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LA A-SCIENZA E TEOREMI IN-ASSENZA

Lettera-saggio
(Aprile 1993)

II Lettera-saggio
(Ottobre 1993)

III Saggio
sull'Assenza

(Febbraio 1994)

Interludio
dell'Assenza

(Aprile 1994)

Sunto del
IV Saggio
di Luciano Eletti

Aggiorna-menti dell'Assenza
a cura dei ricercatori del Centro Studi Assenza

 

 


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Paolo Ferrari

 

II Lettera-saggio sull'Assenza: il distacco (l'oggetto astratto), la mente e la cura.

 

E' possibile, oggi, pensare all'umana specie come finita, in via d'estinzione insieme con la sua Storia e le sue conoscenze, sottratta alla depressione e dissociazione di cui è ammalata fin dall'Inizio, e sostituita da un nuovo livello, una nuova capacità d'astrarre - il livello zero, o dell'assenza - per il quale è viva la libertà del pensare - un pensare non più soggetto alla cosa, non costretto nell'ambito piatto e indecoroso d'un soma da cui derivò per evoluzione animale, ormai conclusa, non più necessaria?

Il Distacco di Specie.  

 

Egregio lettore,
con questa mia lettera faccio seguito a quella già pubblicata nel numero precedente di Zeta "Lettera-saggio sull'Assenza, la realtà e la nuova scienza".
Porto a tua conoscenza le nuove considerazioni che scaturiscono dal procedere della nostra ricerca che si amplia e si arricchisce giorno dopo giorno; come se ci muovessimo con una marcia d'avvicinamento a dati e fatti sempre più inseriti nell'evidenza - nel luogo dell'osservazione e dell'esperienza ordinarie - essendo partiti a dare forma e linguaggio da un punto lontanissimo, da un 'distacco all'infinito' - come definisco in altro scritto tale luogo - , in modo che di tali fatti, ora più vicini - senza nulla perdere di quel distacco - si possa dire in modo nuovo, radicalmente diverso da come fino a ora s'è pensato ed esperito.
Il pensare per Assenza o in Assenza non è semplicemente lo spostamento d'un punto di vista, un luogo diverso da cui osservare il mondo e la realtà tutta, analogamente agli spostamenti che si sono avuti nel cammino della storia e delle idee nuove. Ciò che stiamo proponendo equivale a un salto; un livello diverso e di qualità più alta, più complessa, sul quale porsi, ovvero del quale essere parte e di qui incominciare a osservare con mezzi e in condizioni dissimili, altre rispetto a come fino a ora s'è proceduto.
Lo stesso sistema nervoso diciamo essersi modificato insieme con la sua attività principale che è quella di produrre condizioni mentali e ideative al fine d'un pensare; esso poggia su un nuovo gradino e l'idea da cui esso deriva nasce in modo molto più rapido e preciso che non nel vecchio sistema. In più, l'atto con cui l'ideare prende forma, l'atto della mente e quello del pensare, insomma l'atto tramite cui s'origina quella nuova entità (anti cosa) che abbiamo chiamato pensiero, e il pensiero astratto, in particolare, simbolo e vanto della specie homo sapiens, nascono in un luogo, in una condizione ch'è vuota e aperta, privi d'immagine e di parola che, solo all'occorrenza saranno aggiunte al fine di specificare una delle realtà possibili al mondo, ammesso che di tale specificazione, realtà e mondo occorra tener presente. La mente, l'idea, l'atto pensante, essendo vuoti, pure disposizioni, senza oggetto, hanno la caratteristica d'essere della stessa sostanza del nulla - del nulla vuoto e aperto, diverso da quello terrifico e senza senso cui la specie umana è abituata - e, così, liberi dai vincoli che le immagini e i simulacri della realtà - fisica e astratta - e dell'io - l'io fisico e spirituale - comportano, concorrono alla formazione d'uno spazio e d'un tempo diversi da come finora sono stati nel vivere e nel pensare dell'umana specie.
E non solo il pensare, l'ideazione e la mente appartengono al nuovo livello, il livello dell'Assenza - un luogo aperto e vuoto ed essi stessi aperti e vuoti - ma la vita stessa, l'organismo biologico in generale, con le sue funzioni adatte allo sviluppo della vita, divengono d'altra specie, d'altra qualità.
Si può osservare che gli organismi biologici, in generale, compreso quello umano, si sono andati costruendo nei vari passaggi della filogenesi, e per una certa analogia nell'ontogenesi, nelle loro componenti morfologiche e funzionali in modo simmetrico all'adattamento dell'organismo all'ambiente. E' noto che lungo le varie tappe evolutive si sono selezionate quelle forme e quelle funzioni che sono risultate essere le più idonee alla conservazione e allo sviluppo della vita. Il procedere evolutivo, fino a ora, s'è mosso secondo una linea, talvolta costante, talvolta interrotta da brusche soluzioni di continuità, con repentini salti, secondo il principio della selezione, scartando quegli individui, quelle forme e quelle funzioni che non fossero risultate essere d'utilità per la conservazione della vita della specie. L'evoluzione s'è fatta nelle lunghissime ere per mezzo della selezione delle forme e delle funzioni secondo un principio che si può riassumere nei concetti di 'caso e necessità', come lo espresse Monod (1): a caso s'inseriscono negli organismi nuove forme e nuove funzioni, nuovi livelli, aggiungiamo, e soltanto quelli che a una verifica ambientale risultino essere idonei, i meglio adatti, si fissano entro l'organismo e si tramandano nella specie.
Insomma, l'andamento evolutivo, con il conseguimento del perfezionamento degli organismi adatti alla vita, a grandi linee, è quello per cui avvenendo casualmente una modificazione all'interno d'un organismo - una mutazione - tale nuovo evento sarà selezionato e sarà conservato come parte integrante della struttura degli individui di quella specie, entrerà a far parte del patrimonio genetico soltanto se risponderà in modo adeguato, idoneo alle condizioni dell'ambiente cui quel soggetto soggiace e appartiene.

E' questo il paradigma della formazione delle specie e dei loro caratteri, valido per la maggior parte degli scienziati e fino all'avvento della specie più complessa, quella dell'Homo sapiens sapiens che, tramite il suo sistema nervoso, ha inventato e imparato ad elaborare il linguaggio astratto.
Relativamente alla via evolutiva che questa specie prenderà, nulla in realtà si conosce: quanto la scienza dell'evoluzione e della genetica - nuove scienze nate nel panorama generale, accanto alle scienze più classiche, come la matematica e la fisica - hanno prodotto, è, per grandi linee, quel che in precedenza abbiamo illustrato: la selezione del più adatto ha sì selezionato gli eventi biologici, ma, secondo la nostra opinione, soltanto fino all'avvento della specie umana; di qui in poi nulla della sua necessaria modalità d'evoluzione in realtà si conosce. La specie umana ha acquisito la proprietà d'elaborare, tramite la sua attività centrale, un fenomeno mai prima esistito che è il cosiddetto pensiero astratto e che, dal nostro luogo d'osservazione, può essere inteso come la capacità di elaborare ed esperire una condizione differente da quanto in precedenza espresso dalla vita: la specie umana ha acquisito tramite la sua attività nervosa più sviluppata la capacità d'astrarre che è, nella nostra accezione, quella facoltà per cui è data la possibilità di mantenere ed elaborare una relazione anche in mancanza (assenza) sensibile (concreta) di uno dei suoi componenti. E' questa non solo una facoltà, bensì una condizione generale che pone la specie umana su un livello differente da ogni altra componente dell'universo; abbiamo denominato tale condizione o livello come 'assenza': una sorta di luogo dove le relazioni sono possibili in assenza (concreta) dell'oggetto della relazione. Perché siffatta condizione abbia sviluppi e integrazioni ottimali occorre che si verifichino alcune premesse necessarie - se così vogliamo chiamarle - nell'organismo capace d'assenza. Perché la capacità d'astrazione si attui, ovvero prenda luogo in un organismo biologico ciò che chiamiamo 'mente astratta', occorre, come condizione basilare, che da parte di quell'organismo pensante sia acquisita la capacità, la facoltà del distacco; occorre che entro la relazione capace d'assenza si faccia un nuovo livello: il rapporto con l'oggetto sarà sviluppato anche in assenza di quello, senza che venga perduta la componente affettiva - quella più ampia e aperta, più astratta e assente - tramite del rapporto medesimo - , una sorta di tessuto invisibile e non concreto composto di fittissime maglie come d'assenza, come vogliamo rappresentarlo.

Una delle situazioni in cui tale condizione si rende più manifesta, almeno in alcune sue espressioni, è quella della cosiddetta 'recisione del cordone ombelicale' al momento della nascita del bambino. Il 'taglio' di cui si parla non opera solamente nel campo della fisicità separando le componenti somatiche del bambino e della madre, ma - ed è ciò che a noi più interessa - tale separazione, se fosse radicale, e affettiva, allo stesso tempo, indurrebbe una modificazione irreversibile e fondamentale entro le maglie degli organismi psicobiologici dei due componenti della relazione - in particolar modo negli equilibri del sistema del bambino che è in via di organizzazione e di trasformazione - , improntando di sé l'intera vita futura di quello, segnando la sua capacità di generare un'attività pensante astratta e affettiva, che è la capacità di produrre una mente atta a elaborare cognizioni ed emozioni ad alto contenuto di relazione. Certamente non è solo quello il momento in cui si decide la vita d'un uomo, ma è uno dei momenti topici in cui il generarsi di un distacco entro le componenti d'una relazione molto stretta implica necessariamente, perché la relazione sussista, che gli organismi facenti parte della relazione inventino un nuovo modo d'essere insieme e di scambiare, quello d'una relazione per assenza, in cui la recisione d'un certo legame, invece che generare la cessazione, l'estinzione della relazione, faccia mutare di livello il sistema: occorre che in esso si modifichi il modo di porsi del rapporto, da cui ha, così, origine un nuovo genere di scambio, quello per assenza: i due componenti scambieranno affetto e intelligenza, anche in mancanza (temporanea o definitiva) di uno di loro. La relazione esisterà anche se è venuta meno la sua parte più 'concreta' e immediata con la recisione del cordone ombelicale, perché i due componenti si sono separati avendo assunto la qualità di enti indipendenti, capaci d'un rapporto su livelli più astratti.
La relazione ha cambiato di livello, se il passaggio è avvenuto in modo congruo: s'è messo in gioco un grado di maggiore finezza, di maggiore astrazione. La madre e il bambino scambieranno su un livello che è campo di più lieve, intensa e consapevole affettività, in cui sono precisate e valorizzate le due individualità, ora non più 'fuse' in un unico insieme pressoché indistinto.
All'atto della separazione, qualora ciò avvenisse nel modo ottimale, s'attuerebbe un nuovo livello, una nuova componente della relazione che è l'assenza, luogo (assente) del distacco, capace d'integrare il nuovo evento in un dominio di maggior grado e qualità d'espressione rispetto a quel mondo, per lo più, a circolazione chiusa che costituiva la base del rapporto intrauterino.
S'è verificata, così, con la nascita d'un nuovo individuo della specie, ciò che indichiamo come capacità d'elaborazione in assenza, una condizione peculiare che esprime il manifestarsi d'un nuovo livello della relazione e della vita: una sorta di tessuto capace di assenza, d'astrazione e di 'vuoto', dell'analoga composizione di quello che è nostra intenzione indurre anche con questo nostro scrivere qualora sia cólto nella sua interezza e articolazione (assenti). A questa prima separazione che, in verità, purtroppo non è radicale a causa - come più avanti meglio spiegheremo - dello stato d'immaturità della specie attuale, seguiranno nella vita d'un uomo altri tentativi di separazione e di distacco, più o meno riusciti che più o meno drammaticamente segneranno il suo destino.

Caro lettore,
come già da adesso puoi constatare, la vita d'un uomo si concentra tutta in alcuni tratti brevissimi della sua esistenza; addirittura in un sol atto, in una sola verbalizzazione (ben articolata e profonda), come ero solito dire quando mi occupavo di quel metodo, di cui s'è scritto nella precedente lettera, da me scoperto e nominato 'Attivazione'. E' un metodo clinico e conoscitivo che conduce in modo diretto al centro dell'essere, entro l''assenza' di questo, addirittura scoperchiando un livello dell'esistenza nel quale anche la scansione del tempo ordinario cessa di battere.

Affermiamo che quanto è più radicale il distacco e, allo stesso tempo, affettivo - capace d'un 'tessuto d'assenza' (astrazione affettiva) tra i componenti della relazione - tanto più ci sarà la possibilità di realizzare un campo aperto, fatto anch'esso di vuoto e d'assenza, entro cui disporre l'organizzazione biologica - la vita - che s'avvarrà, in tal modo, d'un luogo, d'un campo di realtà più consoni allo stadio cui la specie umana è giunta dopo il lungo e complesso cammino dell'evoluzione.
Allora il luogo del distacco è equivalente a un luogo della mente; quanto più il distacco sarà accettato e sarà radicale (e affettivo), tanto più la componente mentale sarà profonda e capace di generare al mondo quel linguaggio astratto, quella capacità della ragione e dell'affetto che ad essa sono congrui, dato il livello nuovo della specie. Ma ciò non basta: il distacco, di cui parliamo, il piano dell'assenza, dove il linguaggio evidente tace e si manifesta il silenzio capace d'una condizione più astratta, meno legata al soma di antica e superata origine, ben raramente sono compiuti; è vero, piuttosto, che quei legami a basso contenuto d'astrazione, legati al soma piuttosto che al pensiero affettivo, dominano la natura della specie, la quale, oltretutto, dipende ancora dalla specie animale da cui deriva.
Il distacco - il legame (astratto) per assenza - è scadente non solo tra un componente e l'altro della stessa specie, ma la stessa specie è incapace d'un distacco più radicale che la ponga fuori e oltre quella natura sorpassata non più ad essa pertinente.

C'è da tener presente che il tópos del distacco è soltanto uno dei possibili punti di partenza da cui incominciare a osservare e, possibilmente, a comprendere la nuova condizione, di cui vogliamo porre l'esistenza. Ci sembra che nella specie pensante sia proprio carente l'attività sua più specifica, il pensiero in generale, quello astratto in particolare, che è relegato come in un angolo, racchiuso in una scatola dalle proporzioni limitate, sovrastato e compresso dagli apparati somatici improntati alla necessità del soddisfacimento dei bisogni primordiali - la fame, il sonno, il sesso - , così come avveniva nel tempo in cui la vita era soggetta alle leggi della conservazione e della replica, pena la sua estinzione, ovvero il 'timore' ad essa connaturato di tale accadimento.
Lo sviluppo degli organi periferici, quali la vista, l'udito, il tatto s'è attuato e affinato a quello scopo, a difesa e conservazione dell'organismo, divenendo sempre più perfezionato, d'una perfezione, però, che ben poco ha a che fare con le capacità dell'attività superiore del sistema nervoso, le quali non hanno bisogno granché dell'acutezza della vista, neppure dell'udito iperspecializzato, dato l'indirizzo a prevalenza culturale e ad avanzata tecnologia che, almeno in parte, la specie ha assunto, avendo acquisito un movimento verso l'astrazione, anziché fissarsi entro uno stato di concretizzazione com'è la condizione alla base dell'arcaico sistema sensoriale e percettivo.
E' nostra opinione che l'apparato periferico sensoriale abbia preso una strada che poco o nulla c'entri con l'attività nuova del pensiero, in particolare con quella astratta, la cui tendenza è quella di fare più 'vuoto', di produrre maggiore spazio entro la realtà e di svilupparla nella direzione non tanto della cosa, ma dell'assenza di questa.
La realtà è stata per millenni e millenni occupata dalla 'cosità', che è l'oggetto 'concreto' di cui la vita si serviva per i suoi bisogni immediati e per quelli filogenetici come a posteriori possiamo osservare. Con l'avvento della nuova specie, capace d'astrarre, nella realtà ha perso d'importanza la dimensione della cosa, quella dell'oggetto d'uso dagli scarsi e limitati orizzonti: ha acquisito, al suo posto, importanza una nuova dimensione, quella culturale, in cui l'oggetto sempre più s'è spogliato della sua parvenza materiale, divenendo oggetto astratto, contenuto ricco di significato, di astrazione con cui comunicare concettualmente.
La realtà, insomma, s'è come svuotata, facendo a poco a poco sgombro il campo per un'attività più articolata, meno improntata dall'oggetto concreto, più libera e assente, ben differentemente da com'era nel periodo in cui regnava ancora l'animale, prima che esso evolvesse nella specie homo.
Ma la specie homo, come detto, non ha ancora accettato e sperimentato realmente quel distacco che potremmo chiamare 'distacco di specie': non s'è separata e non s'è disfatta definitivamente dell'eredità da cui proviene e della quale porta in sé tuttora il marchio di conservazione e di aggressività, che non sono caratteristiche proprie dell'animale, sono bensì della specie a quello succeduta che è rimasta come incompiuta e scissa. Non solo il bambino appena nato non ha ancora appreso a separarsi definitivamente e dal corpo e dalla psiche della madre al momento della rescissione del cordone ombelicale, ovvero nelle fasi successive quando il legame si ripresenterà stretto e vincolante, occupando tutto lo spazio interiore (ed esterno) tramite le fantasie pulsionali inconsce, ma la specie intera umana dipende da quella precedente, non avendo 'accettato' di staccarsi dal mondo animale, di cui conserva, nel profondo, paure, pulsioni, reazioni primitive, perfino stati d'allucinazione che ne condizionano la crescita perché il mondo animale non ha in essa cessato d'esistere e, perciò, s'è aggregato e mescolato in modo improprio alla nuova condizione, ingenerando uno stato di grave anomalia e limitazione.
Soprattutto il mondo è fatto di cosa, non è un universo astratto, vuoto, aperto, non è affatto in armonia con le nuove attività pensanti da esso raggiunte malgrado i tentativi volti alla liberazione dei vecchi legami della specie nata dall'animale, che sono, come detto, coattivamente ambivalenti.
Se è vero che l'evoluzione ha operato per selezione, conservando i caratteri necessari alla sopravvivenza, allora l'avvento d'un'attività nervosa più fine e modulabile, l'acquisizione da parte dell'organismo d'una facoltà del tutto nuova, quale quella di pensare in astratto, è certamente in contrasto con gli apparati determinatisi lungo la strada dell'evoluzione che imbrigliano e ritardano la formazione delle idee, configurano schemi e giudizi della mente che non è in grado (o non accetta) di prescindere definitivamente dagli antichi vincoli dell'origine conservandone la spinta non più opportuna.
Perciò nulla è accaduto realmente di diverso sulla Terra dal momento dell'origine della vita. Non solo l'animale e la pianta si conservano e si replicano nell'identico modo lungo le ere, ma anche l'uomo nei suoi fondamenti non muta: non ancora è avvenuto che il centro del cervello prendesse per sé il comando delle operazioni e conducesse esso stesso il gioco dell'evoluzione, senza lasciare più nulla al caso e a quella necessità di antica e non più valida utilità. Se, per davvero, il sistema nervoso centrale, date le sue potenziali e complesse attività astratte, assumesse il comando delle operazioni, allora tutto il mondo cambierebbe: gli schemi - i giudizi - secondo i quali la realtà è osservata e composta decadrebbero, la vita stessa perderebbe quell'importanza eccessiva di tipo concreto che si porta inscritta nei geni, dando l'avvio a un nuovo livello di civiltà, di conoscenza e d'affetto per i quali non sono necessarie l'esistenza e l'esperienza della cosa, della realtà riempita di cosa che è espressione del nostro antico senso tattile e d'una postura non ancora definitiva (l'uomo è animale traballante). La realtà, come già scrissi nella Lettera precedente, si farebbe vuota e altra, infinitamente distaccata, libera della proiezione di quel soma e dei suoi apparati posturali e sensoriali che non appartengono più a una specie che s'è portata in uno stadio in cui hanno valore la distanza e la differenza, intessute d'una maglia fittissima di trame affettive e d'assenza.

Ribadiamo che nulla è realmente diverso da quanto finora comparso sulla faccia della Terra; tutto il mondo, con le sue forme e i suoi contenuti è, comunque, preselezionato dai meccanismi che stanno alla base del procedimento evolutivo e che sono al servizio della conservazione e della replicazione della vita, pressoché nell'identico modo come quando essa apparve sulla Terra. Non in modo dissimile si comporta l'apparato sessuale e istintuale dell'uomo, tuttora ancorato a quelle radici da cui non ha preso distacco definitivo; apparato che informa la vita psicosomatica fin dalla nascita e poi, via via, lungo tutte le età, riempiendo e 'saturando' lo spazio interno (ed esterno) di inibizioni, sintomi e angosce, tutte 'cosità' che appartengono al piano nominato 'inconscio', traccia tangibile d'un mondo non compiuto, con scarso grado d'astrazione e di 'nulla'.

 

Conclusioni.

La cura della Specie.

Caro lettore,
'pensare'
(2), allora, equivale a morire: ciò significa che allargare l'attività che pensa equivale ad aprire un varco in quella parte dell'oggetto che è la materia-soma in modo che in essa si faccia più ampio e profondo il tessuto (vuoto) dell'assenza. Dobbiamo considerare, anche, che finora s'è pensato - e s'è conosciuto - in modo ridotto e anomalo, con l'attività superiore della specie frammentata e frammentaria, con un'attività mentale non in grado di sopportare una condizione di complessità unitaria maggiore; con un pensiero che a stento legge una condizione sistemica, nella quale ogni elemento sia legato strettamente all'altro a formare una dimensione di larga estensione ed eventualmente di profondità e che, ulteriormente, abbia 'assenza', ovvero un buon livello d'astrazione, di 'vuoto'.
Una specie, quella umana, condannata a una sorta di schizofrenia, a causa non solo dei livelli inferiori su cui ancora poggia, ma anche a causa d'un'attività pensante mediocre, d'un'incapacità greve ad astrarre, a produrre pensiero senza l'oggetto di cui si pensa.
Il pensare umano è struttura troppo legata all'oggetto; non ha la disponibilità a pensare senza la rappresentazione, senza figurazione pertanto, e senza parola. Il pensare è vincolato al soma, è un sottoprodotto di quello, un accidente entro la natura che non ha accettato di ritirarsi e di lasciare il campo libero a ciò che è l'assenza: la mancanza di oggetto (fisico), la propensione a produrre un alcunché,
talmente simile a niente che con quello s'identifichi e proceda.
La realtà, perciò, che ci rappresentiamo quotidianamente è, per la sua maggior parte, proiezione per una parte d'origine inconscia e da un'altra parzialmente conscia che scaturisce da un io fisico, da un io che è racchiuso in un soma d'arcaica specie; è come intrappolato l'io non solo entro il corpo che lo riveste, ma anche a causa dell'obbligo di dover continuamente ribattere sé con il timore e l'angoscia di scomparire dalla scena della vita: l'io s'identifica nell'elemento che produce; ed è ancora 'io' e la realtà è quell'io, luogo di precaria abitabilità e astrazione, non essendo possibile il generarsi dell'Altro.
Allora non è più sufficiente un cammino per piccoli passi qual è stato quello fino adesso compiuto dalla Storia: occorre compiere un salto, fare luce su un nuovo livello su cui poggiare un nuovo processo maggiormente idoneo all'astrazione e alla comprensione di se medesimo e della realtà da esso stesso generata, qualora tutto ciò ancora sia necessario: non è detto, mio caro lettore, che pensare e produrre realtà siano oggetti di necessità; quest'azione, il suo prodotto sono figli della Storia di cui noi finora siamo stati artefici, ma quella Storia potrebbe terminare e non dare luogo a alcun'altra Storia; un nuovo livello pensante, astratto e vuoto, potrebbe voler dire un silenzio profondissimo e 'astratto': un silenzio vuoto e cosciente, posto oltre i limiti del tempo e dello spazio noti. Non lo sappiamo ancora, dal punto di vista degli oggetti storici e metastorici; ci stiamo introducendo per quella strada proprio adesso. 'Pensare niente' equivale a 'pensare oltre', oltre i confini che hanno reso concreta, ma non abbastanza oggettiva la realtà che s'è fatta in eccesso di cosa.
L'ideazione, quale facoltà di produrre l'atto pensante, è, secondo il nuovo punto d'osservazione, di tipo arcaico e poggia su strutture nervose non confacenti alla nuova condizione propugnata ed anche sperimentata.
Studiammo nelle prime fasi della ricerca i fenomeni concernenti l'inibizione, e in particolare, l'estinzione dei comportamenti susseguente all'apprendimento di compiti in animali da laboratorio. Ci interessavano le fasi che appena precedono l'estinzione e poi quella fase in cui l'animale ha definitivamente imparato a disapprendere e la curva della risposta s'è fatta piatta.
Per noi era fondamentale, come poi capimmo ancora meglio, il fenomeno della cessazione, piuttosto che non quello dell'eccitabilità prodotta da un rinforzo. Il leit-motiv del nostro procedere fu ed è quello di accedere al modo della conoscenza astratta nei luoghi più vicini e similari al livello dove compare lo zero, dove si rappresenta il nulla, ovvero dove la nientità disegna il campo (del niente).
E' proprio la nientità il nuovo modo di considerare lo spazio e l'essere, che si fanno vuoti e assenti, perché altro pensare (vuoto e nientificato) possa aprirsi un varco nella realtà ch'è invece fatta di cosa. Pensare in assenza significa anche l'azione, la condizione che sono analoghe in qualche misura a quelle che hanno origine dal pensiero finora esistito, che lo hanno generato e quotidianamente lo 'tengono in vita', ma che tuttavia sono (anche) altro da quello, essendo d'altro livello, d'altra astrazione, di qualità più ampia e di capacità ben maggiore di comprendere e assimilare (il vuoto, il niente).
Ci mettemmo subito dopo quei primi lavori sperimentali e teorici di laboratorio a studiare la condizione umana dal vivo: in particolare gli stati concernenti la psicopatologia d'una certa entità. Fu, fin dall'inizio, una posizione critica la nostra: rilevammo come l'attività umana in generale e quella mentale più specificatamente difetti di gradi di libertà e di coscienza maggiormente avanzati di quelli che finora si sono manifestati e come sia un errore grossolano e maldestro da parte della ricerca e della cultura, e dell'uomo in genere, ritenere che la condizione umana sia unicamente quella che finora storicamente - filogeneticamente e ontogeneticamente - s'è manifestata, senza che sia insorto il dubbio metodologico - se non per qualche rara eccezione, ma non significativa se paragonata alla nostra posizione - che altro possa esserci di differente da quanto finora è stato. Non sia, cioè, manifesta una critica radicale del sistema dall'interno dello stesso, avendo rinunciato a ricorrere all'immaginario o a credenze di tipo religioso che proiettano una redenzione e una palingenesi alla fine del tempo o un cambiamento, per altro assolutamente marginale rispetto ai fenomeni da noi studiati, dopo la vita e la morte.
Avevamo l'idea d'accedere a un nuovo livello e d'osservarlo, sul quale disporre un nuovo campo d'osservazione e d'intervento idonei, sul quale indurre sblocchi, aperture entro il sistema uomo, fosse esso sano o più propriamente ammalato, d'una malattia che, come ci fu più chiaro successivamente, non appartiene al singolo individuo, neppure alla società, bensì all'intera sua specie. Lo stato psicopatologico non concerne unicamente il soggetto ammalato e le sue relazioni alterate, siano esse consce o inconsce, del mondo interno e tra questo e quello esterno, non esiste, insomma, malattia isolata da un contesto generale, esiste, invece, uno stato d'anomalia, di malattia complesso che ha origine dalle caratteristiche della specie, sia essa pensata come ente biologico o come ente astratto: lo stato patologico d'un soggetto è la condizione sintomatica d'uno stato di sofferenza più ampio e radicale che interessa la specie nella sua interezza e la realtà da essa costruita. Curare e condurre alla guarigione un individuo significa operare nella direzione d'una terapia di specie contemplando un processo molto più ampio di quello finora considerato: l'individuo che diviene consapevole e capace d'un nuovo livello dell'esperienza - come succedeva, anche se per un tratto di tempo limitato, con l'esperienza d'uno stato di nascita, tramite il metodo dell'Attivazione da noi inventato
(3) e che comportava la consapevolezza simultanea di più fenomeni dalle caratteristiche differenti e dai luoghi d'origine dissimili: affettivi, razionali, emozionali, con la messa in atto delle relazioni fini interne e contemporaneamente del rapporto di queste con l'esterno (fattosi interno nel modo più radicale) tramite una particolare verbalizzazione, con la capacità insieme di decisione e di arbitrio, in un sol atto (cosciente) - produce un cambiamento non solo entro il soggetto, ma entro le strutture profonde e difettose della specie, poiché s'è formato e ha preso luogo un nuovo livello capace di maggior sanità entro l'esperienza non solo del soggetto singolo, ma entro una struttura più generale e radicale, quella della specie, ed entro l'intera 'condizione di realtà' per il Teorema dell'Inclusione, già espresso nella Lettera precedente: opera, cioè, nella direzione di quel distacco di specie da noi descritto nella prima parte e auspicato.
Abbiamo cólto la simultaneità e l'interezza quali elementi d'osservazione degli infiniti modi della possibilità della nuova condizione: la consapevolezza simultanea razionale ed affettiva di più elementi distinti e di più luoghi è caratteristica del nuovo campo: è segnale di maggiore unitarietà del sistema ch'è complesso e finemente articolato rispetto alla tendenza alla frammentazione che è data dalla prevalente natura inconscia della specie per com'è stata finora.
La capacità di cogliere in un sol atto - e, per di più, vuoto e largo di codesto vuoto - la realtà che, in tal modo 'inclusa', si fa doppia e triplice
e più, e capace di autogenerarsi simultanea e distaccata in modo chiaro e trasparente, fuori dai vincoli dell'organismo sensoriale e percettivo di vecchia e superata specie, è segnale del nuovo. Allora la terapia dovrà muoversi nella direzione dell'acquisizione di ulteriori livelli di cultura e di conoscenza (del nuovo): mai sarà sufficiente al fine d'una guarigione - se cosi si può ancora parlare - l'interpretazione d'un sintomo o d'una manifestazione simbolica senza che sia premessa a ciò la possibilità effettiva d'un cambiamento radicale del sistema - che avviene tramite la sollecitazione e l'inveramento di quel livello ch'è sottostante e che s'apre all'assenza.
A nostro parere ha sempre meno senso operare sulla realtà, in generale, e in particolare nella cura delle malattie psicologiche e, con buona probabilità, anche di quelle somatiche che comportino un interessamento sistemico, senza tener conto del fatto che occorre cambiare il piano su cui intervenire perché il piano che si mostra occupato dal sintomo, imbibito dalla malattia, è 'saturo' e nulla mai potrà desaturarlo senza che vi sia un salto di livello, per il quale il campo soggettivo e intersoggettivo si faccia più ampio, astratto e sgombro grazie all'avverarsi di un alcunché che non ha occupazione e che è in grado, in quanto 'assente', di produrre maturazione nel e attorno al sistema cui sottostà.

Più parti ormai del discorso e dell'attività scientifica, artistica, musicale, tecnologica, filosofica, sociale fanno sì che la Storia pieghi dalla nostra parte: la direzione della ricerca è impostata sempre più alla costruzione di modelli che contengano la 'qualità', non più sacrificata sull'altare della quantità.
La realtà, così com'è, appare non più sufficiente, come d'altronde incompleta già apparve sul piano della religione e dell'immaginario fin dall'inizio dei tempi.
S'intendono proporre attualmente ulteriori significati e forme da dare alle cose, - alla realtà già nota s'appaia il sogno d'una realtà virtuale - una realtà che è come dematerializzata - vuota tattilmente e disposta in una condizione spazio temporale più libera ma soltanto all'apparenza, nel vacuo e vano sistema dell'immaginario - anche per tentare di rispondere in modo esplicito e tecnologicamente concreto all'eterna domanda: "Chi siamo, donde veniamo, dove andiamo?". Si va alla ricerca di nuovi universi e differenti civiltà nello spazio intergalattico, e sorge insistente il dubbio se altri esseri, di forma e di cultura differenti abitino il mondo.
I modelli della fisica teorica tendono al 'vuoto': le particelle primordiali divengono sempre più minuscole e imprevedibili, mentre attraversano istantanee lo spazio-tempo. Sono reali, sono frutti dell'artefatto? L'inizio dei tempi - l'orizzonte degli eventi - è più incerto, e come avvolto in una nuvola fatta di nulla che proviene da ciò che non è. La 'gabbia' teorica entro cui porre le equazioni che descrivono i fondamenti è rafforzata, fattasi ancor più complicata e come compressa, riempita di oggetti astratti non compiuti - le formulazioni matematiche e, in generale, quelle scientifiche, oggetti fortemente concreti, solamente rivestiti di concettualità, espressioni di vuoto mancato - , perché più campi differenti possano tra loro interagire e portare a un'unificazione delle forze iniziali. Spesso di fronte all'affollarsi e al sovrapporsi - all'affannarsi - di congetture e di equazioni atte a spiegare l'inizio del mondo e le sue conseguenze ci viene spontaneo di invitare colui che si prefigge tali compiti a pensare sotto il livello a cui normalmente pensa e esperisce, e, anche se per poco, avere l'esperienza d'un alcunché che anziché essere oggetto sia nulla, sia anticosa e antiuniverso - anti anticosa, anti antiuniverso - , e, anziché iniziare da una scala che partendo da zero, conti uno, due e così via, incominci a pensare e a enumerare come da un gradino inferiore, diversamente, sotto e oltre la soglia d'antico stampo, avendo prodotto in sé e fuori di sé uno scarto, anche se minimo, rispetto a quel luogo nel quale l'obsoleta e imperfetta natura della mente continua a spingere, in opposizione a quello spazio (vuoto) tanto più aperto, non gravato e non occupato da rumore, dove s'attua la regola della complessità unitaria - d'una realtà pluricomposita e assente, su più piani simultanei, vuoti e distinti, còlti in una dimensione consapevolmente unitaria - anziché esservi una tendenza alla frammentarietà e alla precarietà, dovute essenzialmente a una malriuscita e dispari relazione mente corpo, com'è quella nella fase attuale della specie.
Occorre che ciò che chiamiamo mente si prepari ad essere contenitore staccato dal corpo, ma da questo non scisso: s'inizi una condizione dell'assenza per la quale il corpo e la mente concentrati nell'identico luogo, più s'addentrino dando origine a un nuovo evento, come a una 'rivoluzione' (una rotazione completa di 360°), per la quale la mente è 'altra' dal corpo e lo comprende in 'astratto'.
L'attività pensante avrà così sciolto i suoi antichi legami mente corpo con il farsi astratta, capace di un'ideazione nuova che ha origine fuori del contesto dell'antico legame e - se così è possibile esprimerci - idonea a precederlo del tutto, anticipando l'Inizio della Storia. In tal modo ciò che erano il soma e la mente - costretti a un'unità mai riuscita - sono ora subordinati a un complesso più generale (vuoto) che li 'contiene in assenza', perfettamente da esso distaccati ed esso stesso distaccato (da tutto il resto e da se medesimo, ulteriormente).
Per ultimo confermiamo come il nuovo livello di cui stiamo scrivendo non sia poi così dissimile - anche se compiutamente altro: è un vero paradosso! - dal livello su cui nasce il pensiero ordinario, quello della specie attuale: questo è meno complesso, eppure della medesima sostanza; ma è limitato e timoroso, non sufficientemente astratto, con scarso e insufficiente respiro, non capace di sostituirsi a quell'attività (biologica) che è in modo preponderante occupata dalla vita e dalla morte, 'cose' dell'antica oppressione, luoghi privi della sufficiente 'passività', dello scarto necessario perché nasca l'attività pensante astratta in grado di sostituire in toto o quasi quell'attività vitale in abbondanza e 'concreta'.
Voglio inoltre aggiungere, come ritengo sia già sufficientemente manifesto, che l'uso da noi fatto di alcuni termini e di concetti è strettamente correlato al nuovo discorso da noi intrapreso e, pertanto, essi non occupano soltanto il luogo in cui solitamente sono fissati: noi li stiracchiamo, li sollecitiamo, ne istighiamo il senso, li dilatiamo, adattandoli alle nostre esigenze. Come, ad esempio, l'uso da noi fatto del concetto d'astrazione è più ampio e libero di quello consueto: 'astrarre' per noi significa, come nel senso etimologico, distaccare, e nel senso ampio e profondo, trarre, come produrre l'essenza più 'vuota' e libera, tirare a sé massimamente l'essenza e il 'vuoto', per divenire un'assenza: una materia che sia cava, oltre se medesima fino al completo distacco. Astrarre, nel nostro caso, non è tanto luogo e strumento della simbolizzazione e della concettualizzazione, ma da queste ulteriormente si distacca, essendo la nostra nuova condizione della stessa sostanza del nulla, priva cioè di qualsiasi figurazione e rappresentazione (dall'altro lato di queste: dalla parte del nulla).
Con ciò, mio caro, ti saluto e chiedo venia per la densità e la lunghezza di questa mia Lettera; ma ritengo che fossero necessarie perché un tessuto di tal fatta emergesse; s'attuasse una struttura come puntilliforme, ma di forte e robusta consistenza, retta da proprie regole interne, tuttavia in accordo con quelle generali, al fine d'essere accettata e compresa; sufficientemente ampia e forte, per grandi sintesi, idonea a sostenere il nucleo - vuoto e ricco, d'altra radice e d'altra origine - di quanto sarà, a nostro giudizio, la Storia che è da venire.
Spero che qualche cosa, ovvero (un) nulla abbia fecondato almeno un poco la tua ideazione e conduca a svuotare quel mondo ch'è vecchio e pieno d'accumulo, negli uomini è ammalato.
E' da compiersi presto, se è possibile, almeno un passaggio: si dia la forma alla specie intermedia che volentieri si può chiamare homo abstractus a.(4) ; la specie dell'homo sapiens s. è logora e malandata, dev'essere sostituita perbene.

 

Con cordialità.

Paolo Ferrari
Centro Studi – Milano

(1) Monod J. "Il caso e la necessità". Milano, 1970
(2) 'pensare' sull'altro livello
(3) Il metodo è descritto a grandi linee nella Lettera precedente
(4) a. = abbreviazione che sta per 'abstractus'

 

*Nella Lettera appaiono diversi corsivi i quali sono posti dall'Autore non tanto per sottolineare un concetto rispetto a un altro, quanto, invece, per introdurre nella scrittura un'ulteriore variabile, una specie di movimento interno ad essa anche di tipo grafico che la faccia come ondeggiare, ora più aperta, ora più raccolta; ora in un tempo abbreviato, ora più allungato, inducendo una diversa 'consistenza' della scrittura secondo i criteri della nuova ragione allargata, la quale spesso provvede da se medesima a norme proprie, ma non arbitrarie, anche se non del tutto prevedibili secondo gli schemi consueti.