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Paolo
Ferrari
INTERLUDIO
DELL'ASSENZA: un'infrastruttura (vuota), una via mediana
d'ausilio e svelamento perché la lingua dell'Assenza nuova
sia raccolta (e pensata) e, nel giusto tempo, eventualmente parlata
In codesto numero
di Zeta ho deciso di porre un intervallo - l'Interludio dell'Assenza
-, un'infrastruttura (vuota), una speciale meditazione -astratta*-
sulla lingua dell'Assenza che faccia da mediazione - una via intermedia
- che giustamente meni alla lettura e alla comprensione della scrittura
dei Saggi.
M'è sembrato opportuno rallentare il ritmo della serie, come
aprire un ulteriore varco perché la nuova espressione, la
lingua che differente si mostra - è altrimenti - ed
ha il compito di ribaltare nel modo intero l'idea secondo la quale
l'universo è pensato e vissuto - l'universo tout-court, nella
sua costituzione a fondamento - possa essere assimilata e, persino,
parlata nella sua condizione peculiare d'assenza.
Come già nei Saggi ho ampiamente esposto, il progetto avviato
differisce dalla sfera delle consuete interpretazioni relative alla
comprensione e alla conoscenza della realtà: esso è
impegnato sui fondamenti atti a modificare radicalmente - con lo
svuotare, l'annullare la realtà finora esistita, per mezzo
d'un nulla particolare, un nulla attivo e positivo, con l'astrarla
d'altra e più compiuta astrazione, mutando per intero le
condizioni di essere, vivere e morire, così come finora nella
storia evolutiva e culturale si sono non giustamente attuate, causa
la loro accentuata concretizzazione, risultato d'una mediazione
insufficiente - una troppo povera e caduca attività pensante
ed affettiva (astratta) della specie homo così come
fino ad ora s'è espressa per mezzo del suo apparato nervoso,
l'encefalo, ultimo nato.
A tale fine nasce una lingua nuova, dalle modalità inconsuete
d'espressione e di comunicazione: il significato si mostra e subito
si dilegua, il suono è avvertito e subito tace.
L'intero discorso, quando sia còlto giustamente, non lascia
tracce avvinghiate alla memoria consueta: alla fine tutto è
scomparso, tranne un'impronta aperta e astratta, grande quanto un
universo, silenziosa, appartenente a un livello come mai finora
s'era appalesato.
Ha origine un rapporto diverso tra chi legge e ascolta e il testo
ch'è scritto: non più l'accumulo delle cose ha significato,
non la loro immagine figurata; si scava (assente) un sostrato ch'è
nulla, un linguaggio privo del suo essere evidente: una lingua vuota
che ad altro appartiene: è dell'universo che non ha opposizione.
Ciò equivale ad anticipare gli inizi: la lingua si pone (è)
in anticipo rispetto alle cose delle quali pronuncia il nome
e comunica il senso.
Una lingua, allora, che si approfonda in (un) nulla, in quel nulla
attivo di cui ormai anche la scienza delle origini tratta.
Ma non solo è nulla la lingua, d'un nulla mai conosciuto,
d'un vuoto non esperito: il tessuto del ciclo di vita e di morte
è da mutare nel suo fondamento. La lingua a quel ciclo si
riferisce e ad esso risponde: allora, modificando quel senso, ponendolo
in un luogo più astratto, vivendo e morendo d'un vivere e
morire non identici alla cosa concreta, - una vita e una morte
che non siano oggetti, immagini d'una realtà proiettata
ubbidiente e non critica nei confronti dei parametri tramite i quali
gli uomini pensano, osservano e impongono dati e fatti-, è
possibile parlare e ascoltare una lingua dai princípi e dalle
pause inconsuete. Se tale mutamento avvenisse, anche l'oggetto di
cui la lingua tratta avrebbe radicale cambiamento. L'aver pensato
e parlato nel modo più aperto e astratto è nell'evoluzione
delle specie il principale segno con cui homo si manifesta,
specie distinta da ogni altra precedente grazie all'invenzione della
lingua astratta, articolata, parlata e cantata. E' anche la condizione
a fondamento per cui tale specie ha avuto origine e così
profondamente s'è differenziata, tanto da dar luogo a un
universo - quello del pensiero e della consapevolezza - mai prima
esistito.
S'è voluto nei nostri saggi come fondare un nuovo universo,
l'universo della lingua astratta-astratta, vuota e capace
d'includere il nulla e ogni tratto - il nulla (l'assente)
e ogni tratto (quanto s'è ritenuto giustamente o falsamente
esistente) -, nulla escluso, una condizione da sempre trattenuta
fuori e oltre la vita, al di là o al di qua della morte e
della coscienza.
Parlare e scrivere astratto-astratto è comporre la
vita dove non è, è astrarre la morte, diversa dall'essere
la morte concreta e manifesta. Dare, pertanto, origine a un intero
universo diverso da quello che l'io fisico e naturale ha prospettato,
accumulando cosa su cosa.
E' superare l'infelicità, inventando - generando - un mondo
mai nato, che sia l'intermedio, espressione d'una cultura
dell'assenza, del vuoto, perché la realtà così
com'è sia sostituita da una condizione diversa, non fissa,
non rigida, non riflessa da un io che non sa sentire, vedere, comprendere;
non è pronto ad esprimere affetto (astratto e concreto).
Qualora pensassimo e parlassimo una lingua al cui fondo non c'è
nulla - c'è (il) nulla: un nulla attivo e creatore, una lingua
che, pur parlando di cose, non s'esaurisse in queste e in esse non
s'identificasse -, la lingua non fosse un oggetto né il rimando
a qualcosa, non un simbolo, non suono né immagine e la parola
fosse talmente 'astratta' da non essere altro che un battere vuoto
e silenzioso atto al fare e disfare istantaneo del mondo e del niente,
e così fosse già antimondo, allora forse potrebbe
smuoversi la fissità eterna dei soggetti, scardinarsi e superarsi
la presenza di quell'io che ha imposto la legge d'un universo non
intero, e non vuoto, non capace d'una differenza e d'un distacco
sufficienti a che la realtà - la vita, la morte e l'universo
che da queste è sollecitato - potesse appartenere ad altro,
alla differenza, all'inclusione vasta, alla non necessità
compulsiva dell'esistenza e delle sua immanente e costrittiva concretizzazione.
Com'è, allora, una simile lingua? Quale rapporto intrattiene
con chi legge? Chi è che la scrive? In che modo la si riscrive
vuota** - essa si scrive di nuovo in assenza**?
A siffatte domande è pressoché impossibile dare una
risposta esauriente, perché, come ormai è noto, il
campo di cui esse trattano non è quello cui la cultura e
il pensiero umani sono abituati e abilitati nella fase attuale dell'evoluzione.
Perciò debbono essere prese e portate da un altro lato, oltre
la storia di vita e di morte.
Per rispondere ad esse debbo immergermi ulteriormente in una diversità
- paradossalmente entro un'uguaglianza più uguale che ci
sia - non nota all'attuale. Generare così dal di qua e dal
di là una trama del discorso e dell'idea tale da porre il
trait-d'union perché nulla** sia anche la cosa,
e la cosa, appena pronunciata o scritta, subito sparisca senza lasciar
traccia di sé evidente.
La lingua deve comunicare, ma anche subito sparire, mai occlusa
nella mente di chi ascolta e di chi legge.
Il mondo deve tacere; occorre sospenderlo non una, non due, diverse
volte prima di poterlo dire. E, nominato, mai di sé deve
coprire il foglio, mai deve ruotare - nel modo e nel tempo
consueti, quando si parla, si pensa, s'agisce in seconda battuta,
nel tempo imperfetto, fallace e concreto, così come di solito
esso è percepito ed elaborato -, non deve rigirarsi su se
stesso, non deve portare il suo riflesso, bensì il suo anticipare.
Allora ogni luogo è spostato d'un poco, una distanza infinita,
diversamente dal vincolo noto, ogni io è relativo, ogni parola
è senza accento, ovvero è appoggiata in un altrove
che non è l'evidenza del testo.
Anche l'enunciazione d'un principio non può restare; altrove
deve liberare la sua assenza, l'ubiquità di cui partecipare.
La scrittura è ovunque; non è qui; non è lì;
non è altrove; è assente, mancante pure di sé.
Gli enunciati non sono nel loro proporsi, niente sono: allora (sono)
qualcosa, tuttavia privati dell'oggetto del loro disporsi, della
cosa, del loro comunicare: dicono il loro principiare senza fissarsi.
Manca il soggetto e manca l'oggetto: il ritmo del tempo è
causato da relazioni non manifeste, mai pronunciate all'esterno.
Una complessa e 'vuota' simultaneità d'intenti, di parole,
di trasparenze e di spessori, di pronomi, di soppressioni o aggiunte
di verbi, di modificazioni sintattiche del tempo, di vibrazioni
e di accentuazioni in mezzo alla frase, d'indugi, accelerazioni
o sospensioni sul principiare e sul finire delle proposizioni principali
o secondarie, d'immissione di avverbi e congiunzioni in posti non
consueti, infine di veggenze in tempo simultaneo e futuribile e
assente, è ciò che mi sembra rendere possibile una
tessitura di tal tipo, così come me lo sta suggerendo l'indagine
quotidiana dei traduttori dell'équipe del Centro Studi che,
in modo sottile e acuto, coinvolto e coinvolgente, nel rispetto
del distacco che tale compito richiede, insieme con alcuni collaboratori
esterni, stanno lavorando da tempo al tentativo della traduzione
assente, o in assenza. E' possibile, mi fu domandato, tuttora
mi domando insieme con gli altri che stanno operando a tal fine,
tradurre in altre lingue ciò che nella lingua dell'Assenza
s'esprime, un nuovo livello del dire e del significare, del risuonare,
del vivere e del morire, una nuova lingua madre, capace e
paziente, sollecita e precisa - non tollera errori della coscienza
-, distaccata e capiente d'un contenitore senza bordi, né
fondi che facciano rumore, dalla forma e dal contenuto vuoti: ad
ogni istante l'intero e il particolare trasmutano, ogni opera e
pensiero esistono - se occorre che sia così - di nuovo e
in un nuovo linguaggio; ogni volta, a ogni lettura, a ogni pensiero
in rapporto essa s'annulla e ricomincia daccapo - ha un nuovo inizio
(una nuova fine) - così come chi con essa si coinvolge nella
giusta misura.
Mai la traccia rimane, a meno che chi legga e la pensi, di quella
si voglia appropriare e in una rudimentale scatola - la mente impropria
- la fissi per non lasciarsela scappare.
La lingua nuova s'approfonda entro il distacco, il più
ampio e acuto distacco che si sia mai realizzato: la madre - la
lingua madre - è disposta fuori del consueto contatto;
è coinvolta, coinvolgente, ma senza fusione. E' assente,
dell'assenza sensibile e astratta, non comunica per mezzo di 'cosa'.
Il discorso a nulla appartiene, se non alla relazione astratta -
una relazione senza legami - che con quella s'intrattiene.
Ma allora, è possibile tradurre un tal fatto? Si può
portare, senza ridurla, un'assenza tanto profonda e vitale sulla
sponda della lingua di cui si dispone e con cui si vuole parlare?
E' possibile traghettare senza perdere nulla, senza nulla disperdere,
lasciando silenzio dove si parla in tale eccezione?; la 'cosa' acconsente
a perdere il ruolo che le fu affidato, a recedere mansueta, senza
eccessivo scalpore dalla sua millenaria tirannide?
E' possibile tradurre una scrittura in presa diretta, pur intrecciata
da una mediazione infinita con l'attività nuova dell'ideare?
Alla fine, spesso non doma, essa segue, dopo un serrato e vibrante
lottare, senza esclusione di colpi, avendo imparato a sostenere
impavida e giustamente cava le vibrazioni infinitesime, le
pause e le sollecitazioni, le assenze, le astrazioni che sorgono
da un'idea che, vuota, ha sostituito per intero il soma compatto
e concreto.
Si compone di mille inizi, così come sono le possibili e
già attuate fini; è, tuttavia, già da subito
capace di terminare - è già pronta a finire al primo
istante - perché intera e vuota s'è costruita in un
tempo speciale - un tempo non tempo, una cavità entro cui
porre scavato il tempo consueto, pronto ad essere già oltre
il presente.
Alle domande suddette mi pare di poter incominciare a rispondere
che sì, è possibile, forse non nel modo globale; tuttavia
con una buona riuscita.
E' stato importante lavorare a stretto contatto con chi è
traduttore (in lingua francese, in lingua inglese).
E' necessario nel nostro caso e per il momento - siamo agli inizi
- che chi opera in tal senso abbia iniziato ad avere conoscenza,
qualche intuizione pure del nuovo livello del pensare e del suo
linguaggio: è importante che la seconda lingua appresa -
l'Italiano - si sia formata avendo nei suoi fondamenti il metodo
relativo dell'Assenza. E che codesto livello intrattenga buoni e
distaccati rapporti - consci e inconsci - con la lingua madre, prima
nata e appresa.
Darò, in altra sede, i risultati del suddetto lavoro, in
modo dovizioso e ampio, perché mi sembra che essi costituiscano
notevole interesse sia per quanto riguarda il campo specifico del
tradurre, sia, in senso più generale, per ciò che
concerne la scienza dell'astrazione.
Appare sempre più esplicito che il discorso che riguarda
la lingua e il suo completarsi s'addice bene, anzi è dello
stesso genere di quello della sanità mentale e fisica della
specie.
Tale concetto è legato a un'idea di vita e di morte, a una
loro condizione che non sono consone al grado d'evoluzione più
'astratto' in cui la specie già s'è inoltrata con
l'acquisizione del linguaggio articolato e capace di progetto.
Dato un sistema ammalato, in particolare di una malattia mentale,
è nostra esperienza quotidiana quanto sia necessario, anzi
indispensabile, introdurre in esso una quantità vasta e complessa
d'informazioni capaci di nuove relazioni, ricche d'intelletto e
d'affetto, perché la malattia, dopo moltissime resistenze
e irrigidimenti, accetti di cedere, lasciando il posto a un tessuto
più profondo e più sano rispetto a quello che il sistema
precedentemente possedeva.
La nostra ricerca, soprattutto di recente, ci porta a pensare che
ciò possa essere valido anche per quanto concerne la malattia
del soma, oltre che la malattia della mente o della psiche. Stiamo
lavorando attorno a un modello generale della malattia e della salute
più duttile, complesso e astratto, dalla forma e dai contenuti
più generali che tengano meglio conto del livello cui la
specie è approdata, dopo aver inventato il linguaggio astratto
e la cultura: in essa s'è così costruito il distacco
che ha scavato il solco della differenza. Quello è
troppo angusto, questa è insufficiente e non risolta: la
contraddizione è quotidiana relativamente allo stato naturale
dell'evoluzione da cui la specie proviene; la natura è luogo
rigurgitante di concretezza tanto onerosa quanto poco feconda e
insana per una specie che da quella ha iniziato a separarsi. La
specie homo sapiens s. è ammalata.
Aprire la strada a nuovi linguaggi; far abbassare la guardia con
la quale il soma e la mente finora si sono protetti seguendo un'idea
biologica ormai superata è il nostro progetto. Permettere
che un varco si faccia, perché una differenza - l'assenza
- si mostri entro cui comprendere la parola non pronunciata né
pensata, esclusa addirittura dal contesto di vita (e di morte),
è nostro intendimento: far sì che siano inclusi
entro la lingua della specie nuovi segnali, sentimenti, espressioni,
quelli d'un nulla che tende a farsi cosciente, è il
futuro probabile della specie se questa deve procedere nella direzione
già intrapresa da quando si scavò il linguaggio astratto
e la cultura conseguente. E' equivalente a comprendere un distacco
più aperto, a portare il tessuto della vita cosciente ad
accettare entro le maglie il dolore grandissimo di quel distacco
specifico che è insito entro il morire, quand'esso si faccia
materia 'astratta' pronta a far parte del vivere più ampio.
Astrarre la morte è importante, perché il territorio
che ad essa finora appartiene divenga luogo del pensiero: si facciano
questi corpo e mente vuoti a sufficienza perché la nuova
lingua, più aperta e libera, più vuota e astratta,
incominci a parlare senza ritrarsi di fronte al morire, finora senza
alcuna espressione che lo contenga e lo faccia parlare.
Voglio interrompere
per il momento un tale argomentare teorico che ci porterebbe assai
lontano e che riprenderemo nei prossimi saggi - è questo
un Interludio! -, per presentare alcuni aspetti della nostra ricerca
concernenti i linguaggi che solitamente vengono associati all'attività
detta dell'arte.
Li ritengo per ora una delle vie praticabili, una mediazione sufficientemente
valida al fine di tradurre in un modo intellegibile ed esperibile
la lingua astratta e vuota dell'Assenza nella lingua più
concreta e satura com'è quella attualmente pensata,
scritta e parlata dalla specie ancora incapace d'un'attività/passività
più matura e 'astratta'. Chiamai le opere nate dal nuovo
linguaggio, una volta scherzosamente "Trappole per umani", per esprimere
il fatto che di tutto facevo, moltissimi linguaggi andavo praticando,
perché, alfine, gli uomini, ritrosi e diffidenti quali sono,
si lasciassero prendere e incominciassero a trasmutare insieme con
me.
Presento la prima pagina disegnata e colorata - qui, in bianco e
nero - d'una raccolta musicale che sto preparando con l'aiuto dell'amico
pianista e collaboratore M° Carlo Balzaretti, primo interprete (oltre
me) della musica nuova: è un'Album astratto
per la Gioventù', fatto di brevi o brevissimi pezzi
astratti per pianoforte, semplici nel loro linguaggio esecutivo,
d'una certa complessità in quello dell'attività del
pensiero e dell'affetto (astratti).
Ci sembra opportuno che i giovani musicisti, il più presto
possibile, accedano al nuovo linguaggio dell'Assenza e da subito
apprendano a pensare la musica (e insieme con essa, la nuova condizione
di vita e di morte) nel senso più astratto e aperto, oltre
l'idea musicale fino ad ora dominante, troppo legata a una sensibilità
e a un'attività razionale concrete in eccesso, povere della
significazione più ampia e 'vuota'; abbiano così già
nel loro primo bagaglio culturale e musicale composizioni dalla
relazione complessa, astratta tra suoni (assente), distaccata
il più possibile - nella distanza, nella differenza all'infinito
- dai referenti fisici (dal timbro, dalle altezze, dal tempo, dalla
dinamica, eccetera).
Ritengo essere la musica, in particolar modo la Musica dell'Assenza,
luogo nel campo delle cosiddette arti nel quale si può esplicare
massimamente il linguaggio dell'Assenza, la lingua capace del nulla.
Già nella musica nota, quella detta classica o cólta,
talvolta anche in altre forme musicali, ad esempio, in quella orientale,
si può ascoltare ad un ascolto specifico un livello altro,
che molto s'avvicina a quello dell'Assenza.
L'ascolto deve disporsi in modo nuovo, essere vuoto, appartenere
a tale proprietà: occorre che l'ascoltatore sia perfettamente
nel silenzio astratto, dove i suoni si staccano da loro stessi,
le note e le relazioni tra di esse abbandonano i loro rapporti prefissati
da una lunghissima tradizione e dall'origine stessa del suono entro
la materia; la musica s'apre nei territori vuoti dell'Assenza insieme
con chi l'ascolta: entrambi, musica e ascoltatore sono astratti,
nel campo ch'è ora sgombro d'ogni istante del tempo, d'ogni
particella di spazio, d'ogni essenza e concrezione del suono. Appartengono
a una realtà più duttile e vuota, priva di quel suo
consueto divertimento sonoro - una sorta di rumore che talvolta
diviene musica - di cui solitamente è rivestita per apparire
al mondo diligente e dalla buona forma.
Ma tale luogo è per il momento osservabile e usufruibile
soltanto dall'osservatorio speciale in cui mi sono posto e dal quale
sto parlando e scrivendo: tópos dell'Assenza, del nulla,
dell'antimorte.
Così ho pensato di inventare, come mettere al mondo,
una musica particolare, la musica dell'Assenza, la quale risuonasse
già nel suo luogo speciale, senza che le occorresse liberarsi
di se medesima per accedere ad esso. Ho pensato a un linguaggio
musicale, le cui relazioni - intervallari, ritmiche, dell'altezza
e dei timbri udibili all'ascolto normale - fossero già 'astratte',
appartenessero, cioè, all'antimondo, fossero antisuoni,
antinote, antiritmi, in modo che in chi si ponesse in ascolto
con la giusta attenzione, ben disposto a permettere l'accesso nel
proprio sistema del nuovo, che è la lingua del nulla
e dell''assenza', potesse essere indotta in modo diretto la mutazione
nel sistema linguistico che in essi opera di consueto: una siffatta
musica introduce linguaggi e informazioni diversi dai dispositivi
sensoriali, percettivi e razionali noti e normalmente usati. I nuovi
linguaggi oltrepassano e si pongono più a fondo - su un livello
più 'astratto' e affettivo, altro da quello usuale,
come sostenendolo e raccogliendolo da sotto e anticipandolo
- non delle loro componenti fisiche - il timbro, l'altezza, il ritmo.
La musica dell'Assenza ha insito, date le nuove capacità
relazionali (assenti) che si generano fra le note, fra le altezze,
le intensità e le sue infinite modulazioni, pur nel breve
periodo, un nuovo livello d'informazione, vuoto, senza che
occorra astrarlo perché si manifesti.
Mentre nella musica consueta è possibile, talvolta, con un
procedimento particolare dell'ascolto capace di astrazione superiore,
raccogliere il livello che è nulla e ha (il) nulla
del suono, nella musica dell'Assenza ciò avviene in tempo
primo: il livello del nulla, in cui il suono, la lingua
sono altro, sono già di fatto operanti; basta ascoltarli
senza opposizione.
Presentiamo due riproduzioni in bianco e nero che rappresentano
due compact discs, contenenti composizioni della Musica dell'Assenza.
Essi sono stati registrati presso la sala di registrazione del nostro
Centro Studi, sito in Via Stromboli, 18, a Milano, e prodotti dallo
stesso, per ora in piccola serie, a scopo di studio. La sala di
registrazione ha un'acustica particolare, consonante con le variazioni
finissime, persino con quelle che s'attuano nella differenza del
pensare per assenza, oltre la sensibilità ordinaria dell'udito
e del pensiero consueti.
Il primo contiene brani della suddetta musica da me composti alla
fine del '93; sono composizioni per pianoforte semplice (in un sol
luogo, in un sol tempo complessi), per pianoforte raddoppiato (in
più luoghi, in più tempi simultanei) e per pianoforte
e sintetizzatori.
Il secondo è dedicato quasi interamente al 'Raddoppio': è
questa una tecnica compositiva alla base della polifonia occidentale
e consiste nella duplicazione simultanea d'un suono o di una melodia
all'unisono o secondo intervalli prestabiliti.
Nella Musica dell'Assenza tale tecnica diviene invece situazione
compositiva autonoma e specifica, essendo la seconda linea musicale
- il secondo livello (della musica) dell'Assenza - che risuona simultaneo
alla prima, non una semplice duplicazione della prima - evento sonoro
subalterno -, ma composizione completa e definita essa stessa generatasi
in modo vieppiù 'astratto' e vuoto nella simultaneità
che si instaura con il risuonare del primo livello (della musica)
dell'Assenza.
Ciò induce un ulteriore grado dell'Assenza, essendosi realizzato
un campo simultaneo a più voci 'vive' e assenti, tale da
aprirsi a una profondità in precedenza non esistita, perciò
mai udita.
Una tale forma compositiva è stata usata anche per il poema
"Europa, o l'Assenza".
Sia il pezzo per pianoforte iniziale che fa da apertura, sia il
poema sono costituiti da due livelli astratti e vuoti, 01 e 02,
capaci di generare campi dell'Assenza che in sé costituiscono
quella differenza opportuna perché il ciclo di vita e di
morte muti nelle sue relazioni a fondamento, troppo concrete fin
dal loro principiare.
Un'ultima notizia: mi sembra d'aver finalmente risolto un
enigma la cui soluzione mi stava a cuore.
Sul lato destro della mia stanza da lavoro, dove principalmente
svolgo la mia attività di terapeuta, sul piano chiaro e lucido
d'una cassettiera è appoggiata da anni una 'sconfitta': chiamo
così una particolare serie di espressioni dell'arte pittorica
e scultorea, da me fatte tra l''84 e l''86: esse significano la
sconfitta dell'essere, con l'iniziale apertura alla via dell'assenza.
Alla base di quest'opera sta scritto: "La malattia della specie".
(L'angolo del mio studio con la 'Sconfitta' è qui riprodotto
in fotografia).
Da quella posizione in tutti questi anni non l'ho mai mossa; spesso
mi domandavo perché non mi decidessi a spostarla; amo cambiare
di posto e sostituire continuamente i miei lavori, perché
la loro relazione con me e con lo spazio del Centro Studi segna
l'iter che insieme col nuovo livello dell'Assenza sto compiendo.
Mi rispondevo che non dovevo ancora farlo e che, poi, avrei capito.
Finalmente, l'altra sera, così è stato. Dopo aver
completato quasi l'Interludio qui presentato e dopo che avevo portato
a termine il Seminario che mensilmente ho con gli studenti e ricercatori
impegnati nel nuovo campo dell'attività pensante, ho capito
che quell'opera, la 'sconfitta' dal nome: "La malattia della specie",
si riferisce a quanto andavo scoprendo da ultimo.
Nessuna delle malattie da me prese in considerazione - dalla schizofrenia
al tumore - ha un ruolo così importante nella specie da condizionarla
in modo radicale, come la malattia che io chiamo 'morte concreta,
o morte autistica'.
La specie non ha ancora appreso a morire nel modo più consono
e sano per essa; non conosce e non esperisce una morte più
astratta e silenziosa, così come dovrebbe mostrarsi con l'accadere
della 'mors abstracta', da noi così nominata.
Homo sapiens muore d'una morte tuttora simile a quella delle
altre specie naturali, pur essendo egli consapevole, almeno in parte,
di tale evento, a differenza di ogni altro vivente.
Egli è sottoposto a un siffatto ciclo e, così passivo,
non s'apre a un possibile nuovo approccio, all'accettazione più
partecipe d'un morire cosciente, perché il cessare
non sia soltanto un finire incosciente.
Egli non opera per ora consapevolmente perché si generi,
oltre l'attuale, un campo più vuoto e incavato nel soma,
perché l'assenza - la mente, il pensare più astratti
- possa disporsi e la specie decisamente si stacchi da quel tema
concreto di vita e di morte, cui tuttora si stringe, forse perché
timorosa, acritica, ignara, per lo più, d'un possibile nuovo
balzo che le appartiene e che la farebbe certamente più sana
e meno infelice.
*
I termini 'astratto, astrarre' assumono nei nostri scritti un significato
peculiare: come scavare entro, fare più assente e vuoto,
meno saturo, meno occupato da cosa ciò cui si riferisce.
Quest'ultimo perde la traccia dell'essere 'cosa' e incomincia a
ruotare, svuotandosi e spostandosi verso il lato dell'Assenza.
Vedere anche i numeri 21/22, 23/24 e 25/26 di Zeta.
**
Le parole 'assente', 'nulla', 'vuoto', 'astratto' sono sinonimi
dal particolare campo espressivo e semantico: tutti stanno dallo
stesso lato, quello dell'Assenza, del nulla. Differiscono l'un l'altro
per il fatto di disporsi in modo non uguale e ripetitivo, inducendo
'campi' di relazioni a spessore e significato variabili entro il
discorso e la realtà che nuovi vanno componendosi a mano
a mano che si procede dall'Assenza più vuota e astratta.
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