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III
Saggio sull'Assenza:
un approccio non noto alla differenza dal ciclo di vita e di morte
consueto
Con il nuovo saggio che qui presentiamo
- il III sull'Assenza - vogliamo ulteriormente coltivare il campo
che a tale condizione appartiene, perché essa più
comprensibile, chiara, duttile e accogliente alla specie dell'uomo
attuale si mostri -il tessuto si faccia e, simultaneamente, sparisca
-, e la proprietà che ne deriva - l'essere meno, l'essere
vuoto, il niente e l'assentarsi, il distacco estremo senza morirne
- meno ostica risulti al senso storico ed evolutivo, al paradigma
scientifico e sociale, per ora, dominanti. Così, con il farsi
e il non farsi, con l'essere e il non essere ci conduca dove la
vita ha ancora da principiare e la morte - così come di consueto
si presenta - cessi di porre il suo tratto di cancellazione tanto
imperfetto e vacuo da ingenerare il timor panico negli uomini da
sempre.
Della realtà quasi infinite
interpretazioni si sono date, provate e riprovate lungo il corso
dei secoli della storia, e ancora se ne daranno fintantoché
il pensiero umano sarà quello che da sempre è e non
diversamente s'originerà, essendosi ruotato e mutato nei
fondamenti.
E' d'altronde indispensabile, secondo
i nostri assunti, che la realtà - il mondo delle cose e il
pensiero che le presuppone - si presenti con una così ampia
e varia gamma di possibilità, sia pure parziali, non definitive,
perché in essa in tal modo ci si possa muovere, la si possa
sperimentare, rinnovare, forse, e in essa ci sia lo spazio per respirare,
vivere e, anche, morire. Se la realtà e l'attività
pensante che la presuppone fossero ancora più rigide e ottuse,
maggiormente strette e striminzite di quanto quotidianamente siano,
se gli oggetti del mondo e della conoscenza fossero meno numerosi,
se la molteplicità fosse ridotta, allora il dolore della
vita sarebbe ancora più cupo, la prigionia più asfissiante
per la specie homo sapiens s. che di quella realtà
si nutre e della quale, giorno dopo giorno, saggia il contenuto
e, in parte, lo costruisce, ribadendone flebili il senso e il fondamento.
L'umana specie è infaticabile: senza requie, mattone su mattone,
con costruzioni e distruzioni, con ripensamenti, distorsioni, slanci,
regressioni e, talvolta, con faticose decisioni muove la Storia
e da quella si fa guidare e, insieme, giudicare. Ma il mondo è
cosa, è fisso e si frantuma senza respiro; non c'è
intervallo, non c'è pausa, non interezza, non c'è
silenzio, non c'è l'Assenza, non esiste strada che porti
in questo altrove sospirato, ma mai realmente voluto. Non bastano
la ragione, l'affetto della specie attuale, perché il mondo
si sollevi e, vuoto e libero, meno infelice si compia.
Non basta técne, non sono sufficienti gli oggetti
della scienza - gli strumenti teorici e tecnologici -, i progressi
delle idee e delle forme, perché si dia pace e dovuta chiarezza
per quella parte dell'attività della mente che aspira ad
essere vuota, numinosa e astratta, distaccata certamente da quel
soma ingombrante - gli manca il niente cosciente - che la natura
comporta - esso è cosa e non altro - e del quale si muore
in quel modo inconsolabile e vano, che la coscienza umana ogni giorno
rigetta da sé e dall'universo intero, tranne qualche eccezione.
L'umana specie è, per lo più, infelice e non compiuta.
Il pensare è teso e affannato; la mente è immersa
nel concreto; i sensi sono ingombranti: per essi non esiste futuro;
la coscienza è offuscata, anch'essa senza ampiezza opportuna.
L'idea langue fragile, spesso impotente.
Lì fuori se ne sta il mondo, irraggiungibile e ben poco amato.
Non c'è in esso misura adeguata; non il sentimento e la ricchezza
profonda del significato. E' in attesa recluso, limitato da vincoli
di fasi precedenti non compiute dell'evoluzione, ormai inadeguati
alla nuova condizione della coscienza e dell'astrazione. Sono quelle
le tracce di cui la natura dell'animale, del vegetale e dell'oggetto
inerte senza vita né esistenza per milioni e milioni di anni
ha di sé improntato la realtà e da quelle pure il
pensiero più astratto dipende.
E l'uomo, che da quelle specie discende, ancora non si stacca; mancano
la forza e la ragione sufficienti.
Forse la giusta consapevolezza. Non c'è chiara la volontà
di spezzare gli antichi legami con cui egli è vincolato all'eterno
retaggio di vita e di morte, senza che altro possa accadere.
Unicamente di quella natura e genere egli si sente partecipe che
dal ciclo della nascita (e della morte) vogliono alimento; del nulla,
della separazione ha terrore, così come di tutto ciò
che sia realmente diverso da sé, dissimile da quanto finora
egli stesso ha conosciuto e in sé, soltanto, secondo la propria
misura, ha saggiato e concepito.
Vogliamo ora fare un salto, superando
i limiti suddetti, tentare di sciogliere i vincoli cui l'umano pensiero
con la sua storia è soggetto.
Vogliamo mostrare un nuovo livello dell'attività/passività
del pensare da cui deriva una nuova condizione dell'essere, ovvero
del non essere, che abbiamo chiamato 'Assenza' e che mai
finora è esistita.
Nei saggi precedenti avevamo assunto
la nuova condizione - l'Assenza, la condizione d'un 'diverso nulla'
- entro il sistema evolutivo, costruendo un'ipotesi per la quale
essa - l'Assenza - avrebbe potuto rappresentare l'ulteriore stadio
dell'evoluzione di homo sapiens s., ora in fase di stallo,
bloccato in un passaggio non compiuto, espressione non definitiva
del lunghissimo iter evolutivo che ha portato all'esistenza del
linguaggio e dell'ideazione astratti e simbolici.
Avevamo messo in luce come l'attuale fase della specie non avesse
portato a compimento le capacità specifiche di tale specie,
come essa dipendesse da un soma tanto concreto e come l'universo
visibile e invisibile consistesse d'una realtà fatta di cosa,
e non di niente, ugualmente all'attività pensante che ad
essa presiede.
Avevamo osservato come non fosse sufficiente il distacco tra uomo
e animale, così come da figlio e da madre, così come
sarebbe utile per favorire quell'intervallo, quel campo vuoti entro
cui la mente può formarsi e disporsi, dando vita all'astrazione,
facoltà che ponemmo come paradigmatica in homo sapiens
s.
Essa nasce come frutto d'una condizione di distacco, dalla quale
discende la capacità di produrre orizzonti non ciechi, quali
dovevano essere quelli che avevano occluso il mondo fino alla specie
animale, prima dell'evento evolutivo che generò la consapevolezza
affettiva e razionale della specie homo.
Ci eravamo interrogati, e in questa interrogazione avevamo coinvolto
il lettore, se fosse possibile saltare quel blocco che poneva la
specie umana in una condizione di sofferenza, forse persino di malattia,
dati i legami cui sono vincolate la realtà interiore e quella
esteriore dell'attuale fase di specie, confinata entro limiti erronei
e vincolata a certi presupposti biologici, psicologici e intellettivi
non affatto validi né certi, espressione quasi unicamente
di condizioni di mancanza, di timore, di ignoranza, di non compiuta
maturazione affettiva, sessuale, intellettuale e, forse, anche somato-cerebrale.
Come se la specie avesse preso per buoni certi limiti, freni e blocchi
inibitori, che ne disegnano i fondamenti, ma che, in realtà,
la soffocano, e li avesse scambiati per vincoli reali ed efficaci
dai quali non si può prescindere, pena la distruzione e la
morte, e su di essi avesse costruito l'immenso complesso della sua
Storia.
Ci si è trovati in una situazione per lo meno paradossale,
a mano a mano che è emerso il tema dell'errore e dell'originarsi
da esso della grande costruzione delle idee e della forma che la
specie sapiens ha prodotto.
C'è sembrato una sorta d'inganno crudele al quale la specie
ha cercato e tuttora cerca di ovviare costruendo un mondo con le
caratteristiche d'una realtà per certi aspetti, e non secondari,
basata sui criteri che derivano ancora da una natura animale da
cui la specie homo non ha deciso di separarsi in modo definitivo.
Come se homo sapiens avesse proiettato all'esterno e si comportasse
al proprio interno secondo certi presupposti forse anche di
origine psicobiologica che sono tuttora dell'animale, e non il risultato
del distacco definitivo da quello.
Giunti a codesto punto, vogliamo
che il nostro discorso si sviluppi e si ampli nel modo più
aperto, idoneo a contenere quanto l'umano pensiero con la sua vicenda
ha finora esplicato e così lo disponga - se possibile - sul
nuovo livello, dov'è una prospettiva del tutto diversa nella
sua radice, non comparabile - se non attraverso la relazione per
'assenza', come già dicemmo nei saggi precedenti - con alcuna
interpretazione finora intervenuta a fare e confortare la Storia.
Il metodo d'interpretazione e ogni altra considerazione metodologica
appartengono alla logica e agli schemi che dipendono dalle categorie
del pensiero e della mente e da essi discende il giudizio di validità
circa una certa proposizione, una certa osservazione e comprensione
- esistenza - d'un mondo.
Ora noi vogliamo porci al di fuori e oltre siffatti recinti sorti
a baluardo e conservazione degli assunti e dei criteri di validità
che la ragione - il pensiero logico e astratto, con il suo linguaggio
- ha premesso ed entro i quali ha pure racchiuso e teorizzato la
condizione ciclica del vivere e del morire.
Ma, allo stesso tempo, la nostra intenzione non è affatto
quella di lasciarci andare a procedimenti irrazionali che ci sembrano,
per lo più, illusori, poveri di ideazione costruttrice e
progettuale; il più delle volte scadenti per quanto concerne
l'unità complessiva, la qualità d'informazione, di
cui la specie ha sempre più necessità; intrisi sovente
d'ignoranza e di scarso spessore etico.
Il nostro modello resta quello del metodo razionale e, in particolare,
quello del metodo scientifico. Tuttavia non vogliamo che la nostra
ideazione e il nostro progetto si esauriscano in quello; esso ha
i limiti d'una ragione ch'è, come detto, vincolata a categorie
le cui caratteristiche sono intrinseche al tessuto linguistico,
psicologico, sociale e biologico d'una specie non ancora adulta,
nel senso di matura, ovvero d'una specie che è vecchia, invecchiata
senza mai rescindere del tutto i legami con chi la precedeva.
La ragione e la coscienza - ancora relativamente cieca - intellettuale
e affettiva della specie homo, pur essendo proprietà
recenti in termini di anni rispetto agli abissi temporali dell'evoluzione,
sono, tuttavia, già obsolete, essendosi sviluppate in fretta
grazie alla nascita del linguaggio verbale astratto che ha fatto
da veicolo più efficace che non quello puramente di trasmissione
somatica naturale, avendo inventato la cultura così da procedere
per apprendimento e memoria anziché attraverso le vecchie
vie, esclusivamente naturali.
Queste facoltà umane sono intrinseche alla struttura somatica
della specie, la quale segue tuttora i cicli naturali della nascita,
della crescita e della morte.
Tali condizioni a priori rispecchiano il bisogno di stabilità
e di forma che la specie manifesta abitando essa un universo fisico
alla relazione con il quale dedica grande parte della propria esistenza,
investendo forze intellettuali e ricchezze materiali allo scopo
di impossessarsi dei suoi segreti, anche metafisici, e delle sue
risorse materiali.
Malgrado sia sufficientemente evidente la limitazione entro cui
la specie si dibatte e i suoi procedimenti cognitivi e affettivi
in modo palese siano radicati in fondamenti relativi, vincolati
a condizioni particolari, specifiche di specie, è ben difficile
che la comunità degli scienziati, così come quella
dei filosofi o dei letterati o dei sacerdoti, sia disposta a interrogarsi
seriamente sui propri presupposti; è ben difficile che si
accetti che i fondamenti su cui poggia il sapere umano entrino in
una crisi radicale come sarebbe utile, ammettendo l'impossibilità
d'una conoscenza certa del mondo e della realtà, schiudendo
per la specie la porta per un'evoluzione ulteriore o, almeno, confutando
il sistema universo così com'è attualmente per disporlo
in un modo tale che sia ammessa un'alternativa realistica a quello.
A nostro parere, la sola considerazione del fatto che la mente umana
non è in grado di pensare - esperire - direttamente e, tantomeno,
d'elaborare il niente, stando all'interno d'un sistema siffatto,
un sistema diverso dall'oggetto già noto, e ignorato, e,
in gran parte, rimosso, ovvero non si sappia nulla di quanto esiste
al di fuori della cosa di cui è costituito l'universo, dato
dai contenuti della mente e della conoscenza umane, è manifestazione
d'un limite di macroscopica evidenza, del quale, per lo più,
è taciuta l'importanza, forse per non scuotere troppo i fondamenti
su cui poggia il sapere consolidato.
Non che a noi interessi poi tanto conoscere il niente e le sue eventuali
proprietà; il niente è ancora categoria della mente
e della sua limitatezza.
C'interessa, invece, far comprendere come il sistema finora vigente
della conoscenza e, con essa, dell'esistenza sia imbrigliato a causa
di certi presupposti mai fino in fondo discussi, di certe categorie
a priori, e così lo sia anche il mondo che si conosce e in
cui si continua a vivere e morire.
Neppure ci preme proporre un altro punto di vista, ovvero un'ulteriore
interpretazione circa la realtà, ché essa è
colma e stracolma di tali teorizzazioni.
Non è ancora così esplicito che cosa per noi sia importante
quando proponiamo il nuovo metodo che implica un nuovo stadio del
sentire, del conoscere e dell'essere, ovvero del non essere.
Forse soltanto per trovarci in (buona) compagnia in un luogo dove
nulla è, nulla ha l'imperativo di compiersi (nel modo dell'oggetto
noto). Un luogo che è ricco d''assenza', d'informazione e
di significato, che non ha bisogno d'inizio né di fine avendo
in sé, nel proprio tessuto privo d'evidenza, la forma necessaria
a che l'essere sia, ovvero non sia, senza, per necessità,
dover transitare attraverso le categorie d'una mente a cui occorre
l'esistenza d'un corpo, d'un ente fisico e materiale, ovvero spirituale,
perché si dica che la cosa è, invece che sospendere
l'atto e accettare, assumendo la nuova consistenza assente,
propria di codesto non essere particolare.
Forse la nostra è una sfida, una sorta di provocazione, di
ribaltamento dell'attuale sistema; tuttavia è certo e quasi
maturo il tempo in cui alla cosa, all'universo non occorre che sia
premessa la qualifica d'esistenza. Non c'è necessità
che esso sia tale, pensato e identificato nel modo con cui finora
è stato.
L'universo può starsene vuoto e assente, altro, ugualmente
al nostro pensare assente, che se ne sta sulla soglia (dell'Essere)
senza oltre quella precipitare: non gli occorre essere oggetto materiale
né esperienza spirituale.
Sono queste categorie d'una mente invecchiata troppo in fretta o
nata già tale, inabile a stare sulla soglia dov'è
l'espressione (vuota) della differenza ch'è vuota,
invece che satura - ricolma - , non soggetto né oggetto di
mondo, avendo dato e ricevuto (la) traccia.
Potrebbero forse i nostri assunti
risuonare paradossali: l'uscire da un sistema, quale quello della
specie homo e, con il suo medesimo modo di parlare e di astrarre,
il proporre una dimensione nuova in cui quel pensare non è
più valido, o, almeno, ha perduto gran parte del suo significato.
Potrebbe apparire persino scandaloso quel nostro metterci al parapetto,
avanti alla soglia donde osservare come le cose, ed anche le idee,
divenendo (dal nulla) si chiudano per sempre nel tragitto che s'attua
lungo le vie della mente, del corpo e della memoria, fissandosi
nel modo degli oggetti incompiuti e senza scampo, poiché
nel loro cammino hanno perduto la proprietà dell'essere un'impronta
(vuota) del nulla.
C'è, tuttavia, da osservare come ciò di cui trattiamo
non sia poi così dissimile da quanto è narrato dal
Mito della Caverna di Platone, in cui gli uomini incatenati entro
il buio di quel luogo possono accedere solamente alle ombre della
realtà che dal di fuori si proietta nell'oscurità
della loro naturale condizione, mentre all'esterno la luce del giorno
chiara risplende a illuminare il mondo.
Così, sottraendoci alla fissità di noi stessi nella
cosa (e nello spirito), avendo accettato e imparato ad essere della
proprietà del 'niente', della medesima nientità-astrazione
di cui il mondo e il pensare il mondo sono costituiti, viviamo d'una
condizione particolare e, forse, privilegiata, per la quale nulla
è (dato), e nulla è fissato; la realtà è
d'un vuoto astratto e assente così che non
sia necessario assumere l'identità entro il corpo concreto,
il tempo e lo spazio consueti, conseguenza e causa di quello.
Equivale allo stare in ascolto delle cose del mondo, contemplandone
e saggiandone l'origine, senza la costrizione del procedere ponendo
l'inizio. Un tal luogo è libero, ma non casuale o caotico:
in esso esiste la scelta più ampia e, poiché il tempo
e lo spazio sono altri da quelli noti - non vincolati all'oggetto
così come l'oggetto da essi descritto non s'oppone concluso
- il progetto possiede sue leggi specifiche che lo definiscono;
ad ogni istante esso vuoto procede, non dipendendo altrimenti che
dalle regole che esso a mano a mano contiene e dispone. Le scelte
possibili sono infinite, eppure vincolate al nuovo atto pensante
che, a mano a mano, si compie, obbediente e, al medesimo tempo,
unico creatore di se medesimo e delle regole a cui rigorosamente,
e in modo non passivo, s'attiene, aperto su tutti i versanti, idoneo
a che il nuovo livello nel migliore dei modi s'inveri.
Ampliamento del Principio d'Inclusione: oltre
la 'cosa' del ciclo di vita e di morte
Vogliamo
ora ulteriormente indagare alcuni modi secondo i quali il pensare
dell'Assenza si pone, a differenza di quello fin qui espresso
dalla specie. Vogliamo confrontarne, se possibile, le misure, gli
spazi, le assenze e le presenze, i punti, i luoghi in comune, se
ce ne sono, e i più distanti.
Abbiamo proposto, nel I Saggio sull'Assenza, un nuovo principio,
da noi denominato Principio d'Inclusione, onde tener conto
di tutta quella dimensione - un intero, più interi - mai
accolta entro il sistema di conoscenza e di esperienza - della vita
e della morte - a causa d'un evidente deficit delle capacità
d'astrazione e di comprensione proprie del sistema noto homo
sapiens s., incapace del pensare e dell'esperire vuoti.
Secondo tale principio, qualora la realtà - l'universo noto
- sia pensata (e osservata) da un luogo d'osservazione adatto -
fuori e diversamente da quell'universo - quella realtà è
simultaneamente - nella simultaneità 'astratta', assente
* - modificata nei suoi presupposti fondamentali
secondo le nuove proprietà attinenti al tipo d'osservazione.
E poiché una siffatta osservazione è del tipo vuoto,
assente, (essendo) totalmente differente da ogni altro tipo d'osservazione
nota all'universo consapevole di homo sapiens s., la modificazione
che s'ingenera nel nuovo universo sarà di quel tipo, cioè
vuota, assente, altra rispetto a ogni universo noto.
Ciò significa che la nascita di un nuovo universo (del tipo
da noi indicato) implica come conseguenza la trasformazione dell'universo
precedente, nella direzione d'un maggior livello d'astrazione, ovvero
della nascita d'una dimensione (maggiormente) vuota, capace del
nulla, dell'assenza.
Se osserviamo il campo dell'evoluzione, il passaggio da uno stadio
all'altro di tale iter implica ad ogni passo un livello più
vuoto dell'universo, un campo di maggiore astrazione, con una diminuzione
dell''effetto concretizzante' da parte della 'cosa materia universo'.
L'attività pensante, il linguaggio verbale astratto, la consapevolezza,
il sistema psicologico e affettivo di homo sapiens s. sono
l'effetto e, al medesimo tempo, i generatori di campi maggiormente
vuoti, più astratti (*)
rispetto allo stato della 'materia universo', se così possiamo
chiamarla, luogo concreto e povero di spazio vuoto, prima che il
livello del pensiero astratto di forma facesse schiudere, almeno
in parte, gli orizzonti della realtà fino allora, per lo
più, ciechi e ingombri di cosa.
Il pensare astratto, così come la consapevolezza e l'affetto
cosciente, a nostro avviso, implicano grandi cambiamenti nelle situazioni
di organizzazione di base, di controllo e di relazione propri delle
condizioni intrinseche alla materia (biologica) che costituiscono
l'assetto delle specie che precedono homo sapiens s.
E' possibile pensare che entro l'organismo biologico animale
(e vegetale) si sia dovuto generare uno spazio (assente), con l'attuarsi
d'un vuoto, al fine di disporre d'un livello maggiore d'astrazione,
qual è quello della specie homo. E per ottenere ciò
sia stato necessario transitare attraverso fasi di estinzione, dove
la materia cessando dà spazio con il cedere parte della propria
'cosità': il pensare è certamente meno 'cosa' di qualsiasi
altro atto o condizione si sia materializzata al mondo. Perché
ciò si rendesse possibile è dovuto allora accadere
che la condizione della materia (biologica) avesse, di necessità,
accettato uno stato analogo o equivalente, parallelo a quello di
morte, pari a una nuova categoria della morte - la morte astratta
e consapevole - , stato nel quale si attua, per fasi successive
di estinzione entro
la struttura della vita - che ha la prevalente proprietà
di cosa - , attraverso successive 'assenze', ovvero tramite successive
assunzioni del venir meno (consapevole), la trasformazione dell'universo
(fatto di) cosa biologica in universo 'minore cosa biologica', un
universo capace di pensiero e di coscienza. Come se per l'attività
pensante cosciente si fosse dovuta creare una sorta di nicchia scavata
entro l'organizzazione della materia che la precede e questa avesse
dovuto cedere, accettando il suo venir meno, almeno limitatamente
a tale nuova situazione.
Diciamo "limitatamente" per sottolineare il fatto che
con l'evento determinato dalla nascita del pensiero cosciente e
astratto, pur essendosi modificati i presupposti dell'organizzazione
precedente - di tutto un sostrato dell'universo precedente - tuttavia,
secondo i nostri assunti, la nuova attività cosciente e autocosciente
non ha ottenuto lo spazio, come sarebbe stato doveroso e necessario
concederle perché la nuova specie esistesse integra.
L'attività pensante e cosciente, la condizione affettiva
e razionale, propri della specie homo, in particolare della
specie homo sapiens s., sono deficitarie: non hanno 'pervaso'
e sostituito secondo la loro condizione di (maggior) assenza l'intero
sistema somatico, lasciando, invece, ad esso ancora la guida d'antica
specie naturale che impone agli organismi viventi l'eterna fissità
del ciclo di vita e di morte, così poco astratto e tanto
povero di gradi di libertà.
Ma com'è possibile una morte
astratta e consapevole per un sistema che non ha consapevolezza
e astrazione?
Ciò è possibile soltanto dal punto di osservazione
di cui diciamo e per il Principio d'Inclusione da noi proposto;
allora, quanto stiamo dicendo della possibilità d'una 'morte
astratta', è valido unicamente nel caso in cui sia stato
posto il nuovo luogo dell'osservazione, fuori del sistema noto.
Soltanto pensando (o osservando) da codesto luogo è possibile
'astrarre' la morte, considerare vuoti i vari passaggi
d'estinzione - solitamente carichi di 'condensazioni concrete' -
che per successive fasi hanno condotto l'organismo biologico ad
essere adatto, cessando di sé, ad accogliere l'attività
pensante, ovvero a generarla come parte integrante di sé.
Difatti, finora, la morte è stata ed è una condizione
di forte compressione, di materialità dall'abnorme concretezza,
di disordine entropico, uno stato simile a una sorta di assoluta
e totale chiusura autistica della mente e del corpo, per la quale
l'organismo, cessando proprio di quelle qualità che ne fanno
un organismo vivente e, perciò, rispetto alla materia inanimata
che è, in generale, del tutto povera d'informazione, perde
della qualità di un ente astratto, capace di qualche grado
d'assenza (d'astrazione).
Dal nostro punto di osservazione, possiamo constatare come la materia
(biologica) attraverso i vari passaggi in cui si sono verificati
gli eventi della cessazione, dell'estinzione, della morte abbia
appreso da questi ad 'astrarre da sé', come a poter dimenticarsi,
a formare quella dimensione dell'assenza che è una sorta
di scavo, di trasformazione in negativo della sostanza positiva,
così come essa è solita manifestarsi ed essere, in
tal modo, pensata.
Spingendoci ancora oltre, ovvero da una parte opposta, contraria,
inversa a quella precedentemente descritta, possiamo anche
dire che l'assenza da cui ha preso l'avvio la formazione
della coscienza, del pensiero astratto di homo sapiens, può
essere pensata, fin dall'inizio, osservando da un 'luogo astratto',
come costituita di stampo, di calco, di immagine al negativo
(senza essere tale, perché in codesto luogo non esiste
l'opposto), dal quale non occorre che qualcosa ulteriormente si
generi per rotazione e si faccia positivo, spinto con ciò
a occupare lo spazio e il tempo non più vuoti, d'un universo
che si fa pieno e contrario. L'assenza è un alcunché
che non nasce dalla cosa; è, perciò, nulla, un nulla
che non solo è la cosa che s'è sottratta; non solo
è la mancanza di cosa o l'ignoto come solitamente è
pensato.
Il nulla dell'assenza è un nuovo stato della materia
e del pensiero che la pensa; è un nuovo universo che non
è fatto di alcunché e che non ha origine in nulla,
se non, transitoriamente, nella modificazione radicale del 'pensare
la materia', del 'pensare la cosa', del pensare tout-court e, con
ciò, del vivere, dell'esistere, del morire.
Proviamo a pensare, per analogia, tale condizione - sperimentiamo
una siffatta modalità d'approccio - come a un vuoto che ha
sostanza, che ha la medesima sostanza del nulla; che è, altresì,
differente dal nulla, essendo un nulla pensato in un sistema
del pensiero che è privo di pensiero (noto) ed è differente
da qualsiasi struttura pensante esistente.
Si ha, così, quella differenza che pone l'alterità
totale di cui stiamo dicendo, e che abbiamo anche chiamato 'distanza
all'infinito' e distacco - relazione per assenza.
Nuove considerazioni, allora, è
utile porre circa il ciclo di vita e di morte: si rende necessario
che il vivere sia pensato ed esperito nel modo più astratto,
analogamente al morire.
Alla luce dei fatti considerati ha ben poco senso, a nostro parere,
l'idea che da alcune parti delle scienze biologiche si fa presente
circa l'evoluzione futura della specie attuale homo sapiens s.
Ipotizzare che questa consista essenzialmente in modificazioni
somatiche, così come era avvenuto fino all'avvento di homo
sapiens e, che, secondariamente, ci sia qualche mutazione nelle
strutture relative alle attività superiori, più astratte,
ci sembra di scarso interesse.
Non è di facile soluzione il compito di chi volesse daccapo
proporre nuove strutture e nuove funzioni fuori dal contesto e dall'uso
consueti, ed è anche per ciò che dell'evoluzione futura
ben poco si parla, per lo più ritenendosi lo stadio cui è
giunto homo sapiens s. come l'ultima tappa e definitiva d'un
lungo e laborioso cammino biologico.
Si dovrebbe, come abbiamo visto, uscire dal sistema homo per
poter dire qualcosa di sensato circa la sua evoluzione senza rimanere
intrappolati entro il medesimo orizzonte definito dai vincoli che
la specie ha intrinseci: ciò è, forse, altamente improbabile
al momento, ma non impossibile, così come proponiamo. Uscire
e sorpassare i limiti entro cui la specie si dibatte implica il
nuovo livello dell'Assenza: lungo il cammino si esprimono stati
simili a profonde mancanze entro gli spazi ultimi dell'essere, in
piena coscienza, con tanto affetto; distacchi progressivi proprio
entro il luogo in cui si forma l'idea, attive assunzioni del vuoto
mentre s'attraversano lande desolate e doloranti da sempre occupate
dallo stato di morte. Ma il pensiero cosciente nulla di sé
deve cedere, se non della sua origine troppo piena: esso, adeguandosi,
anche con grande sforzo e, pure, sofferenza, non deve deragliare
dal suo cammino di conoscenza e di affetto; anzi si rafforzi, poiché
mai deve scomporsi né frammentarsi. E' assorbita la proprietà
del nulla entro l'oggetto del soma e della psiche finora concreti,
e li trasforma, dando così l'avvio a un nuovo senso, del
tutto diverso fin nelle radici, un diverso vuoto che ha in sé
il finito e il non finito, ben risolto, una realtà risplendente,
e aperta, della quale, ancora, non si conosce il confine.
Occorre accettare, durante il tragitto, fenomeni idonei a conquistare
la morte, equivalenti al morire-assentarsi entro lo stato
biologico, perché questo venga meno, spostandosi e differendo
per distacco da sé medesimo: muta l'antico soma 'astratto',
accingendosi ad essere vuoto, simile a un nulla diffuso,
altro dallo schema di vita e di morte, di idea di mondo e di cosa,
che non sono altro che il risultato d'una lunghissima fase di concretizzazione
nell'evoluzione della materia vivente, non idonea, né preparata
ad essere niente.
Si comprende, ora, nel modo più ampio come la nicchia
entro cui s'era scavata (finora) la mente, data la storia
del soma concreto, sia del tutto insufficiente a generare una più
completa espressione della nuova categoria del vuoto, che nasce
con quella.
Come se da un lato si fosse sviluppata in modo abnorme la struttura
che sorregge l'attività cosciente - una corteccia asimmetrica
e ricchissima di interconnessioni al suo interno - e dall'altro
non si fosse creato un posto adeguato entro il sistema fatto di
corpo, una cosa (quasi) concreta, retaggio d'una realtà che
fu "deserta e vuota", com'è detto all'inizio del
Genesi.
Ma, allora, quale pensare, come
fare, dove andare? Quale vivere e quale morire?
Cercheremo di dare iniziali risposte
a cotante domande: proveremo a indicare nuove vie di comprensione
e di attuazione delle entità psicologiche e somatiche che
debbono apprestarsi a lasciare il posto ad altri, ulteriori pensieri,
coscienza e astrazione. Indicheremo allora che cosa sia la specie
di mezzo: la specie che conduce la transizione verso quel luogo
dov'è nulla; luogo della nientità in cui nulla necessita
perché sia mondo.
Luogo ch'è difficile da comprendere e assumere dalla mente,
dalla ragione e, ancora di più, dal sentimento e dalla sensazione,
così come ora si pongono: un luogo non luogo, tempo non tempo
nel quale il pensare cessa d'essere tale, la coscienza ha appreso
il morire, insegnando al soma che, per ora, la contiene, una dimensione
di vita e di morte, diversa da quanto esso conosce come espressione
d'un'evoluzione pensata e esistita in eccesso di concretezza e in
mancanza d'assenza.
Ci sembra importante che la specie sia più sana, in
generale, nella psiche e nel corpo e che, perciò, apprenda
al suo fondamento quel piano d'assenza, quel 'mancare astratto'
di vita (e di morte) che potrebbe essere la via interessante a che
essa acquisisse un nuovo livello non soltanto dell'intelligere e
della coscienza, ma anche, e soprattutto, dell'affetto e del soma
più assenti, capaci in tal modo di sostituire gli antichi
e non più validi meccanismi preposti a difesa dell'organismo
biologico, eredità d'un mondo naturale di cui è utile
venire a cessare.
E' importante che la specie, così come ha appreso a scandire
la parola e a conoscere il mondo oltre il bisogno naturale, un nuovo
assetto si dia e un nuovo rapporto, nella fase di transizione, si
crei tra psiche e corpo, tra coscienza astratta e cosa concreta.
Nel mentre si fa l'anticosa, l'antipensare, il nulla
che è vuoto, privo d'inizio, della necessità di tracciare
il proprio percorso, è utile pensare a una struttura (vuota),
un tessuto più ampio e aperto che faccia della specie una
specie più sana e matura, più adatta a staccarsi da
quel ciclo di vita e di morte - e di malattia - a cui finora è
soggetto il mondo, per lo più, incosciente.
Se a fondo consideriamo
le strutture psicobiologiche della specie, notiamo come la coscienza
sia ancora quella iniziale, nata, forse, per meglio adattarsi a
un ecosistema mutato, e il corpo sia controllato e difeso da meccanismi,
quali il sistema immunobiologico, d'antica origine animale, e perciò,
regolato dalle leggi di quel sistema che, a sua volta, dipende dai
meccanismi ciclici della natura.
L'uomo ha inventato il linguaggio verbale e astratto, la coscienza
e l'intelligenza e questi si sono scavati una piccola nicchia nel
sistema naturale biologico: non hanno, tuttavia, ancora inventato
nulla che lo protegga meglio dalla sofferenza, dalla malattia e
dalla morte entropica.
E' importante, a nostro parere, che esso apprenda il nuovo livello
del pensare, dell'essere vivo e consapevole, in modo che una nuova
protezione, o meglio condizione d'apertura relazionale e d'affetto
si faccia, come sistema adatto a permettergli nella transizione
atti di vita, di coscienza, di nascita e, infine, di morte più
'astratti', migliori, più integri sul piano dell'affetto
e dell'intelletto rispetto a come finora è stato. L'uomo
attuale non è l'ultima tappa dell'evoluzione; è soltanto
un vago inizio; egli si trova in una sorta d'intoppo da cui occorre
disincagliarsi e progredire secondo temi più avanzati e astratti,
secondo direttrici a più aperto e complesso raggio, diversamente
dal modo troppo angusto secondo il quale nacque incompleto il pensiero
nel passaggio dall'animale, dal quale non s'è consumato il
distacco dovuto.
Se il corpo e la psiche - il sistema psicobiologico insieme con
il suo universo - apprendessero davvero ad essere vuoti, cavi dell'eccesso
di cui per ora sono costituiti a causa d'un'evoluzione che fu incapace
d'essere altra, assai simile, forse, all'assenza, come avrebbe potuto
essere quando al principiare della coscienza e del pensiero a codesto
stato, per pochi tratti, si fece cenno, allora un nuovo progetto
ricco d'affetto, completo d'una mente più astratta, sensibile
e capace della differenza, sarebbe possibile, essendosi estinto
l'oggetto concreto, fondamento d'una specie imperfetta e incapace
d'aprirsi al proprio finire.
Per terminare, se mi è ancora
concesso dire, vorrei introdurre il poema 'Europa, o l'Assenza',
dal sottotitolo: "Poema in soccorso di vita e di morte,
di veglia e sonno in eccesso e non cosciente dell'umana specie tanto
immatura e così poco felice" , dello stesso autore
di codesto saggio e di prossima pubblicazione presso Campanotto
Editore.
E' un poema dalle vaste proporzioni, nel quale, prendendo lo spunto
dalla caduta del muro di Berlino e, perciò, dalla possibilità
della formazione d'un mondo con minor tendenza alla frammentazione
e alla difesa, si narra e si canta d'una dimensione di realtà
- l'Assenza - più completa e ampia, maggiormente astratta
e vuota, che venga a soccorso della specie homo sapiens s. nella
costruzione dell'Europa e dell'universo che nuovo può nascere.
Esso, anziché ridursi alla cosa, si ampli e si trasformi
nel niente, per quanto è possibile, e comprenda il passato
e anche il futuro dell'uomo, essendo pensato assieme al tempo e
allo spazio, al di fuori di quelli - nella dimensione d'intemporalità
ed iperspazialità - , diversamente dalla memoria che noi
conosciamo. Di tale alterità, che nasce dalla scansione 'astratta'
e libera, quasi 'vuota' - d'altro tempo e d'altro spazio -, dei
versi e della Musica dell'Assenza per duplice pianoforte, su due
livelli (vuoti, assenti), che apre il poema, noi confidiamo che
la specie si faccia 'portatrice assente' e del nuovo tessuto si
sostanzi per attraversare più sana e meno infelice, più
ardita e preparata al futuro dal complesso disegno, sulla soglia
del quale essa è sospinta perché sia idonea a superare
l'attuale ingiusto, non docile confine.
Del poema suddetto pubblichiamo qui di seguito le pagine-copertina
interne che fanno da apertura al testo, in generale, e allo spartito
musicale, pezzo per pianoforte doppio, ovvero per due pianoforti
(vuoti): E. U. R. O. P. A.
(*) Vedere le Lettere-saggio precedenti
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