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Paolo
Ferrari
II Lettera-saggio sull'Assenza:
il distacco (l'oggetto astratto), la mente e la cura.
E' possibile, oggi, pensare all'umana specie come finita, in via d'estinzione
insieme con la sua Storia e le sue conoscenze, sottratta alla depressione
e dissociazione di cui è ammalata fin dall'Inizio, e sostituita
da un nuovo livello, una nuova capacità d'astrarre - il livello
zero, o dell'assenza - per il quale è viva la libertà
del pensare - un pensare non più soggetto alla cosa, non
costretto nell'ambito piatto e indecoroso d'un soma da cui derivò
per evoluzione animale, ormai conclusa, non più necessaria?
Il
Distacco di Specie.
Egregio lettore,
con questa mia lettera faccio seguito a quella già pubblicata
nel numero precedente di Zeta "Lettera-saggio sull'Assenza,
la realtà e la nuova scienza".
Porto a tua conoscenza le nuove considerazioni che scaturiscono
dal procedere della nostra ricerca che si amplia e si arricchisce
giorno dopo giorno; come se ci muovessimo con una marcia d'avvicinamento
a dati e fatti sempre più inseriti nell'evidenza - nel luogo
dell'osservazione e dell'esperienza ordinarie - essendo partiti
a dare forma e linguaggio da un punto lontanissimo, da un 'distacco
all'infinito' - come definisco in altro scritto tale luogo - , in
modo che di tali fatti, ora più vicini - senza nulla perdere
di quel distacco - si possa dire in modo nuovo, radicalmente diverso
da come fino a ora s'è pensato ed esperito.
Il pensare per Assenza o in Assenza non è semplicemente lo
spostamento d'un punto di vista, un luogo diverso da cui osservare
il mondo e la realtà tutta, analogamente agli spostamenti
che si sono avuti nel cammino della storia e delle idee nuove. Ciò
che stiamo proponendo equivale a un salto; un livello diverso e
di qualità più alta, più complessa, sul quale
porsi, ovvero del quale essere parte e di qui incominciare a osservare
con mezzi e in condizioni dissimili, altre rispetto a come fino
a ora s'è proceduto.
Lo stesso sistema nervoso diciamo essersi modificato insieme con
la sua attività principale che è quella di produrre
condizioni mentali e ideative al fine d'un pensare; esso poggia
su un nuovo gradino e l'idea da cui esso deriva nasce in modo molto
più rapido e preciso che non nel vecchio sistema. In più,
l'atto con cui l'ideare prende forma, l'atto della mente e quello
del pensare, insomma l'atto tramite cui s'origina quella nuova entità
(anti cosa) che abbiamo chiamato pensiero, e il pensiero astratto,
in particolare, simbolo e vanto della specie homo sapiens, nascono
in un luogo, in una condizione ch'è vuota e aperta, privi
d'immagine e di parola che, solo all'occorrenza saranno aggiunte
al fine di specificare una delle realtà possibili al mondo,
ammesso che di tale specificazione, realtà e mondo occorra
tener presente. La mente, l'idea, l'atto pensante, essendo vuoti,
pure disposizioni, senza oggetto, hanno la caratteristica
d'essere della stessa sostanza del nulla - del nulla vuoto
e aperto, diverso da quello terrifico e senza senso cui la specie
umana è abituata - e, così, liberi dai vincoli che
le immagini e i simulacri della realtà - fisica e astratta
- e dell'io - l'io fisico e spirituale - comportano, concorrono
alla formazione d'uno spazio e d'un tempo diversi da come finora
sono stati nel vivere e nel pensare dell'umana specie.
E non solo il pensare, l'ideazione e la mente appartengono al nuovo
livello, il livello dell'Assenza - un luogo aperto e vuoto ed essi
stessi aperti e vuoti - ma la vita stessa, l'organismo biologico
in generale, con le sue funzioni adatte allo sviluppo della vita,
divengono d'altra specie, d'altra qualità.
Si può osservare che gli organismi biologici, in generale,
compreso quello umano, si sono andati costruendo nei vari passaggi
della filogenesi, e per una certa analogia nell'ontogenesi, nelle
loro componenti morfologiche e funzionali in modo simmetrico all'adattamento
dell'organismo all'ambiente. E' noto che lungo le varie tappe evolutive
si sono selezionate quelle forme e quelle funzioni che sono risultate
essere le più idonee alla conservazione e allo sviluppo della
vita. Il procedere evolutivo, fino a ora, s'è mosso secondo
una linea, talvolta costante, talvolta interrotta da brusche soluzioni
di continuità, con repentini salti, secondo il principio
della selezione, scartando quegli individui, quelle forme e quelle
funzioni che non fossero risultate essere d'utilità per la
conservazione della vita della specie. L'evoluzione s'è fatta
nelle lunghissime ere per mezzo della selezione delle forme e delle
funzioni secondo un principio che si può riassumere nei concetti
di 'caso e necessità', come lo espresse Monod (1):
a caso s'inseriscono negli organismi nuove forme e nuove funzioni,
nuovi livelli, aggiungiamo, e soltanto quelli che a una verifica
ambientale risultino essere idonei, i meglio adatti, si fissano
entro l'organismo e si tramandano nella specie.
Insomma, l'andamento evolutivo, con il conseguimento del perfezionamento
degli organismi adatti alla vita, a grandi linee, è quello
per cui avvenendo casualmente una modificazione all'interno d'un
organismo - una mutazione - tale nuovo evento sarà selezionato
e sarà conservato come parte integrante della struttura degli
individui di quella specie, entrerà a far parte del patrimonio
genetico soltanto se risponderà in modo adeguato, idoneo
alle condizioni dell'ambiente cui quel soggetto soggiace e appartiene.
E' questo il paradigma della formazione
delle specie e dei loro caratteri, valido per la maggior parte degli
scienziati e fino all'avvento della specie più complessa,
quella dell'Homo sapiens sapiens che, tramite il suo sistema
nervoso, ha inventato e imparato ad elaborare il linguaggio
astratto.
Relativamente alla via evolutiva che questa specie prenderà,
nulla in realtà si conosce: quanto la scienza dell'evoluzione
e della genetica - nuove scienze nate nel panorama generale, accanto
alle scienze più classiche, come la matematica e la fisica
- hanno prodotto, è, per grandi linee, quel che in precedenza
abbiamo illustrato: la selezione del più adatto ha sì
selezionato gli eventi biologici, ma, secondo la nostra opinione,
soltanto fino all'avvento della specie umana; di qui in poi nulla
della sua necessaria modalità d'evoluzione in realtà
si conosce. La specie umana ha acquisito la proprietà d'elaborare,
tramite la sua attività centrale, un fenomeno mai prima esistito
che è il cosiddetto pensiero astratto e che, dal nostro
luogo d'osservazione, può essere inteso come la capacità
di elaborare ed esperire una condizione differente da quanto
in precedenza espresso dalla vita: la specie umana ha acquisito
tramite la sua attività nervosa più sviluppata la
capacità d'astrarre che è, nella nostra accezione,
quella facoltà per cui è data la possibilità
di mantenere ed elaborare una relazione anche in mancanza (assenza)
sensibile (concreta) di uno dei suoi componenti. E' questa non solo
una facoltà, bensì una condizione generale che pone
la specie umana su un livello differente da ogni altra componente
dell'universo; abbiamo denominato tale condizione o livello come
'assenza': una sorta di luogo dove le relazioni sono possibili
in assenza (concreta) dell'oggetto della relazione. Perché
siffatta condizione abbia sviluppi e integrazioni ottimali occorre
che si verifichino alcune premesse necessarie - se così vogliamo
chiamarle - nell'organismo capace d'assenza. Perché la capacità
d'astrazione si attui, ovvero prenda luogo in un organismo biologico
ciò che chiamiamo 'mente astratta', occorre, come condizione
basilare, che da parte di quell'organismo pensante sia acquisita
la capacità, la facoltà del distacco; occorre
che entro la relazione capace d'assenza si faccia un nuovo livello:
il rapporto con l'oggetto sarà sviluppato anche in
assenza di quello, senza che venga perduta la componente
affettiva - quella più ampia e aperta, più astratta
e assente - tramite del rapporto medesimo - , una sorta di tessuto
invisibile e non concreto composto di fittissime maglie come
d'assenza, come vogliamo rappresentarlo.
Una delle situazioni in cui tale
condizione si rende più manifesta, almeno in alcune sue espressioni,
è quella della cosiddetta 'recisione del cordone ombelicale'
al momento della nascita del bambino. Il 'taglio' di cui si parla
non opera solamente nel campo della fisicità separando le
componenti somatiche del bambino e della madre, ma - ed è
ciò che a noi più interessa - tale separazione, se
fosse radicale, e affettiva, allo stesso tempo, indurrebbe una modificazione
irreversibile e fondamentale entro le maglie degli organismi psicobiologici
dei due componenti della relazione - in particolar modo negli equilibri
del sistema del bambino che è in via di organizzazione e
di trasformazione - , improntando di sé l'intera vita futura
di quello, segnando la sua capacità di generare un'attività
pensante astratta e affettiva, che è la capacità
di produrre una mente atta a elaborare cognizioni ed emozioni
ad alto contenuto di relazione. Certamente non è solo
quello il momento in cui si decide la vita d'un uomo, ma è
uno dei momenti topici in cui il generarsi di un distacco
entro le componenti d'una relazione molto stretta implica necessariamente,
perché la relazione sussista, che gli organismi facenti parte
della relazione inventino un nuovo modo d'essere insieme
e di scambiare, quello d'una relazione per assenza, in cui
la recisione d'un certo legame, invece che generare la cessazione,
l'estinzione della relazione, faccia mutare di livello
il sistema: occorre che in esso si modifichi il modo di porsi
del rapporto, da cui ha, così, origine un nuovo genere di
scambio, quello per assenza: i due componenti scambieranno
affetto e intelligenza, anche in mancanza (temporanea o definitiva)
di uno di loro. La relazione esisterà anche se è venuta
meno la sua parte più 'concreta' e immediata con la recisione
del cordone ombelicale, perché i due componenti si sono separati
avendo assunto la qualità di enti indipendenti, capaci
d'un rapporto su livelli più astratti.
La relazione ha cambiato di livello, se il passaggio è
avvenuto in modo congruo: s'è messo in gioco un grado
di maggiore finezza, di maggiore astrazione. La madre e il bambino
scambieranno su un livello che è campo di più lieve,
intensa e consapevole affettività, in cui sono precisate
e valorizzate le due individualità, ora non più 'fuse'
in un unico insieme pressoché indistinto.
All'atto della separazione, qualora ciò avvenisse nel modo
ottimale, s'attuerebbe un nuovo livello, una nuova componente
della relazione che è l'assenza, luogo (assente) del
distacco, capace d'integrare il nuovo evento in un
dominio di maggior grado e qualità d'espressione rispetto
a quel mondo, per lo più, a circolazione chiusa che costituiva
la base del rapporto intrauterino.
S'è verificata, così, con la nascita d'un nuovo individuo
della specie, ciò che indichiamo come capacità d'elaborazione
in assenza, una condizione peculiare che esprime il manifestarsi
d'un nuovo livello della relazione e della vita: una sorta di tessuto
capace di assenza, d'astrazione e di 'vuoto', dell'analoga
composizione di quello che è nostra intenzione indurre anche
con questo nostro scrivere qualora sia cólto nella sua interezza
e articolazione (assenti). A questa prima separazione che, in verità,
purtroppo non è radicale a causa - come più avanti
meglio spiegheremo - dello stato d'immaturità della specie
attuale, seguiranno nella vita d'un uomo altri tentativi di separazione
e di distacco, più o meno riusciti che più o meno
drammaticamente segneranno il suo destino.
Caro lettore,
come già da adesso puoi constatare, la vita d'un uomo si
concentra tutta in alcuni tratti brevissimi della sua esistenza;
addirittura in un sol atto, in una sola verbalizzazione (ben articolata
e profonda), come ero solito dire quando mi occupavo di quel metodo,
di cui s'è scritto nella precedente lettera, da me scoperto
e nominato 'Attivazione'. E' un metodo clinico e conoscitivo che
conduce in modo diretto al centro dell'essere, entro l''assenza'
di questo, addirittura scoperchiando un livello dell'esistenza nel
quale anche la scansione del tempo ordinario cessa di battere.
Affermiamo che quanto è
più radicale il distacco e, allo stesso tempo, affettivo
- capace d'un 'tessuto d'assenza' (astrazione affettiva) tra i componenti
della relazione - tanto più ci sarà la possibilità
di realizzare un campo aperto, fatto anch'esso di vuoto e d'assenza,
entro cui disporre l'organizzazione biologica - la vita - che s'avvarrà,
in tal modo, d'un luogo, d'un campo di realtà più
consoni allo stadio cui la specie umana è giunta dopo il
lungo e complesso cammino dell'evoluzione.
Allora il luogo del distacco è equivalente a un luogo
della mente; quanto più il distacco sarà accettato
e sarà radicale (e affettivo), tanto più la componente
mentale sarà profonda e capace di generare al mondo quel
linguaggio astratto, quella capacità della ragione
e dell'affetto che ad essa sono congrui, dato il livello nuovo della
specie. Ma ciò non basta: il distacco, di cui parliamo,
il piano dell'assenza, dove il linguaggio evidente tace e
si manifesta il silenzio capace d'una condizione più
astratta, meno legata al soma di antica e superata origine, ben
raramente sono compiuti; è vero, piuttosto, che quei legami
a basso contenuto d'astrazione, legati al soma piuttosto che al
pensiero affettivo, dominano la natura della specie, la quale,
oltretutto, dipende ancora dalla specie animale da cui deriva.
Il distacco - il legame (astratto) per assenza - è
scadente non solo tra un componente e l'altro della stessa specie,
ma la stessa specie è incapace d'un distacco più radicale
che la ponga fuori e oltre quella natura sorpassata non più
ad essa pertinente.
C'è da tener presente che
il tópos del distacco è soltanto uno dei possibili punti
di partenza da cui incominciare a osservare e, possibilmente, a
comprendere la nuova condizione, di cui vogliamo porre l'esistenza.
Ci sembra che nella specie pensante sia proprio carente l'attività
sua più specifica, il pensiero in generale, quello
astratto in particolare, che è relegato come in un
angolo, racchiuso in una scatola dalle proporzioni limitate, sovrastato
e compresso dagli apparati somatici improntati alla necessità
del soddisfacimento dei bisogni primordiali - la fame, il sonno,
il sesso - , così come avveniva nel tempo in cui la vita
era soggetta alle leggi della conservazione e della replica, pena
la sua estinzione, ovvero il 'timore' ad essa connaturato di tale
accadimento.
Lo sviluppo degli organi periferici, quali la vista, l'udito, il
tatto s'è attuato e affinato a quello scopo, a difesa e conservazione
dell'organismo, divenendo sempre più perfezionato, d'una
perfezione, però, che ben poco ha a che fare con le capacità
dell'attività superiore del sistema nervoso, le quali non
hanno bisogno granché dell'acutezza della vista, neppure
dell'udito iperspecializzato, dato l'indirizzo a prevalenza culturale
e ad avanzata tecnologia che, almeno in parte, la specie ha assunto,
avendo acquisito un movimento verso l'astrazione, anziché
fissarsi entro uno stato di concretizzazione com'è la condizione
alla base dell'arcaico sistema sensoriale e percettivo.
E' nostra opinione che l'apparato periferico sensoriale abbia preso
una strada che poco o nulla c'entri con l'attività nuova
del pensiero, in particolare con quella astratta, la cui
tendenza è quella di fare più 'vuoto', di produrre
maggiore spazio entro la realtà e di svilupparla nella direzione
non tanto della cosa, ma dell'assenza di questa.
La realtà è stata per millenni e millenni occupata
dalla 'cosità', che è l'oggetto 'concreto' di cui
la vita si serviva per i suoi bisogni immediati e per quelli filogenetici
come a posteriori possiamo osservare. Con l'avvento della nuova
specie, capace d'astrarre, nella realtà ha perso d'importanza
la dimensione della cosa, quella dell'oggetto d'uso dagli scarsi
e limitati orizzonti: ha acquisito, al suo posto, importanza una
nuova dimensione, quella culturale, in cui l'oggetto sempre
più s'è spogliato della sua parvenza materiale, divenendo
oggetto astratto, contenuto ricco di significato,
di astrazione con cui comunicare concettualmente.
La realtà, insomma, s'è come svuotata, facendo
a poco a poco sgombro il campo per un'attività
più articolata, meno improntata dall'oggetto concreto, più
libera e assente, ben differentemente da com'era nel periodo
in cui regnava ancora l'animale, prima che esso evolvesse nella
specie homo.
Ma la specie homo, come detto, non ha ancora accettato e sperimentato
realmente quel distacco che potremmo chiamare 'distacco di
specie': non s'è separata e non s'è disfatta definitivamente
dell'eredità da cui proviene e della quale porta in sé
tuttora il marchio di conservazione e di aggressività, che
non sono caratteristiche proprie dell'animale, sono bensì
della specie a quello succeduta che è rimasta come incompiuta
e scissa. Non solo il bambino appena nato non ha ancora appreso
a separarsi definitivamente e dal corpo e dalla psiche della madre
al momento della rescissione del cordone ombelicale, ovvero nelle
fasi successive quando il legame si ripresenterà stretto
e vincolante, occupando tutto lo spazio interiore (ed esterno) tramite
le fantasie pulsionali inconsce, ma la specie intera umana dipende
da quella precedente, non avendo 'accettato' di staccarsi
dal mondo animale, di cui conserva, nel profondo, paure, pulsioni,
reazioni primitive, perfino stati d'allucinazione che ne condizionano
la crescita perché il mondo animale non ha in essa cessato
d'esistere e, perciò, s'è aggregato e mescolato in
modo improprio alla nuova condizione, ingenerando uno stato di grave
anomalia e limitazione.
Soprattutto il mondo è fatto di cosa, non è
un universo astratto, vuoto, aperto, non è affatto
in armonia con le nuove attività pensanti da esso raggiunte
malgrado i tentativi volti alla liberazione dei vecchi legami della
specie nata dall'animale, che sono, come detto, coattivamente ambivalenti.
Se è vero che l'evoluzione ha operato per selezione, conservando
i caratteri necessari alla sopravvivenza, allora l'avvento d'un'attività
nervosa più fine e modulabile, l'acquisizione da parte dell'organismo
d'una facoltà del tutto nuova, quale quella di pensare
in astratto, è certamente in contrasto con gli apparati
determinatisi lungo la strada dell'evoluzione che imbrigliano e
ritardano la formazione delle idee, configurano schemi e
giudizi della mente che non è in grado (o non accetta)
di prescindere definitivamente dagli antichi vincoli dell'origine
conservandone la spinta non più opportuna.
Perciò nulla è accaduto realmente di diverso sulla
Terra dal momento dell'origine della vita. Non solo l'animale e
la pianta si conservano e si replicano nell'identico modo lungo
le ere, ma anche l'uomo nei suoi fondamenti non muta: non ancora
è avvenuto che il centro del cervello prendesse per
sé il comando delle operazioni e conducesse esso stesso il
gioco dell'evoluzione, senza lasciare più nulla al caso e
a quella necessità di antica e non più valida utilità.
Se, per davvero, il sistema nervoso centrale, date le sue
potenziali e complesse attività astratte, assumesse
il comando delle operazioni, allora tutto il mondo cambierebbe:
gli schemi - i giudizi - secondo i quali la realtà è
osservata e composta decadrebbero, la vita stessa perderebbe quell'importanza
eccessiva di tipo concreto che si porta inscritta nei geni,
dando l'avvio a un nuovo livello di civiltà, di conoscenza
e d'affetto per i quali non sono necessarie l'esistenza e l'esperienza
della cosa, della realtà riempita di cosa che è espressione
del nostro antico senso tattile e d'una postura non ancora
definitiva (l'uomo è animale traballante). La realtà,
come già scrissi nella Lettera precedente, si farebbe vuota
e altra, infinitamente distaccata, libera della proiezione
di quel soma e dei suoi apparati posturali e sensoriali che non
appartengono più a una specie che s'è portata in uno
stadio in cui hanno valore la distanza e la differenza,
intessute d'una maglia fittissima di trame affettive e d'assenza.
Ribadiamo che nulla è realmente
diverso da quanto finora comparso sulla faccia della Terra; tutto
il mondo, con le sue forme e i suoi contenuti è, comunque,
preselezionato dai meccanismi che stanno alla base del procedimento
evolutivo e che sono al servizio della conservazione e della replicazione
della vita, pressoché nell'identico modo come quando essa
apparve sulla Terra. Non in modo dissimile si comporta l'apparato
sessuale e istintuale dell'uomo, tuttora ancorato a quelle radici
da cui non ha preso distacco definitivo; apparato che informa
la vita psicosomatica fin dalla nascita e poi, via via, lungo tutte
le età, riempiendo e 'saturando' lo spazio interno (ed esterno)
di inibizioni, sintomi e angosce, tutte 'cosità' che appartengono
al piano nominato 'inconscio', traccia tangibile d'un mondo non
compiuto, con scarso grado d'astrazione e di 'nulla'.
Conclusioni.
La cura della
Specie.
Caro lettore,
'pensare' (2), allora, equivale
a morire: ciò significa che allargare l'attività
che pensa equivale ad aprire un varco in quella parte dell'oggetto
che è la materia-soma in modo che in essa si faccia più
ampio e profondo il tessuto (vuoto) dell'assenza. Dobbiamo considerare,
anche, che finora s'è pensato - e s'è conosciuto -
in modo ridotto e anomalo, con l'attività superiore della
specie frammentata e frammentaria, con un'attività mentale
non in grado di sopportare una condizione di complessità
unitaria maggiore; con un pensiero che a stento legge una condizione
sistemica, nella quale ogni elemento sia legato strettamente all'altro
a formare una dimensione di larga estensione ed eventualmente di
profondità e che, ulteriormente, abbia 'assenza', ovvero
un buon livello d'astrazione, di 'vuoto'.
Una specie, quella umana, condannata a una sorta di schizofrenia,
a causa non solo dei livelli inferiori su cui ancora poggia, ma
anche a causa d'un'attività pensante mediocre, d'un'incapacità
greve ad astrarre, a produrre pensiero senza l'oggetto di cui si
pensa.
Il pensare umano è struttura troppo legata all'oggetto; non
ha la disponibilità a pensare senza la rappresentazione,
senza figurazione pertanto, e senza parola. Il pensare
è vincolato al soma, è un sottoprodotto di quello,
un accidente entro la natura che non ha accettato di ritirarsi
e di lasciare il campo libero a ciò che è l'assenza:
la mancanza di oggetto (fisico), la propensione a produrre un alcunché,
talmente simile a niente che con quello s'identifichi e proceda.
La realtà, perciò, che ci rappresentiamo quotidianamente
è, per la sua maggior parte, proiezione per una parte d'origine
inconscia e da un'altra parzialmente conscia che scaturisce da un
io fisico, da un io che è racchiuso in un soma d'arcaica
specie; è come intrappolato l'io non solo entro il corpo
che lo riveste, ma anche a causa dell'obbligo di dover continuamente
ribattere sé con il timore e l'angoscia di scomparire dalla
scena della vita: l'io s'identifica nell'elemento che produce; ed
è ancora 'io' e la realtà è quell'io, luogo
di precaria abitabilità e astrazione, non essendo possibile
il generarsi dell'Altro.
Allora non è più sufficiente un cammino per piccoli
passi qual è stato quello fino adesso compiuto dalla Storia:
occorre compiere un salto, fare luce su un nuovo livello su cui
poggiare un nuovo processo maggiormente idoneo all'astrazione
e alla comprensione di se medesimo e della realtà da esso
stesso generata, qualora tutto ciò ancora sia necessario:
non è detto, mio caro lettore, che pensare e produrre realtà
siano oggetti di necessità; quest'azione, il suo prodotto
sono figli della Storia di cui noi finora siamo stati artefici,
ma quella Storia potrebbe terminare e non dare luogo a alcun'altra
Storia; un nuovo livello pensante, astratto e vuoto, potrebbe
voler dire un silenzio profondissimo e 'astratto': un silenzio
vuoto e cosciente, posto oltre i limiti del tempo e dello spazio
noti. Non lo sappiamo ancora, dal punto di vista degli oggetti storici
e metastorici; ci stiamo introducendo per quella strada proprio
adesso. 'Pensare niente' equivale a 'pensare oltre', oltre i confini
che hanno reso concreta, ma non abbastanza oggettiva la realtà
che s'è fatta in eccesso di cosa.
L'ideazione, quale facoltà di produrre l'atto pensante, è,
secondo il nuovo punto d'osservazione, di tipo arcaico e poggia
su strutture nervose non confacenti alla nuova condizione propugnata
ed anche sperimentata.
Studiammo nelle prime fasi della ricerca i fenomeni concernenti
l'inibizione, e in particolare, l'estinzione dei comportamenti susseguente
all'apprendimento di compiti in animali da laboratorio. Ci interessavano
le fasi che appena precedono l'estinzione e poi quella fase in cui
l'animale ha definitivamente imparato a disapprendere e la curva
della risposta s'è fatta piatta.
Per noi era fondamentale, come poi capimmo ancora meglio, il fenomeno
della cessazione, piuttosto che non quello dell'eccitabilità
prodotta da un rinforzo. Il leit-motiv del nostro procedere fu ed
è quello di accedere al modo della conoscenza astratta nei
luoghi più vicini e similari al livello dove compare lo
zero, dove si rappresenta il nulla, ovvero dove la nientità
disegna il campo (del niente).
E' proprio la nientità il nuovo modo di considerare
lo spazio e l'essere, che si fanno vuoti e assenti, perché
altro pensare (vuoto e nientificato) possa aprirsi un varco nella
realtà ch'è invece fatta di cosa. Pensare in assenza
significa anche l'azione, la condizione che sono analoghe in qualche
misura a quelle che hanno origine dal pensiero finora esistito,
che lo hanno generato e quotidianamente lo 'tengono in vita', ma
che tuttavia sono (anche) altro da quello, essendo d'altro livello,
d'altra astrazione, di qualità più
ampia e di capacità ben maggiore di comprendere e assimilare
(il vuoto, il niente).
Ci mettemmo subito dopo quei primi lavori sperimentali e teorici
di laboratorio a studiare la condizione umana dal vivo: in particolare
gli stati concernenti la psicopatologia d'una certa entità.
Fu, fin dall'inizio, una posizione critica la nostra: rilevammo
come l'attività umana in generale e quella mentale più
specificatamente difetti di gradi di libertà e di coscienza
maggiormente avanzati di quelli che finora si sono manifestati e
come sia un errore grossolano e maldestro da parte della ricerca
e della cultura, e dell'uomo in genere, ritenere che la condizione
umana sia unicamente quella che finora storicamente - filogeneticamente
e ontogeneticamente - s'è manifestata, senza che sia insorto
il dubbio metodologico - se non per qualche rara eccezione, ma non
significativa se paragonata alla nostra posizione - che altro possa
esserci di differente da quanto finora è stato. Non
sia, cioè, manifesta una critica radicale del sistema
dall'interno dello stesso, avendo rinunciato a ricorrere all'immaginario
o a credenze di tipo religioso che proiettano una redenzione e una
palingenesi alla fine del tempo o un cambiamento, per altro assolutamente
marginale rispetto ai fenomeni da noi studiati, dopo la vita e la
morte.
Avevamo l'idea d'accedere a un nuovo livello e d'osservarlo, sul
quale disporre un nuovo campo d'osservazione e d'intervento idonei,
sul quale indurre sblocchi, aperture entro il sistema uomo, fosse
esso sano o più propriamente ammalato, d'una malattia che,
come ci fu più chiaro successivamente, non appartiene al
singolo individuo, neppure alla società, bensì all'intera
sua specie. Lo stato psicopatologico non concerne unicamente
il soggetto ammalato e le sue relazioni alterate, siano esse consce
o inconsce, del mondo interno e tra questo e quello esterno, non
esiste, insomma, malattia isolata da un contesto generale, esiste,
invece, uno stato d'anomalia, di malattia complesso che ha origine
dalle caratteristiche della specie, sia essa pensata come ente
biologico o come ente astratto: lo stato patologico d'un soggetto
è la condizione sintomatica d'uno stato di sofferenza
più ampio e radicale che interessa la specie nella sua
interezza e la realtà da essa costruita. Curare e condurre
alla guarigione un individuo significa operare nella direzione d'una
terapia di specie contemplando un processo molto più
ampio di quello finora considerato: l'individuo che diviene consapevole
e capace d'un nuovo livello dell'esperienza - come
succedeva, anche se per un tratto di tempo limitato, con l'esperienza
d'uno stato di nascita, tramite il metodo dell'Attivazione
da noi inventato (3) e che comportava la consapevolezza simultanea di
più fenomeni dalle caratteristiche differenti e dai luoghi
d'origine dissimili: affettivi, razionali, emozionali, con la messa
in atto delle relazioni fini interne e contemporaneamente del rapporto
di queste con l'esterno (fattosi interno nel modo più
radicale) tramite una particolare verbalizzazione, con la capacità
insieme di decisione e di arbitrio, in un sol atto (cosciente) -
produce un cambiamento non solo entro il soggetto, ma entro le strutture
profonde e difettose della specie, poiché s'è formato
e ha preso luogo un nuovo livello capace di maggior
sanità entro l'esperienza non solo del soggetto singolo,
ma entro una struttura più generale e radicale, quella della
specie, ed entro l'intera 'condizione di realtà' per
il Teorema dell'Inclusione, già espresso nella Lettera precedente:
opera, cioè, nella direzione di quel distacco di specie
da noi descritto nella prima parte e auspicato.
Abbiamo cólto la simultaneità e l'interezza quali
elementi d'osservazione degli infiniti modi della possibilità
della nuova condizione: la consapevolezza simultanea razionale
ed affettiva di più elementi distinti e di più
luoghi è caratteristica del nuovo campo: è segnale
di maggiore unitarietà del sistema ch'è complesso
e finemente articolato rispetto alla tendenza alla frammentazione
che è data dalla prevalente natura inconscia della
specie per com'è stata finora.
La capacità di cogliere in un sol atto - e, per di più,
vuoto e largo di codesto vuoto - la realtà che, in tal modo
'inclusa', si fa doppia e triplice
e più, e capace di autogenerarsi simultanea e distaccata
in modo chiaro e trasparente, fuori dai vincoli dell'organismo
sensoriale e percettivo di vecchia e superata specie, è segnale
del nuovo. Allora la terapia dovrà muoversi nella direzione
dell'acquisizione di ulteriori livelli di cultura e di conoscenza
(del nuovo): mai sarà sufficiente al fine d'una guarigione
- se cosi si può ancora parlare - l'interpretazione d'un
sintomo o d'una manifestazione simbolica senza che sia premessa
a ciò la possibilità effettiva d'un cambiamento
radicale del sistema - che avviene tramite la sollecitazione
e l'inveramento di quel livello ch'è sottostante e che s'apre
all'assenza.
A nostro parere ha sempre meno senso operare sulla realtà,
in generale, e in particolare nella cura delle malattie psicologiche
e, con buona probabilità, anche di quelle somatiche che comportino
un interessamento sistemico, senza tener conto del fatto che occorre
cambiare il piano su cui intervenire perché il piano che
si mostra occupato dal sintomo, imbibito dalla malattia, è
'saturo' e nulla mai potrà desaturarlo senza che vi sia un
salto di livello, per il quale il campo soggettivo e intersoggettivo
si faccia più ampio, astratto e sgombro grazie all'avverarsi
di un alcunché che non ha occupazione e che è in grado,
in quanto 'assente', di produrre maturazione nel e attorno al sistema
cui sottostà.
Più
parti ormai del discorso e dell'attività scientifica, artistica,
musicale, tecnologica, filosofica, sociale fanno sì che la
Storia pieghi dalla nostra parte: la direzione della ricerca è
impostata sempre più alla costruzione di modelli che contengano
la 'qualità', non più sacrificata sull'altare della
quantità.
La realtà, così com'è, appare non più
sufficiente, come d'altronde incompleta già apparve sul piano
della religione e dell'immaginario fin dall'inizio dei tempi.
S'intendono proporre attualmente ulteriori significati e forme da
dare alle cose, - alla realtà già nota s'appaia il
sogno d'una realtà virtuale - una realtà che è
come dematerializzata - vuota tattilmente e disposta in una condizione
spazio temporale più libera ma soltanto all'apparenza, nel
vacuo e vano sistema dell'immaginario - anche per tentare di rispondere
in modo esplicito e tecnologicamente concreto all'eterna domanda:
"Chi siamo, donde veniamo, dove andiamo?". Si va alla
ricerca di nuovi universi e differenti civiltà nello spazio
intergalattico, e sorge insistente il dubbio se altri esseri, di
forma e di cultura differenti abitino il mondo.
I modelli della fisica teorica tendono al 'vuoto': le particelle
primordiali divengono sempre più minuscole e imprevedibili,
mentre attraversano istantanee lo spazio-tempo. Sono reali, sono
frutti dell'artefatto? L'inizio dei tempi - l'orizzonte degli eventi
- è più incerto, e come avvolto in una nuvola fatta
di nulla che proviene da ciò che non è.
La 'gabbia' teorica entro cui porre le equazioni che descrivono
i fondamenti è rafforzata, fattasi ancor più complicata
e come compressa, riempita di oggetti astratti non compiuti - le
formulazioni matematiche e, in generale, quelle scientifiche, oggetti
fortemente concreti, solamente rivestiti di concettualità,
espressioni di vuoto mancato - , perché più campi
differenti possano tra loro interagire e portare a un'unificazione
delle forze iniziali. Spesso di fronte all'affollarsi e al sovrapporsi
- all'affannarsi - di congetture e di equazioni atte a spiegare
l'inizio del mondo e le sue conseguenze ci viene spontaneo di invitare
colui che si prefigge tali compiti a pensare sotto il livello
a cui normalmente pensa e esperisce, e, anche se per poco, avere
l'esperienza d'un alcunché che anziché essere oggetto
sia nulla, sia anticosa e antiuniverso - anti
anticosa, anti antiuniverso - , e, anziché iniziare da
una scala che partendo da zero, conti uno, due e così via,
incominci a pensare e a enumerare come da un gradino inferiore,
diversamente, sotto e oltre la soglia d'antico stampo,
avendo prodotto in sé e fuori di sé uno scarto,
anche se minimo, rispetto a quel luogo nel quale l'obsoleta
e imperfetta natura della mente continua a spingere, in opposizione
a quello spazio (vuoto) tanto più aperto, non gravato e non
occupato da rumore, dove s'attua la regola della complessità
unitaria - d'una realtà pluricomposita e assente, su più
piani simultanei, vuoti e distinti, còlti in una dimensione
consapevolmente unitaria - anziché esservi una tendenza alla
frammentarietà e alla precarietà, dovute essenzialmente
a una malriuscita e dispari relazione mente corpo, com'è
quella nella fase attuale della specie.
Occorre che ciò che chiamiamo mente si prepari ad
essere contenitore staccato dal corpo, ma da questo non
scisso: s'inizi una condizione dell'assenza per la quale il
corpo e la mente concentrati nell'identico luogo, più s'addentrino
dando origine a un nuovo evento, come a una 'rivoluzione' (una rotazione
completa di 360°), per la quale la mente è 'altra' dal corpo
e lo comprende in 'astratto'.
L'attività pensante avrà così sciolto i suoi
antichi legami mente corpo con il farsi astratta, capace di un'ideazione
nuova che ha origine fuori del contesto dell'antico legame e
- se così è possibile esprimerci - idonea a precederlo
del tutto, anticipando l'Inizio della Storia. In tal modo ciò
che erano il soma e la mente - costretti a un'unità mai riuscita
- sono ora subordinati a un complesso più generale (vuoto)
che li 'contiene in assenza', perfettamente da esso distaccati ed
esso stesso distaccato (da tutto il resto e da se medesimo, ulteriormente).
Per ultimo confermiamo come il nuovo livello di cui stiamo scrivendo
non sia poi così dissimile - anche se compiutamente altro:
è un vero paradosso! - dal livello su cui nasce il pensiero
ordinario, quello della specie attuale: questo è meno complesso,
eppure della medesima sostanza; ma è limitato e timoroso,
non sufficientemente astratto, con scarso e insufficiente respiro,
non capace di sostituirsi a quell'attività (biologica) che
è in modo preponderante occupata dalla vita e dalla morte,
'cose' dell'antica oppressione, luoghi privi della sufficiente 'passività',
dello scarto necessario perché nasca l'attività
pensante astratta in grado di sostituire in toto
o quasi quell'attività vitale in abbondanza e 'concreta'.
Voglio inoltre aggiungere, come ritengo sia già sufficientemente
manifesto, che l'uso da noi fatto di alcuni termini e di concetti
è strettamente correlato al nuovo discorso da noi intrapreso
e, pertanto, essi non occupano soltanto il luogo in cui solitamente
sono fissati: noi li stiracchiamo, li sollecitiamo, ne istighiamo
il senso, li dilatiamo, adattandoli alle nostre esigenze. Come,
ad esempio, l'uso da noi fatto del concetto d'astrazione è
più ampio e libero di quello consueto: 'astrarre' per noi
significa, come nel senso etimologico, distaccare, e nel
senso ampio e profondo, trarre, come produrre l'essenza più
'vuota' e libera, tirare a sé massimamente l'essenza e il
'vuoto', per divenire un'assenza: una materia che sia cava,
oltre se medesima fino al completo distacco. Astrarre,
nel nostro caso, non è tanto luogo e strumento della simbolizzazione
e della concettualizzazione, ma da queste ulteriormente si distacca,
essendo la nostra nuova condizione della stessa
sostanza del nulla, priva cioè di qualsiasi figurazione
e rappresentazione (dall'altro lato di queste: dalla parte
del nulla).
Con ciò, mio caro, ti saluto e chiedo venia per la densità
e la lunghezza di questa mia Lettera; ma ritengo che fossero necessarie
perché un tessuto di tal fatta emergesse; s'attuasse una
struttura come puntilliforme, ma di forte e robusta consistenza,
retta da proprie regole interne, tuttavia in accordo con quelle
generali, al fine d'essere accettata e compresa; sufficientemente
ampia e forte, per grandi sintesi, idonea a sostenere il nucleo
- vuoto e ricco, d'altra radice e d'altra origine - di quanto sarà,
a nostro giudizio, la Storia che è da venire.
Spero che qualche cosa, ovvero (un) nulla abbia fecondato
almeno un poco la tua ideazione e conduca a svuotare quel mondo
ch'è vecchio e pieno d'accumulo, negli uomini è ammalato.
E' da compiersi presto, se è possibile, almeno un passaggio:
si dia la forma alla specie intermedia che volentieri si
può chiamare homo abstractus a.(4)
; la specie dell'homo sapiens s. è logora e malandata,
dev'essere sostituita perbene.
Con cordialità.
Paolo Ferrari
Centro Studi Milano
(1) Monod J. "Il caso e la necessità". Milano,
1970
(2) 'pensare' sull'altro livello
(3) Il metodo è descritto a grandi linee nella Lettera precedente
(4) a. = abbreviazione che sta per 'abstractus'
*Nella Lettera appaiono diversi
corsivi i quali sono posti dall'Autore non tanto per sottolineare
un concetto rispetto a un altro, quanto, invece, per introdurre
nella scrittura un'ulteriore variabile, una specie di movimento
interno ad essa anche di tipo grafico che la faccia come ondeggiare,
ora più aperta, ora più raccolta; ora in un tempo
abbreviato, ora più allungato, inducendo una diversa 'consistenza'
della scrittura secondo i criteri della nuova ragione allargata,
la quale spesso provvede da se medesima a norme proprie, ma non
arbitrarie, anche se non del tutto prevedibili secondo gli schemi
consueti.
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