare di interpretare queste tre isotopie.
Il troppo pieno, i residui della presenza, cioè il primo angolo
dell'astro, da un punto di vista che ritiene che la cultura sia un insieme
di informazioni, non genetica, e quindi comunicabile. A me pare che
qui si desemiotizzi un modello del mondo e i modelli di oggetto e il
modello di oggetti vari. Questo evoca due tipi di esperienze già
note: una, quella utopica, che ritiene la percezione e la rappresentazione
un'unica facoltà ancora in possedimento dei primitivi, dei bambini
e della tradizione surrealista, che qui non centra affatto, così
come anche la visione, diciamo così, della desemioticizzazione
come anticultura, come ritorno al non semiotico. E anche questo non
mi sembra la direzione di questo libro, dove i segni sono segni di segni,
cioè distruggono gli stessi segni e quindi si iscrivono, dal
punto di vista storico, su quell'aspetto del codice illuminista desemiotizzante
secondo il quale la ragione naturale è quella che ci permette
di vedere le cose al di là delle loro deviazioni culturali. Solo
che qui la visione non è più illuminista, ma è
secondo un punto di vista di evoluzione.
Secondo livello, e non vi tormenterò a lungo, ma la solitudine
e i fantasmi ci richiamano a una tradizione tra le più preziose,
perché, come dico, generalmente qualsiasi cosa che abbia una
proposizione nuova non può nell'orecchio del lettore se non richiamare
la tradizione, non per uguaglianza - non è che si dice questo
è quello - ma per differenza. Come succede con la parola singola
se io dico albero, così succede anche con un insieme di sintagmi.
Viene in mente il "D'amor mon castitaz" per dire, così,
in provenzale, "Dall'amore viene la castità", l'invenzione
della solitudine, inventata dai provenzali, dai rimatori cortesi, dagli
stilnovisti, dal Petrarca. Viene in mente Jaufre Rudel, quando dice:
"Ho un'amica, ma non so chi sia, perché, in fede mia, non
l'ho vista mai e l'amo tanto".
In pratica quella tradizione che fra un corpo maschile e quello femminile
non inserisce il contatto tra i corpi, né un demone secondo un'altra
tradizione, ma il vuoto infinito. Qui l'esperienza è dilatata
su tutta la vita, ma dico come per riuscire a comprendere per uno soprattutto
che è cultore della poesia, nell'orecchio la prima cosa che viene
suggerito è questo di Guilhem de Montanhagol: "D'amor mon
castitaz", cioè c'è una sorta di castità in
questa visione. Per castità non intendo dire denegazione, ma
almeno nel libro una sorta di superamento delle pulsioni.
E la terza e ultima, diciamo quella che abbiamo visto per ultimo, della
lotta tra il nulla e la teoria che la ingloba, come quando, rovesciandola
in qualcosa di positivo, ci richiama con una certa reverenza a Platone,
quando parla di psicagogia, di dynamis, enérgeia. E quindi dal
mio punto di vista, questo più che un libro di poesia è
proprio un libro psicagogico. Cosa vorrei dire: Platone, per tutta la
sua vita, attraverso Socrate, ha discusso sul valore dell'oralità,
tant'è vero che il maestro non ha mai scritto. Eppure ha dovuto
scrivere per lasciare. Quindi c'è questa contraddizione inevitabile
tra oralità e scrittura. Ma Platone, nonostante che venga a volte
rappresentato in teatro in un'epoca come la nostra che tutto estetizza,
in realtà ha voluto con le sue opere scavare la scrittura, dare
delle voci mentali, dialogiche; e quindi soprattutto per psicagogico
intendo dire che richiama alla contemplazione, all'elevazione al di
là del mondo dei fenomeni attraverso una scrittura che tende
alla trasparenza.
Dal punto di vista appunto di uno che non conosce lo sviluppo dell'autore,
ma legge il testo, secondo me queste sono le tre tradizioni da cui il
testo si distacca per differenza e, mentre stavo finendo, dicevo: "qui
ho finito il mio viaggio", non è un testo facile. Non è
un testo facile, appunto non mi sembra che la dominante sia poetica,
naturalmente, ma che la dominante sia psicagogica, cioè di una
scrittura che tende a disincarnarsi, diversamente da Platone, non verso
un mondo di idee trascendenti, eterne, ma verso il vuoto da riempire
di idee non ancora nate. E quindi è un processo diverso, ma siccome
noi siamo o figli di Aristotele o di Platone, nonostante il piacere
della presenza che mi considera diverso, [osservo] comunque di avere
una cosa in comune: come antenato Platone.
Allora nel modo più semplice mi è sembrato di salutare
il testo con qualcosa che suggeriva il vuoto e un piccolo ritratto dell'autore.
Ma naturalmente è solo una goccia.
"Ombra. Fedeltà dell'assenza futura in essa, io sguardo,
non arsura."
E l'altra:
"La foglia, quando sogna di diventare un mondo, diventa una foresta."
Grazie.
SUSANNA VERRI
Per introdurre Europa, o l'Assenza io cercherò di presentare
i diversi linguaggi di cui questo testo è composto. In particolare
cercherò di spiegare come mai in un testo di poesia siano presenti
degli spartiti musicali e alcuni disegni.
Un primo motivo, per cui si è voluto dare alla stuttura del volume
questa composizione, è che il linguaggio poetico è soltanto
uno dei linguaggi che l'autore utilizza quando parla l'assenza. Voi
vedete in questa sala, e non solo, ma anche in tutto il centro, una
serie di tele. Molto spesso queste opere nascono in anticipo su quella
che sarà poi la struttura teorica e concettuale sviluppata più
avanti: molto spesso una tela ha anticipato un seminario, ha anticipato
una lezione, ha anticipato una svolta compositiva della musica. Vedete,
in questa parete, la tela "Europa o l'Assenza" che è
stata composta nei giorni in cui il libro andava in stampa.
Il disegno, la pittura, la musica in questo libro fungono da successive
introduzioni, da passi, da differenti soglie da varcare al fine di giungere
progressivamente all'incontro con i versi, in modo che il lettore arrivi
al verso in qualche modo preparato da queste soste e da questi passaggi,
in modo che l'impatto sia non brusco, sia attento, sia predisposto,
pur nella misura di poche pagine, a questo linguaggio nuovo così
potente e così non ancora udito.
Nel testo abbiamo anche una fotografia: abbiamo sulla primissima pagina
dopo il titolo, la fotografia perché c'è un riferimento
alla "Collana dell'Assenza". Cioè, questo volume di
poesia è un primo volume di una serie, di una collana [di volumi]
che saranno dedicati all'assenza e che saranno presumibilmente anche
in altri linguaggi. In questa "Collana dell'Assenza" come
emblema abbiamo scelto la fotografia di una lavagna, perché?
Perché questo è un rimando alla didattica, che per noi
è significativa. La lavagna rappresentata è quella che
vedete in questa sala, qui fotografata nel corso di un seminario che
si sta svolgendo ancora quest'anno, ed è un seminario sui linguaggi
dell'assenza che ha compiuto un corso biennale sul tema dell'assenza
degli anni precedenti. Il disegno nella lavagna è nato come schema
di spiegazione per gli studenti. Quello che è successo però
nel farsi di questo disegno, cioè di questo schema esplicativo,
è che si è composto invece un disegno: quello che era
uno schema di spiegazione è diventato un disegno di un'unità
formale e significativa già compiuto al suo primo sorgere. Perché
questa è una delle caratteristiche del segno dell'autore: qualunque
elemento figurativo, musicale o di altro tipo dei suoi linguaggi che
egli esprima, nasce compiuto, nasce già esistente del piano dell'assenza.
Un altro elemento, su cui volevo soffermarmi, è il titolo del
poema. Il titolo del poema mostra già la particolare struttura
compositiva a due livelli che è tipica dell'autore. Cioè,
noi abbiamo un primo tema, Europa: questo è un rimando al luogo
di Europa, cioè al luogo geografico, storico, economico, politico
che noi conosciamo, che fa parte della nostra realtà culturale
e quotidiana, direi. Poi c'è il secondo tema, l'Assenza, che
è il tema non noto a cui ci apprestiamo. I due temi rappresentano
due differenti livelli di realtà che sono posti nel titolo, separati
e distinti, e tuttavia congiunti, come equivalenti. Non sono due temi
successivi, sono due temi contemporanei. Il processo tale per cui due
temi o due livelli di realtà separati e distinti, ma pure prodotti
contemporaneamente, suonano insieme in modo tale che il secondo apporti
al primo un ulteriore livello di realtà, un campo assente e vuoto
- noi diciamo -, è il processo che noi chiamiamo "raddoppio"
e che è specifico della musica dell'Assenza che sentirete questa
sera. Nella partitura pubblicata vedete un livello 01 e un livello 02,
perché il procedimento è questo che vi ho accennato: in
particolare i due livelli sono in una relazione specifica, cioè
il livello 02 ha una funzione di svuotamento, di kenòsis, sia
rispetto al livello 01, sia rispetto anche a se stesso che viene prodotto
simultaneamente al livello 01.
Allora, il termine "svuotamento", il termine "assenza"
per noi hanno un significato positivo nel testo, nei testi dell'autore,
in questo volume e anche nel mio intervento: ciò che è
meno, ciò che si fa cavo ha un valore positivo nel sistema dell'assenza.
Questo è quello che cercherò poi di spiegarvi da adesso
in avanti riprendendo il tema del disegno di copertina. Prima di questo
però voglio fare un accenno alle "Sconfitte".
Le Sconfitte - ne vedete una in questa sala, ma forse non tutti la possono
vedere, là in alto - è quell'opera diciamo pittorica,
ma tra la pittura e la scultura, che si vede là in fondo, ma
che in particolare si vede in tutto questo cavedio. Qui dentro ci sono
tutte le Sconfitte: infatti questo cavedio si chiama "Ex giardino
delle Sconfitte" perché sono riunite tutte queste opere.
Queste opere sono composte da un legno dipinto e su cui sono state apposte
delle stratificazioni, cioè delle fotocopie di altri disegni
dell'autore ingranditi, fotocopiati, ridisegnati, velati da ulteriori
pezzi di carta, con un procedimento a stratificazioni successive. La
Sconfitta è l'unità conoscitiva - in questo caso diventa
unità conoscitiva - è il luogo in cui il reale che noi
conosciamo è sconfitto, cioè accetta di tacere, di far
silenzio e di lasciare che si affacci dall'opera il nuovo campo di realtà
che è il campo assente.
Le Sconfitte non sono appese alle pareti, sono appoggiate su una base
sul pavimento, solitamente sono accompagnate da piccole opere, da piccole
sculture non dell'autore, di altre culture, che possone essere le più
diverse, possono essere una scultura africana, possono essere oggetti
quasi di folklore anche, qualsiasi altro elemento della realtà
contingente utilizzato in questo modo come elemento dissonante, a produrre
un ulteriore spostamento, una sorta di raddoppio, quasi, sulla sconfitta
stessa.
Vi dicevo che avrei ripreso il disegno di copertina. Il disegno di copertina
mi interessa in questo momento perché raffigura, non intenzionalmente,
tuttavia raffigura, una sezione dell'encefalo e, all'interno di questa
sezione, una cavità, una cavità in cui si sta formando
una cellula mentale. Nel disegno c'è scritto: "La cellula
mentale nella sua sacca". Questa cellula mentale in formazione
è il segno di un passaggio evolutivo: cioè, la specie
attuale, quella a cui noi apparteniamo, la specie homo sapiens sapiens,
è bloccata nel suo passaggio evolutivo che non ha compiuto del
tutto. Cioè, ha sviluppato il pensiero astratto, ha sviluppato
il linguaggio, ma non ha compiuto il definitivo distacco dall'origine
animale da cui proviene, non ha compiuto la separazione definitiva dall'animale
e per questo è sofferente, cioè per questo noi diciamo
che la specie è ammalata. E' ammalata di un eccesso di concretezza;
è ammalata di un eccesso di vincolo ai suoi bisogni, alle sue
esigenze di natura istintuale, di natura primaria; è ammalata
di un'insufficente capacità di astrazione, tale per cui non è
in grado di pensare e, conseguentemente, di esperire la morte in un
modo che sia idoneo all'uomo e che non sia ancora uguale a quello dell'animale.
Per cui la specie dovrà procedere al passaggio successivo di
astrazione, di distacco, tale per cui poter acquisire la capacità
di astrazione consapevole, ulteriore, tale per cui la morte divenga
idonea alla specie evoluta.
Allora il poema con il suo linguaggio del nuovo, come si legge nel sottotitolo,
è "poema in soccorso", perché? Perché
è "Poema in soccorso di vita e morte, di veglia e sonno
in eccesso e non coscienti dell'umana specie tanto immatura e così
poco felice. ". Il poema è in soccorso della vita e della
morte, della veglia e del sonno che sono in eccesso e non coscienti
nell'umana specie e perciò la specie è tanto immatura
e conseguentemente così poco felice. Allora Europa è il
linguaggio del nuovo, antecede e produce il nuovo. Come scrive l'autore
nell'introduzione: "Europa è, pertanto, il livello del mondo
nuovo, capace dell'assenza, di quel pensare e di quell'azione privi
della forma costrittiva - della forma a difesa delle cose -, libero
della natura arcaica del cervello - dell'attività modesta e incompleta
delle stutture superiori -, avendo in sé i semi del nulla, del
linguaggio ch'è astratto, non perché separato dal suo
oggetto, non perché si è allontanato da quello per respirare,
per avere spazio e distanza rispetto alla cosa, ma che è tale
perché tanto capiente, affettivo e duttile, da toccare vuota,
chiara e silenziosa quella materia che, allora, s'apre, avviandosi a
farsi sentire, raccogliere e completare nella più pura alterità
e assenza. ".
SUZANNE DELORME
Ho scelto di leggere perché vorrei fare diverse citazioni e penso
che sia la cosa più semplice averle già raccolte su un
foglio.
Vorrei intervenire dal punto di vista di traduttrice e di lettrice della
scrittura di Paolo Ferrari. Premetto che, essendo madrelingua francese,
il mio approccio all'italiano sembra meno ingombro di preconcetti e
pregiudizi. Il tentativo poi di tradurre in francese un saggio dell'autore,
mi ha costretta a tuffarmi per quasi un anno in numerosi dizionari,
portandomi a compiere, assieme a mia sorella, un viaggio attraverso
le parole e la loro storia e, di conseguenza, a cercare di evitare con
la massima attenzione e vigilanza, possibili interpretazioni affrettate
ed erronee.
Un poco alla volta mi sono accorta della diversità di questa
lingua rispetto all'italiano usuale e rispetto al francese, più
esigente di logica sintattica e meno libero dell'italiano. Ho cominciato
allora a farmi domande sul significato delle parole, scelte con precisione
dall'autore - è forte l'influenza del latino nel vocabolario
di Paolo Ferrari -, e sulla loro disposizione nel contesto. E' cominciata
così per me un'esplorazione affascinante e coinvolgente nell'universo
dell'assenza, in cui i parametri usuali vengono completamente travolti.
Paolo Ferrari, nell'ultimo suo saggio intitolato Interludio dell'Assenza,
dice del suo progetto che consiste nello: "svuotare, annullare
la realtà finora esistita, per mezzo d'un nulla particolare,
un nulla attivo e positivo, con l'astrarla, questa realtà, d'altra
e più compiuta astrazione". E prosegue: "A tale fine
nasce una lingua nuova, dalle modalità inconsuete d'espressione
e di comunicazione: il significato si mostra e subito si dilegua, il
suono è avvertito e subito tace".
Credo che questo poema Europa, o l'Assenza costituisca l'illustrazione
migliore di questa lingua, la cui particolarità principale è
di essere cangiante, per le ricorrenti cesure che interrompono e rovesciano
la linea melodica. Lo possiamo osservare nel brano seguente della prima
pagina di Europa, di cui avete copia, ed è la pagina 37.
In basso al foglio:
"Un balzo, lieve, spazio che s'apre e s'infila
è gioco del mattino
e del funambolo, come aprir la mente.
Mente? Il sale delle fontante e delle grondaie
illuminate dal corpo immaturo dell'estate e del morire precoce."
Una volta che il lettore attento ha accettato di rinunciare ai suoi
soliti riferimenti spazio-temporali, sprofonda sotto soglia e, superata
l'angoscia del vuoto - perché di vuoto non si tratta più
-, incomincia a comprendere alcuni piani del nulla e la loro simultaneità,
a scorgere, come lo scrive l'autore nella sua introduzione, le "più
ampie e numerose relazioni che libere abbondano nell'universo".
La lettura si fa allora appassionante, perché si capisce che
Europa è un racconto dal respiro ampissimo: il raccontare sulla
traccia dell'Europa di un pensiero assente, capace di un'ideazione -
cito - "che sappia esserci su più piani all'istante, che
sia capiente a sufficenza e vuota, capace di contenere ciò che
è differente". Difatti il nostro autore invita il lettore
"a questa fonte che mai si esaurisce", e questo flusso materico-sine
materia, come lo definisce Paolo Ferrari, è reso evidente a trattini,
come in filigrana, dal ritmo che costituisce l'elemento fondamentale
del poema, simultaneamente in superficie ed in profondità, come
succede nella musica del nostro autore.
Diventa così questo ritmo l'unico riferimento spazio-temporale
al quale il lettore può aderire e dal quale può lasciarsi
condurre al seguito di - come lo chiama il nostro autore - "un
solitario esploratore del muto sillabare". Si tratta di un ritmo
ondeggiante, vario, rapido e lieve fatto di suoni: vi troviamo delle
assonanze fra sillabe, fra parole. Ad esempio assonanze consonantiche
tipo:
"
e di tintinnanti cavallette superstiti."
Altrove:
"
circuìti i buchi oltrepassati perché dannati
"
Oppure assonanze vocaliche che possiamo leggere alla pagina 46 che avete
sotto gli occhi:
"Albeggiare, insidiare, favorire la Specie che è pianta,
è seme sotto la traccia del piede
"
Ma sono le ricorrenti dissonanze che, creando fratture successive in
questo ritmo, gli danno direzioni verticali che portano ad un piano
sottostante. Lo possiamo vedere nei versi successivi della stessa pagina,
cioè la 46:
"
lungo la ripa, scorpacciata di mele
assorto, tragico
trincerato ostruito
fantasioso coercitivo reale."
Interruzione e rovesciamento della linea melodica, resa anche con la
punteggiatura, molto specifica: uso frequente delle parentesi, di trattino,
di sbarretta, addirittura di una virgola che segue un punto interrogativo
per non interrompere la continuità del ritmo. O un a capo che
spesso interrompe la linea sintattica, o addirittura il cambiamento
di carattere - italico, oppure grassetto - per muovere ulteriormente
il testo ed indurre altre informazioni e nuovi spostamenti.
Così, come lo precisa Paolo Ferrari, "ogni luogo è
spostato d'un poco, una distanza infinita, diversamente dal vincolo
noto, ogni io è relativo, ogni parola è senza accento,
ovvero è appoggiata in un altrove che non è l'evidenza
del testo".
Ora il ritmo non è dato solo dalla melodia, ma ha anche una dimensione
spaziale. E qui possiamo fare relazioni interessanti tra i diversi linguaggi
adoperati dall'autore, e cioè la musica e la pittura. Infatti,
il ritmo della lettura, le pause e le sospensioni, vengono suggerite
dallo spazio fra i versi, e dalla disposizione dei versi nella pagina,
ma rimangono aperti alla interpretazione del lettore.
E non credo sia un caso che le due parti del poema in cui sono descritti
i due livelli specifici - di cui ha parlato la Dottoressa Verri, 01
e 02, e anche il Professor Kemeni, livello 02 che illumina da sotto
il livello 01 - siano distinte tra loro da una parte, dalla pagina 108
alla pagina 119, in cui i versi sono corti, specie di appelli-dediche,
diradati sul foglio come a formare un intervallo, mentre dalla pagina
137 a 142 la disposizione dei versi secondo uno spazio vuoto ritmico
fa pensare ad una scala messa lì per aiutare il lettore a scendere
verso il secondo livello.
Ma la lievità del poema si trova anche nel divertimento che questo
pensiero trova a scherzare nell'assentarsi. E' un poema che provoca
il sorriso, un sorriso dolce, che illumina la mente del lettore di una
luce grandemente affettiva. Perché si tratta di uno scherzare
leggero, scherzo, piroetta, balzo, sdrammatizzato e sdrammatizzante,
come lo possiamo scorpire in questi versi che vedete alla pagina 48:
"I drammi, sì i drammi della verità
come scope, dicerie della Specie involuta.
Conigli dell'immaturità
oltre quel sigillo osservai
la pace
la folla stipata
la ghirlanda in fiore,
i bulbi dei tulipani,
la mancanza dei bordi,
dei confini asserviti.
Fissarsi, allora, agli occhi,
mi pare, come ventura, come vetro spesso che riflette, lente.
Lente dei fogli e della lattuga."
Questa dolce irrisione dell'autore per quanto osserva della natura umana
fa sorridere. Vien da pensare all'umanità descritta da Rabelais
e dipinta da Brueghel.
Poi un altro sorriso, o forse più deciso perché più
sconcertato, è provocato dall'incongruenza buffa della lattuga
che interrompe lo slancio lirico non necessario per il livello dell'assenza.
E ancora, a caso:
"Ratto furibondo di piccoli rattoppi
a cucire gli spazi
che la ragione ha sfinito."
Oppure:
"Non triste, non Trieste, non Cappuccetto Rosso, non
assumere vita più di quella che è
"
Più in là:
"Indignato?
No, scalzo."
Questa leggerezza divertita e divertente comunica al lettore il distacco
necessario dalla cosa, dalla vita e dalla morte. Dunque maggior libertà
da sé stesso, grande affettività per sé e per l'altro,
e coraggio per cercare di compiere il necessario passo nel mutare la
specie.
LUCIANO ELETTI
Ritengo indispensabile far ritorno all'introduzione che è stata
accennata in un paio di occasioni qui. Il mio intervento è quello
di un lettore che crede di aver trovato un sentiero percorribile e soprattutto
l'ha individuato nell'introduzione. I sentieri sono infiniti, il mio
è solo uno di questi, quindi non è un'analisi testuale
dell'introduzione quella che farò, ma è una fondazione
di un ritmo di lettura. Le parole dell'autore le farò mie senza
dover ricorrere a virgolette.
La mente attuale dinanzi al poetare vuoto è indotta a non aprirsi.
Ogni istante infatti è vuoto nel poema, luogo ove nasce un intero
- mondi vuoti e simultanei. In Europa è già il futuro
e la cosa-non cosa: è annullata la radice consueta di cosa. Ciò
è esperibile in chi legge. L'io, il corpo, quelli ordinari, sono
fissati in una dimensione del tempo che non cambia: allora la cosa è
sovrana. Pensare poetico quello di Europa, vuoto di immagine concreta,
seppure non privo d'una materia che si genera appena raccolta dalla
scrittura, all'istante: all'istante l'ideazione sa esserci su più
piani, capiente ciò che è altro. La realtà è
sorgiva, composta di ampie e numerose relazioni: di essa Europa è
fonte che mai si esaurisce. Ideare senza soggetto e oggetto, puro pensare,
oltre il muro del contenuto, del significato.
Il lettore si trova di fronte a un compito arduo, quasi impossibile
ad essere assolto: tenere con sé l'interezza del poema. E' richiesta
una mente vigile, rinnovata, adeguata a forme contenute o sostanziate
in altra materia che mai si esaurisce e che, nel mostrarsi, subito sparisce.
In ciò la memoria usuale non è da supporto a sufficenza
al lettore, perché è meccanica, soprattutto fatta d'oggetti,
fissa. Chi legge invece arretri dalla cosa, il pensare si modelli sull'impronta
del nulla nuovo d'un vuoto amorevole. L'attuale condizione del pensiero
è quella di una mente intera ma unica, capace di immettere in
un unico tempo e spazio, in uno schema, la frammentarietà. In
Europa la mente ha più unità, adatta a modellare il mondo
nuovo, a più dimensioni simultanee e assenti, un pensare non
più a difesa delle cose.
Linguaggio astratto, tale da toccare vuota, chiara e silenziosa la materia
che allora s'apre, avviandosi a farsi sentire, raccogliere e completare
nella più pura alterità e assenza. Con il nuovo poetare
è generata la cosa non ordinaria per un cielo, una terra d'altra
natura. Con Europa si pone una dimensione in cui tutto ruota ed è
cangiante in ogni cellula tematica: ne nasce una lingua non nota, pur
con le parole udite da sempre. Il significato è scomparso insieme
con il suo suono. Altro rimane: un nulla profondo fino alla vertigine.
La parola percorre il nulla, si amplia in quel vuoto ed è contenuta,
s'apre e si dilata, dove il niente diventi lo spazio. Voce allora dell'uomo
che articola la parola, anticipando il vero.
Questa è una lettura che individua un sentiero di fondazione
di un modo di leggere il poema, e queste non sono mie parole, non è
farina del mio sacco in nessun modo. La mia è l'individuazione
di questo sentiero, per quanto limitato nella sua capacità di
individuare.
Ecco, a me è sembrato che sia un infinitesimo che distingue il
passaggio, che individua questo passaggio: la memoria che usiamo di
solito utilizza un unico piano, un unico spazio e si serve di questo
linguaggio che necessita di questa memoria. Quindi è solo un
piano perché deve determinare questo unico passaggio. E quindi
il lettore normale si trova in grave crisi dinanzi a questo poema perché
non riesce a andare oltre quella cellula tematica che s'apre e dilegua
all'istante. Però è qui che si trova il passaggio possibile:
nell'accetazione che non debba essere questo piano unico, nell'accettazione
che quella figura tematica che in qualche modo si apre, che dilegua,
che è figura solo per il lettore - perché il pensare del
poema non ha alcuna necessità di immagine - e che è leggibile
comunque da chiunque di noi. Ma quello che occorre per poter intravedere
una luce che vibra d'assenza, come detto nell'introduzione, è
questa radicale accettazione del perire, come è stato detto anche
poco fa, che il poema dell'assenza non necessita di effusioni liriche
- frapporre la lattuga è un canto, un'elevazione pindarica, diciamo.
E questo è un passaggio, è un infinitesimo, a dirlo forse
è proprio il nulla, ma è decisivo.
E io mi proverò tra poco a dare la lettura, che è un po'
una prova del nove di quello che dico, se quello che dico sta in piedi,
e che rende possibile anche pensare ad altre cose accennate nell'introduzione,
che sono oggetto altrimenti di studi ben più ponderosi. Cioè
se noi facciamo nostra questa accettazione, il piano unico del discorso
normale non è più tanto necessario e si rivela molto limitato.
E' come se quella che al lettore normale può sembrare una figurazione
- che però non ha alcuna funzione di questo tipo nel poema, ripeto
-, questa cellula tematica, diciamo, del poema è come se dileguasse
e si ponesse sotto soglia: sparisce, non è più, non è
più nulla, ma non è più il nulla ordianario che
conosciamo. Come se si ponesse al di sotto e costituisse la tessitura,
formasse la tessitura successiva del poema.
E questi infiniti sprofondare, agli occhi nostri, del linguaggio del
poema si pongono veramente su più piani se noi accettiamo questo
perire del verso. Diventa possibile pensare non solo a questi infiniti
piani, ma questi tempi infiniti che si possono formare, solo che si
accetti appunto questo perire, il dileguare della figura tematica che
non riusciamo a leggere, ma che non ha alcuna funzione nel poema se
non nel suo dileguare.
A questo punto l'unico piano spazio-temporale che richiede il linguaggio
solito, che si forma nella memoria e quindi ha la necessità della
fissazione, si apre, si intravede una luce, la possibilità di
questi infiniti piani, di una tessitura grandissima di questo poema,
di infinite relazioni possibili, forse mai pensabili fino alla fine,
e forse anche di tempi diversi da quelli in cui viviamo noi. Sottolineo,
appunto, questa sottilissima, infinitesima differenza che è una
differenza assoluta e che io proverò a leggere.
"Illuminarsi
è propensione
alla vita nova: non ho vita
né morte:
cambiai in nulla la mia arcaicità.
Ugualmente a come
si
dispone lungo
le briglie dell'aere fuori del cielo e
del mare e delle
scogliere
la propensione della
materia
a lasciare nomi vuoti
apprestandomi a che
nulla manchi.
Ho spazio e tempo
fuori di me
perché così è la parola
che circoscrive
il limitar del bosco
la parola grossa: nei sogni
oltre la bocca
oltre l'immenso suo corpo
stendere (crak) la realtà, ho
nuovissime radici
da offrire e sperperare
come esattore di vita - e della
morte sollevata - sospesa oltre
il giudizio naturale
di cosa mai allucinata:
al di fuori di me
al di fuori della città
che traspare: nel sonno scaturisce
la facoltà
di spiegare il guazzabuglio della cosa
ignota ed estesa - campione -
in conformità alla delicatezza
del tatto e dell'olfatto
spariti oramai dal soma arcaico."
MASSIMILIANO VONO
Allora, devo dire che a questo punto ...
PAOLO FERRARI
No, adesso devo parlare io.
MASSIMILIANO VONO
Ah, parli tu?
PAOLO FERRARI
E devo suonare, anche.
MASSIMILIANO VONO
Ah, pensavo che suonassimo dopo.
PAOLO FERRARI
No, suono io, poi voi parlate dopo.
Dunque, adesso dovrei parlare io suonando. Avevamo stabilito di fare
come un breve break musical-sonoro.
Io reciterò, canterò, suonerò le prime due, tre
pagine del poema. Contemporaneamente produrrò questa musica,
cioè produrrò un raddoppio di questa mia voce, di questa
mia relazione con le parole, relazione con la tessitura di cui parlava
adesso il dottor Eletti.
La musica che adesso andrò a comporre non è una musica
precostituita, non è una musica precomposta, ma io la compongo
nell'istante stesso in cui comincerò a parlare, in cui comincerò
a dire questi versi, dire il ritmo di questi versi, dire l'assonanza
di questi versi e dire l'assenza di questi versi. L''assenza' nel senso
che i versi, nel momento stesso che vengono posti, vengono assolutamente
tolti dai piedi: cioè, io sfido chiunque, date le prime tre pagine,
in ventiquattr'ore a impararle a memoria e a poterle ripetere, avendo
al proprio interno il senso o il significato di questi versi - il senso
profondo, il significato profondo. Perché nel profondo questi
versi diventano nulla, diventano vuoto, diventano questo vuoto positivo,
questa alterità e cioè il riconoscimento dell'altro, il
riconoscimento della possibilità creatrice dell'altro. Creatrice
e affettiva. Io spero che questa musica che compongo produca in voi,
in un certo senso, una spaziatura, un'ampliamento, un'affettività
nuova, un'affettività astratta, nel senso di un'affettività
capace di relazione complessa. 'Relazione complessa' vuole dire su tutti
i piani, su piani più complessi della realtà come siamo
stati abituati a vedere fino adesso.
Io suppongo e ho scritto come base, diciamo, della mia struttura teorica
un principio fondamentale che è il "Principio di Inclusione",
un principio nel quale qualsiasi cosa venga detta da questo punto di
vista, dal punto di vista dell'assenza, cioè da questo punto
di vista più profondo, più altro, più ampio, è
capace di includere un tessuto molto più sottile e molto più
capace di informazione, di informazione sottile, di quanto fino adesso
nella realtà si sia posto. Ed è per quello che la realtà
deve farsi da parte, la realtà concreta, il mondo, gli oggetti,
le cose, ma anche l'essere platonico, devono farsi da parte. Cioè
devono lasciare questo spazio a questo nuovo campo che è questo
campo del vuoto, questo campo del nulla, questo campo capace di relazioni
vuote, vuote nel senso che hanno una capacità di relazione diversa,
completamente diversa dalla relazione come è stata posta fino
adesso.
E adesso provo a suonare.
[segue la lettura
e l'accompagnamento al pianoforte del brano di Europa, o l'Assenza ,
pagg. 37, 38, 39, qui di seguito riportato - il pezzo è di circa
4 minuti]
"Dicevamo
ieri, ier l'altro,
senza la memoria decisiva per le scelte,
ma quale uomo, uomo, uomo? la
razza sconfitta. Ma quale razza? Gli uomini se la ridono
e furbescamente - come immagine - piangono nei riti le loro parvenze.
Ma quale sconfitta?
E i dolori, e le supreme gioie della terra e del cielo.
Dimmelo tu, donna che apri le gemme e che sai la natura della specie
nuova, ma tanto? Ma quale livello dei salti saltimbanchi
o Gesù o dicerie dei ladroni,
materie di sale, lingua d'Oca, lucernari dai quali vedere il cielo opaco,
e
fulgido il cielo ogni istante e, ogni torrione,
frattanto le lingue che parlavano dal ventre. Dal ventre che Dio spegneva
perché saturo.
Perché saturo
saturo e saturo, perché Iddio è, essere come quel grande
vuoto.
Perché saturo uguale
all'essere, l'Essere ch'è saturo del ventre umano della donna
ma Iddio come il vuoto, il vuoto
asciutto della depressione che occupò
la vita dell'uomo e della sua specie.
Vuoto enorme lo spazio del Dio ch'è vuoto
tendere indietro, avanti la vista e gli uccelli che volano, che gridano.
Un balzo, lieve, spazio che s'apre e s'infila
è gioco del mattino
e del funambolo, come aprir la mente, come aprir la mente, come aprir
la mente ( ).
Mente? Il sale delle fontane e delle grondaie
illuminate dal corpo immaturo dell'estate e del morire precoce.
Uno, due, dieci i mari, i miracoli, le palline e le radici della
verbalizzazione d'un bambino.
Sano; la sanità? la Saliva, la Specie umana, che fece l'errore
di una
sessualità irriverente;
come quel corpo allegro, depresso, invaso, concupiscente, senz'attenzione.
E la ragione? E quel paragone tra le cose che sono
grandi e piccole, e lucenti
e oscure?
Via da me e dalle accentuazioni sdrucciole; le posai sul capo; entro
il mio capo
rapidamente emettevano suoni del tintinnare e del percuotere,
specialmente dove dormo un sonno che non è più del vivo,
e per fortuna! Ché la specie è piena.
Colma e zeppa di ragione
non compiuta; non è fatta l'idea, l'ideazione pende satura come
la
cicogna che non ha sottomano il nido
oltre il quale affacciarsi; è vuota del nulla,
è vuoto quel segno del nulla
che è la frase ch'io dico per indicare la dolce espressione
d'un avvicendarsi di speranze lievi lievi, sopra la pietà che
rimane;
vigile
esausta
consapevole e ignara.
La specie umana.
La fisicità e la colomba abbruttita dal colore del vento.
Fischi, intermittenti
i fischi della specie immatura e robusta,
la specie è satura.
Come le orme sull'asfalto che ruba e che surge;
allora l'assalto alle povere, ignobili 'cose' della natura dell'uomo;
all'uomo che è la genuina bestia
immatura del sale e della verità non credibile."
Allora riprendiamo...
MASSIMILIANO VONO
Ah, tocca a me. Bene, bene saperlo perché entrare due volte fuori
tempo non è bello.
Allora, devo dire che adesso l'intervento è molto più
semplice perché adesso si parla della musica avendo ascoltato
la musica. Prima se no dovevo parlare della musica senza che nessuno
avesse ascoltato la musica. Era molto più complesso.
Allora, io guardo la musica dal punto di vista dell'ascoltatore, sia
perché sono giornalista musicale - scrivo su una rivista - musicografo,
non faccio critica musicale, io cerco di capire quello che ascolto e
poi quello che capisco lo scrivo, senza andare a vedere i motivi o surrogarmi
all'interprete o al compositore.
Cosa si vede all'ascolto di questa musica dell'Assenza? Possiamo fare
dei grafici... Innanzi tutto possiamo dire: la musica è importante
nell'assenza, perché se l'assenza è un nuovo stato dell'uomo,
quindi oltre all'homo sapiens viene l'homo abstractus, quindi l'uomo
che vive nell'assenza, tale homo abstractus ha ovviamente tutte le facoltà
dell'homo sapiens e anche qualcosa di più. Quindi avrà
sicuramente la capacità di produrre arte. La musica è
parte di quest'arte e si differenzia da altre arti come la pittura e
la letteratura per un motivo che poi dirò.
Comunque, diciamo, nella musica sapiens, cioè nella musica fino
adesso conosciuta, quindi con questo comprendiamo sia la musica modale,
sia la musica tonale, sia la musica dodecafonica e atonale, succede,
dal punto di vista dell'ascolatore, una cosa di questo genere [vengono
disegnati due assi cartesiani sulla lavagna]: su quest'asse noi mettiamo
il tempo, ovverosia la durata della musica; su questo altro asse mettiamo
le variazioni di intensità della musica, quello che si vede dal
piano al forte, ad esempio, le variazioni cosiddette dinamiche - piano,
forte - e mettiamo anche le variazioni cosiddette agogiche - cioè
veloce e lento -, insomma, le variazioni.
Nella musica quindi tonale, modale, eccetera - tra la musica tonale
il massimo della visceralità l'abbiamo nella musica romantica,
quindi prendiamo la musica romantica -, abbiamo un andamento da parte
dell'ascoltatore, di colui che ascolta musica, di questo genere [viene
tracciata sulla lavagna una linea sinusoidale]. Con questo andamento
cosa notiamo? Una fase di partenza che conduce ad un climax, quindi
a un massimo di intensità, per poi tornare indietro, per poi
risalire, una forma, diciamo, che io amo definire gastrosessuale perché
uno continua a essere sempre trasportato verso qualcosa e poi a ridiscendere
verso qualcosa. Quando Beethoven inizia la Quinta Sinfonia così
[viene suonata al pianoforte la battuta di inizio della Quinta Sinfonia
di Beethoven], noi rimaniamo già [in attesa], come dire: "cosa
succede dopo?". Cioè, questo impatto [riesecuzione delle
stesse note], [a cui] Beethoven risponde [vengono suonate al pianoforte
le successive quattro note] con un'altra domanda ancora più forte
della prima, ma colui che ascolta già viene portato, reagisce
a livello emotivo, ha in sé una tensione molto forte.
Nella musica dell'Assenza, che è quella che abbiamo appena ascoltato
musicata dal dottor Ferrari, musicando il poema, abbiamo invece un andamento
di tipo induttivo, che è molto particolare [viene tracciata sulla
lavagna una linea retta]. Allora, cosa abbiamo in questa musica dell'Assenza?
Abbiamo un atteggiamento che arriva all'ascoltatore, diciamo sempre
all'ascoltatore sapiens perché nessuno di noi qui presenti è
homo abstractus, tutti qui siamo homo sapiens , quindi noi ascoltiamo
musica che viene dall'assenza, però la facoltà di ricezione
è quella dell'homo sapiens, non è quella di un altro tipo
di umanità che noi non abbiamo ancora, succede che noi siamo
trasportati verso un livello, che abbiamo una tensione sempre costante
che esiste, non è che non c'è tensione, c'è una
tensione sempre costante, che rifugge da un'emotività intensa,
rifugiandosi in una nicchia interna, in uno stato emozionale piuttosto
che emotivo, in uno stato che il dottor Ferrari ama definire affettivo,
un atteggiamento positivo e che si prolunga indefinitivamente nella
durata del corso della musica.
Una caratteristica che ha questa musica è che se noi la interrompessimo
qui [vengono disegnate delle linee verticali perpendicolarmente alla
linea retta] [non succederebbe nulla di quanto invece accade nella musica
sapiens]. Se noi nella musica sapiens interrompiamo qua o qua o qua
[vengono indicati dei punti sul tracciato dell'onda sinusoidale], abbiamo
uno shock, perché a livello emotivo siamo traumatizzati; noi
che siamo così viscerali, abbiamo questa cosa, sta per condurci
verso qualche parte, tac, si interrompe e rimaniamo così senza
respiro e quindi traumatizzati, cosa che nella musica dell'Assenza non
può avvenire. La musica dell'Assenza paradossalmente potrebbe
essere costituita anche da una sola nota, da un solo suono, se noi fossimo
nell'assenza. La durata è fatta a nostro profitto, perché,
dal momento che noi non abbiamo la facoltà di percezione dell'homo
abstracuts, nella durata complessiva riusciamo a essere accompagnati
più facilmente nel nuovo stato dell'essere.
Perché la musica dell'Assenza è, diciamo, la parte dell'assenza
che a noi può essere di maggior aiuto per entrare in questo mondo?
Perché la musica, tutte le musiche possibili, sia quella modale,
sia quella tonale, tutta la musica sapiens e quindi anche la musica
dell'Assenza, agisce su di noi bypassando le nostre sfere logiche e
comprensive. Noi quando sentiamo della musica, per la nostra cognizione,
per il nostro schema logico, non pensiamo alle note che ci sono scritte.
Non è che noi diciamo: ecco, qui c'è un mi, qui c'è...
Perché? Prima di tutto perché nessuno di noi sa in effetti
che note ci sono, perché nessuno ci ha abituato a leggere musica
fin da quando abbiamo due anni, quindi noi siamo lì completamente
a zero a livello di comprensione grammaticale della musica. La musica
cosa fa? Oltrepassa questo canale logico che è quello che ci
frena, perché l'homo sapiens è costituito da schematismi
logici molto fissi, molto ferrei, quindi qualunque cosa di diverso tende
a essere vista secondo questa gabbia logica. Quando invece la musica,
sia la musica sapiens che quella dell'Assenza vengono a essere ricevuti
dal nostro essere, abbiamo che subito viene incanalato nel canale emozionale,
nel canale emotivo - do un maggior [peso] alla parola emotivo perché
emotivo significa intensità, significa maggior coinvolgimento,
significa tutta la massima concretezza a cui siamo costretti noi che
viviamo in questa umanità ammalata, come dicevano giustamente
i miei precedenti relatori -, mentre nella musica dell'Assenza in questo
continuo fluire noi siamo accompagnati, senza quasi che noi facciamo
lo sforzo di venir meno alla nostra gabbia logica, perché la
gabbia logica è già automaticamente oltrepassata da questo
canale privilegiato dell'assenza che è la musica - che è
una trappola per uomini molto valida, se non sbaglio.
Cosa che ad esempio non c'è, perlomeno c'è meno nella
letteratura, perché un consiglio che do a chiunque leggerà
questo poema è prima di tutto di non mettersi a leggerlo con
spocchia, nel senso di cercare di capire cosa succede da una parola
all'altra, perché è stata messa una parola e non l'altra,
poiché un atteggiamento di questo genere significa semplicemente
che noi, già col nostro schematismo logico homo sapiens-sapiens,
veniamo a leggere una cosa dell'assenza secondo il nostro schematismo
logico, cosa che in effetti non è possibile. Qualunque interpretazione
di questo libro nel senso homo sapiens è francamente un'operazione
che, sì, può essere divertente, può avere un significato
così, anche didattico, ma in sé bisogna prima di tutto,
nell'atto in cui si legge, cercare di far venir meno qualunque volontà
di interpretazione della parola. Voi quando leggete questo libro lasciate
fluire il discorso, cercate di immaginarlo come una composizione musicale,
qualcosa che nasce dal principio e termina. Io consiglio di leggere
tutto d'un fiato questo testo e spero che nel più breve tempo
possibile il dottor Ferrari musichi tutto il poema, perché senz'altro,
come voi avrete modo di vedere - adesso non so se qualcuno di voi ha
già letto prima il poema e poi ha sentito la composizione musicata
del dottor Ferrari -, la musica aiuta moltissimo il poema a entrare
in noi. Cioè, nel momento stesso in cui la musica afferra la
parola scritta per noi risulta molto più semplice l'ascolto e
l'assimilazione di questa nuova poetica.
CARLO BALZARETTI
Buonasera. Io vorrei ricollegarmi al discorso che ha fatto Massimiliano
al riguardo della musica. In fondo, quando parlava di tensione e distensione
all'interno di questa musica, all'interno della musica romantica - è
stata scelta appunto la musica romantica, ma in fondo potrebbe essere
tutta la musica tonale - noi questa tensione, questa distensione la
possiamo inquadrare nel cosiddetto rapporto dominante-tonica. Cioè,
in un sistema tonale noi abbiamo due poli di attrazione che sono la
dominante e la tonica, cioè una tensione e una risoluzione.
In un sistema dodecafonico o addirittura, torniamo indietro magari,
pensiamo per esempio alla modalità gregoriana - abbiamo una finalis,
abbiamo una repercussio -, ancora abbiamo dei poli, ma dei poli che
hanno invece un rapporto completamente diverso: non c'è appunto
la tensione o risoluzione della sensibile tonica, non c'è la
dominante tonica, è un rapporto diverso che è quello della
musica modale. Nel caso della musica dodecafonica invece ci troviamo
in presenza di una serie ben strutturata e all'interno di questa serie
di dodici suoni si costruisce l'intera composizione.
Bene, la musica dell'Assenza - che io studio da circa tre anni - assolutamente
non si ricollega a nessuno di questi elementi, è sicuramente
l'espressione musicale più astratta che esista, almeno di quelle
che conosco io. Non si riconduce quindi a schemi formali: non possiamo
quindi pensare a una forma sonata, a una forma minuetto, non si riconduce
quindi a una tonalità e non si riconduce quindi a quella che
potrebbe essere una serie dodecafonica. Non ha diretti collegamenti
con il passato, anche se contiene in sé la musica del passato
- d'altronde Paolo Ferrari nasce come pianista, studia pianoforte, ha
una cultura, per come io lo conosco, sterminata della musica - e all'interno
della sua musica si possono ritrovare molti elementi, direi che specialmente
uno degli elementi ricorrenti è una scrittura contrappuntistica,
una scrittura contrappuntistica a due o a tre voci, ma in fondo possiamo
anche ritrovare elementi tonali all'interno di questa musica. Il problema
è che tutto questo materiale musicale, potremmo dire tutte le
esperienze musicali - anche l'esperienza della musica orientale - rientra
in un concetto ben più ampio, che è il concetto della
musica dell'Assenza che in fondo è contenuta anche nei pezzi
che noi oggi suoneremo.
Per cui gli elementi che ho inquadrato studiando queste composizioni,
che sono per la maggior parte delle sonate astratte, sono delle composizioni
lunghe, sono delle composizioni impegnative per l'esecutore, alcune
volte direi quasi ineseguibili per ciò che mi riguarda, e ho
provato - d'altronde vi rendete conto che davanti a un discorso così
astratto, dal punto di vista delle frequenze, cioè delle note,
dal punto di vista ritmico è impossibile poter memorizzare questa
musica - gli elementi ricorrenti che ho trovato all'interno di queste
composizioni sono, direi, una sorta di contrappunto, di contrappunto
a due o a tre voci, un contrappunto molto libero - per contrappunto
intendo soltanto un rapporto proprio di punto contra punto di queste
note, una specie di contrappunto ideale che non si rifà quindi
agli schemi dei canoni, agli schemi delle imitazioni -, comunque è
sicuramente un contrappunto, in quanto è un discorso musicale
che tende più a essere orizzontale che verticale.
Abbiamo poi delle situazioni modali e politonali: per situazioni modali
intendo che non abbiamo - per chi è musicista forse riesce a
seguirmi con più facilità - questa tensione dominante
tonica, non abbiamo questi due fuochi che tendono ad attrarsi, da un
movimento ad una risoluzione, per cui abbiamo, possiamo dire, questa
modalità; abbiamo delle situazioni politonali perché in
fondo abbiamo degli spostamenti da una tonalità all'altra all'interno
di questa musica; alcune volte sono chiaramente distinguibili chiari
andamenti cadenzati - e qui mi ricollego invece ancora alla dominante
tonica - che ci potrebbero far ricondurre appunto ad una tonalità.
Tutto questo inserito in un andamento ritmico libero, completamente
libero, in cui nulla mai si ripete. E questo è molto importante.
E da qui appunto nasce anche la difficoltà a livello di ascolto,
di un normale ascolto di questa musica, perché assolutamente
noi non riusciamo a ritrovare delle cellule che si ripetono. In fondo
se pensiamo alla forma sonata, o pensiamo al rondò, il rondò
in fondo permette proprio la ripetizione di un tema e quindi una familiarità
nei confronti di questo tema. Noi non abbiamo tutti questi elementi
all'interno della musica.
Da qui appunto l'impossibilità di memorizzare la musica - qui
entro direi più nel mio campo che è quello dell'interprete
-, è impossibile memorizzare questa musica in quanto io non mi
posso assolutamente rifare a degli schemi ritmici, a degli schemi armonici,
cosa a cui più o meno in qualsiasi composizione musicale ci si
può rifare. Capite? E naturamente da qui nasce anche la difficoltà
per ciò che riguarda la revisione e la trascrizione perché
- caso curioso - questa musica nasce come avete visto voi in fondo,
cioè nasce direttamente dall'esecuzione. Cioè, il compositore,
direttamente su una tastiera a sistema MIDI o su un pianoforte, compone
direttamente, simultaneamente questa composizione e da lì noi
otteniamo, attraverso il sistema MIDI, uno spartito. Questo spartito
però è uno spartito grezzo, direi illeggibile per il normale
esecutore, in quanto il ritmo, per motivi naturalmente di trascrizione,
è, direi, ineseguibile; fortunatamente le frequenze sono invece
ben fissate.
Ma direi che forse la parte più delicata che mi riguarda, in
quanto io trascrivo questi pezzi, è il problema di separare quella
che è l'agogica, cioè il ritmo dell'interpretazione, da
quello che in fondo è per noi - dico sempre per ciò che
riguarda la musica consueta - il giusto ritmo di queste composizioni.
Per cui io cerco, in qualche modo, di trascrivere, appunto di distinguere
quello che è il piano dell'interpretazione da quello invece che
è proprio direi la scrittura precisa di queste composizioni.
E stiamo appunto tentando insieme la trascrizione di varie composizioni
molto brevi - stiamo partendo da qualcosa di semplice - che sono appunto
questi piccoli pezzi astratti per la gioventù, che sono delle
specie di aforismi molto graziosi, molto brevi, poche note intense,
molto particolari. E qui mi ricollegherei al discorso di questa tensione
costante che c'è all'interno della musica, che in fondo è
la spiegazione: noi possiamo parlare di tensione costante in quanto
non abbiamo, come nella musica occidentale, questa continua tensione
distensione, dominante tonica - ancora una volta mi ricollego ai due
poli -, abbiamo una tensione costante che è la tensione che io
definirei dell'espressività di questa musica, dell'espressività
di queste linee melodiche.
Per ciò che riguarda l'interpretazione, quindi, in questa musica
l'interprete è davvero arbitro del gioco: deve stabilire il tempo
dell'esecuzione, deve impostare un discorso musicale libero e coerente,
che tenda all'espressività delle linee musicali. Possiamo pensare
ad una specie di conduzione del discorso musicale che avviene per esempio
nella musica barocca, in cui l'interprete ha la libera facoltà
di impostare i parametri dell'esecuzione, con la differenza però,
naturalmente, che nel barocco ci si rifà ad un linguaggio precostituito,
mentre in questa musica il linguaggio si rinnova "attraverso"
- per quello che io vedo -, nel suo interno, continuamente.
Questo è più o meno tutto quello che io vi posso dire
da interprete. Naturalmente è un discorso molto delicato, molto
difficile; spero, il più possibile, di essere stato chiaro. Era
un intervento difficile.
Con questo penso sia carino iniziare forse la nostra esecuzione.
PAOLO FERRARI
Allora, dico due parole sull'apertura a Europa, il pezzo che c'è
in apertura al poema. La parte che suonerà Carlo Balzaretti è
una parte che è fissa, nel senso che lui l'ha studiata, è
la parte che è scritta, il livello 01. Il livello 02 è
una delle possibili, infinite possibilità di raddoppio ch'io
pongo. Stasera molto probabilmente, secondo come è Carlo Balzaretti
nella sua testa, come le note si formeranno mentre lui sta suonando,
come la relazione tra lui e il pianoforte, la relazione che lui ha con
me, la relazione che voi avete con questa musica o con me, o le relazioni
che si sono formate in questa sala, io suonerò questo raddoppio
e raddoppierò questa musica producendo un ulteriore kenòsis,
proprio uno svuotamento ulteriore di tutto quello che è avvenuto
stasera.
Perciò il secondo livello è il livello appunto libero,
cioè 'libero', intendiamoci bene, vuol dire che è di una
precisione assoluta, cioè io non posso sbagliare una nota, io
non posso sbagliare un tempo, non posso sbagliare una forma. Cioè
la forma è esattamente quella che è, non potrebbe essere
altrimenti, è quella che si forma, è quella relazione
complessa, di cui si parlava precedentemente, quella relazione sottostante,
di una realtà molto più complessa che io riesco a conoscere
sul livello dell'astrazione complessa e del vuoto. Per cui questa musica
[è così composta]: il livello 01 Carlo se l'è studiato,
ed è il livello 01 che compare nel testo Europa, o l'Assenza,
il livello 02 è quello che io stasera formerò e formerò
nella forma esatta delle relazioni complesse che si sono formate in
questa sala stasera.
[segue l'esecuzione
del brano introduttivo di Europa - livello 01 - da parte del M°
Balzaretti e simultaneamente Paolo Ferrari compone e suona il suo raddoppio
- il pezzo è di circa 3 minuti]
Allora, avremmo
concluso.
Ah no, già ci sono i tuoi due o tre pezzi. Io - almeno la mia
parte - ho concluso.
CARLO BALZARETTI
Vi eseguirò, appunto, questi tre brevi pezzi dall'"Album
astratto per la gioventù".
Ecco, sia ben chiaro, si è parlato di composizioni didattiche,
utili per avvicinare alla musica dell'Assenza; sanz'altro, sono d'accordo,
ma per persone che probabilmente sanno già suonare il pianoforte
ad un certo livello, perché sono tutt'altro che facili dal punto
di vista ritmico, delle posizioni della mano, eccetera, eccetera. Sono
molto graziosi, sono aforistici, brevi, delicati. Ecco direi che forse
sono dedicati alla gioventù, così come potrebbero forse
essere le Kinderszenen di Schumann, non sono gli esercizi del Bayer
o gli studietti del Cerni. Ecco, su questo vorrei essere chiaro.
[segue l'esecuzione
al pianoforte di alcuni brani tratti dall'"Album astratto per la
gioventù" - la durata complessiva dei pezzi è di
circa 3 minuti]
PAOLO FERRARI
Allora, con questo abbiamo finito. Se qualcuno vuole fare delle domande
io sono qui a disposizione.
UNA SIGNORA
Volevo solo sapere se la musica dell'Assenza, che avete suonato insieme,
lei l'ha creata stasera da dopo questo nostro incontro, mentre lui l'aveva
già studiata, aveva già fatto una composizione prima.
PAOLO FERRARI
Non ho capito.
UNA SIGNORA
Carlo aveva già preparato uno spartito, un pezzo.
PAOLO FERRARI
Sì, sì.
UNA SIGNORA
Però c'era questa assonanza tra di voi...
PAOLO FERRARI
Sì, difatti, cioè quello che dicevo. C'era la musica scritta
che lui ha eseguito. Conteporaneamente, simultaneamente io ho suonato
con lui una musica nuova che io in quel momento componevo. Ma anche
la prima l'avevo composta io.
Se c'è qualcuno che vuole fare delle domande...
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